Caterina BonviciniMediterraneo

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«Nel Mediterraneo la vita la cerchi, la perdi o la trovi, e questa riduzione all’essenziale è potentissima. Senza orpelli, senza scappatoie, ti lascia a nudo confronto con una nuda alternativa, ti spoglia come l’acqua. Ma la chiave per capirlo non è il sentimento della morte. È il sentimento della vita».

In questi anni, le navi delle Ong che soccorrono i migranti sono state al centro di polemiche e narrazioni ostili. Ma pochi conoscono quello che succede davvero a bordo. Caterina Bonvicini e il fotoreporter Valerio Nicolosi sulle navi umanitarie ci sono saliti, navigando per settimane e settimane, gomito a gomito con l’equipaggio. Sono stati ore a scrutare l’orizzonte, con l’ansia che conosce solo chi ha paura di scambiare un’onda per un gommone. Sono scesi a pelo d’acqua sul rhib e hanno partecipato ai salvataggi. Hanno sentito quanto valgono il sorriso di un bambino e l’abbraccio di una donna quando si rendono conto di essere finalmente in salvo.

E in queste pagine ci raccontano, con parole e immagini, le storie di chi ha deciso di inventarsi un’altra Storia, diversa da quella che ci vuole tutti cinici e indifferenti. Soccorritrici e soccorritori, spesso giovanissimi, che hanno scelto di trovare la propria ragione di vita in un mare sterminato.

Leggi un estratto.

«Mediterraneo è la testimonianza su un dramma umano e politico, ma è anche un romanzo di mare e di avventura, e prima di ogni altra cosa un grande romanzo di formazione, scritto con una lingua perfettamente calibrata, senza retorica, senza sbavature» (Gaia Manzini, «Il Foglio»).

Su «La Stampa» il dialogo tra Caterina Bonvicini e Valeria Parrella.

«Lasciata da parte la retorica, Bonvicini lavora sull’immedesimazione del lettore, oltre che sulla completezza dell’informazione e sull’esplorazione dei vari punti di vista. Il risultato è un libro che tutti dovrebbero leggere» («Il Sole 24 Ore»).

«È un libro che racconta l’odore. L’odore della morte, della disperazione, della tortura, del deserto e del sale; ma anche l’odore della gioia, della vita che riprende» («L’Osservatorio Romano»).

«Gli episodi narrati da Caterina Bonvicini sono senza soluzione di continuità, uno piú duro dell’altro e tuttavia uno piú speranzoso dell’altro, perché bisogna raccontare anche le cose luminose, come un parto, la risata di un bambino, un flebile “grazie”, la condivisione di una traversata alla ricerca di vite da salvare, e perché per restare umani bisogna ricordare di esserlo» (Cesare Pastarini, «Gazzetta di Parma»).