Ogni volta che mi capita di chiacchierare con qualcuno di libri, avverto una lieve sensazione di disorientamento. Questo capita perché, anche se sto parlando di un romanzo letto e riletto, scopro sempre, grazie ai miei interlocutori, particolari a cui non avevo posto attenzione, chiavi interpretative che avevo trascurato, scorci su personaggi che credevo di conoscere già a fondo. Il disorientamento, va da sé, aumenta quando mi ritrovo a dialogare di percorsi di lettura, di generi letterari, insomma non piú di singole opere, ma di intere famiglie di libri: per quanto possa credermi esperto di questo o quel settore, ogni volta mi rendo conto di aver commesso l’errore di reputare completo, o almeno sufficiente, un percorso di lettura che, a conti fatti, risulta essere solo uno tra i tanti possibili.
Scrivo queste righe nel mio studio, alle mie spalle una libreria ospita la gran parte dei libri che ho incontrato nel corso della mia vita. Mi volto e scorro con un’occhiata gli scaffali: mi comunicano “sensatezza”. Ognuno di loro accoglie opere che ho affiancato non a caso: sono libri che per me hanno un preciso significato, riflettono un periodo, un dono, uno studio, un progetto… Eppure è chiaro che mi trovo di fronte a sentieri aperti a colpi di machete in una foresta vergine. Ho preso una direzione, ma avrei potuto prenderne altre. Ho incontrato talvolta tratti di percorsi già tracciati, indicazioni incise su un tronco… Ma il non noto, gli incontri mancati, i libri non letti o non letti “del tutto” continuano a premere da ogni parte, misteriosi e impenetrabili come la jungla dei romanzi di Salgari.
Non credo che una riflessione simile debba generare sconforto. Al contrario, trovo che sia liberatoria. I libri giacciono in attesa come stelle nella volta celeste. A seconda del tempo che avremo, degli strumenti a nostra disposizione, e della fetta di cielo sopra la nostra testa, ne potremo vedere dieci, mille, un milione. Ma al di là del numero di stelle individuate, ognuno di noi sarà poi libero di tracciare in autonomia i segmenti che delineeranno costellazioni di volta in volta nuove. Questo mi rincuora in qualità di lettore, perché mi permette di provare, ogni volta che entro in una libreria, la stessa sensazione che provavo da ragazzo quando esploravo gli scaffali, come un archeologo perso nei meandri di una tomba appena scoperta. Sapevo che, per quanti tesori avessi scoperto, altrettanti sarebbero rimasti lí, in attesa di future esplorazioni. E questo mi donava un senso di profonda libertà, la certezza che, almeno lí dentro, lo stupore non si sarebbe mai esaurito. E questo mi rincuora pure in qualità di insegnante di letteratura, perché mi obbliga a ricordarmi ogni giorno che forse potrò aiutare i miei studenti a interpretare un testo, ad analizzarne la struttura, a coglierne i nessi con altri testi, ma non potrò mai obbligarli ad amare un testo perché “è bello”. La letteratura, come ogni forma d’arte, impone la responsabilità della libertà di giudizio.
Alla luce di ciò, mi permetto di suggerirvi un percorso non già perché creda che questo abbia senso in sé, ma solo perché, quand’ero studente, ha avuto senso per me. Spero quindi che questi libri possano parlarvi come hanno parlato a me, specie in un momento nel quale gli spostamenti sono fortemente limitati, i luoghi aperti sono potenzialmente pericolosi, la fuga verso spazi nuovi è un orizzonte ancora troppo incerto. Si tratta infatti di romanzi che hanno il comune denominatore del viaggio, dell’avventura: in attesa dei viaggi veri, vi auguro che queste pagine possano offrirvi fughe meravigliose.
Robert Louis Stevenson, L’isola del tesoro. Per me un libro-archetipo, il modello principe del romanzo d’avventura. C’è dentro tutto quello che serve per sfondare le pareti della nostra camera e volare sugli oceani, assieme al giovane Jim, alla ricerca del tesoro, sperando di arrivare prima dei pirati.
Mario Rigoni Stern, Il bosco degli urogalli. La voce di un grande della nostra letteratura ci accompagna, con il tono tranquillo dei racconti di un nonno, nel cuore delle montagne, ci rivela anfratti segreti, ci indica le impronte degli animali, ci insegna il nome degli alberi. Un capolavoro di delicatezza e di amore per la natura.
Herman Melville, Moby-Dick. Uno di quei libri che puoi rileggere in tutte le stagioni della vita, certo che ogni volta si aprirà a te in forme e luci completamente nuove. L’avventura sulla baleniera Pequod, certo, ma anche la paura dell’altro, la ricerca dei mostri generati dalla mente umana. E la consapevolezza che ogni viaggio è sempre e comunque alla scoperta di noi stessi.
Jules Verne, Il giro del mondo in ottanta giorni. Un classico intramontabile. Un viaggio avventuroso in ogni luogo e con ogni mezzo, con il ticchettio dell’orologio a scandire le peripezie di Phileas Fogg, il prototipo, forse un po’ troppo sicuro di sé, del viaggiatore europeo dell’Ottocento.
Jack London, Zanna Bianca. Un altro grande classico. Il paesaggio del grande nord, aspro di ghiacci ma carico di poesia, nell’avventura di Zanna Bianca, un cane-lupo con cui è fin troppo facile immedesimarsi: perché tutti, uomini e animali, dobbiamo crescere, e dobbiamo prenderci dei rischi per capire qual è il nostro posto nel mondo.