Paolo MalagutiIl Moro della cima

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Paolo Malaguti torna a raccontare la Prima guerra mondiale con gli occhi di un personaggio leggendario che, incredibile a dirsi, è esistito davvero.

Da quando era poco piú di un bambino, Agostino Faccin, che tutti chiamano «il Moro», ha una sola certezza: l’unico luogo in cui si sente al riparo dal mondo è tra i boschi di larici, i prati d’alta quota, e qualche raro alpinista… Cosí, quando gli danno in gestione un rifugio, sembra che la sua vita assuma finalmente la forma giusta. Ben presto in pianura si diffonde la fama di quell’uomo dai baffi scuri e la pelle bruciata dal sole, con i suoi racconti fantasiosi e le porzioni abbondanti di gallina al lardo. E in tanti salgono fin su per averlo come guida, lui che conosce come nessun altro quell’erta scoscesa di pietre bianche e taglienti.

Ma quel rifugio è sulla cima del monte Grappa, e la Grande Guerra è alle porte. Lassú tira un’aria minacciosa: intorno al rifugio il movimento è frenetico, si costruiscono strade militari e fortificazioni, arrivano in massa le vedette, i generali, i soldati. E il Moro, che in montagna si sentiva al sicuro, assiste alla Storia che sfila sotto ai suoi occhi: nel 1918 il Grappa è la linea del fronte, un campo di battaglia che non tarderà a trasformarsi in un cimitero a cielo aperto e infine in un sacrario d’alta quota. Ma quando i fucili non fumano piú e le fanfare smettono di suonare, lui, il Moro, tornerà sulla sua cima, e davanti allo sfregio degli uomini cercherà il suo personalissimo modo di onorare la sacralità della montagna.

Leggi un estratto.

Il Moro della cima ha vinto la XII edizione del Premio Mario Rigoni Stern.

«Il nuovo libro di Paolo Malaguti lascia addosso la sensazione confortante di trovarsi fra vecchi amici in un rifugio di montagna, in una di quelle serate in cui si cena presto dopo una giornata di cammino e l’isolamento dalle urgenze del fondovalle pare il lusso più prezioso, ché mentre le vette e i crinali spariscono nell’oscurità, le buone storie fioriscono spontanee a ricordarci che siamo nati per sognare» (Enrico Brizzi su «La Stampa»).

«Paolo Malaguti scrive un’opera compatta, magica, stilisticamente perfetta. Il linguaggio modula con leggerezza il dialetto che diventa un controcanto armonioso. Regala paesaggi che ricordano dipinti impressionisti, offre al suo protagonista l’ultimo riscatto. E nel gesto che vuole essere vendicativo c’è la dignità di chi non accetta di subire la Storia» (casalettori.com).

«Un romanzo intenso» (Nicoletta Martelletto, «Il Giornale di Vicenza»).

«Quasi una storia d’amore durata tutta una vita tra un uomo straordinario e la sua montagna. Un amore piú forte della Storia e della violenza di cui l’uomo è capace nei confronti degli altri uomini e nei confronti della natura stessa» (Sara Zanferrari, «Il Gazzettino»).

«Ne Il Moro della cima lo scrittore scava nell’esistenza di un ragazzino e di un uomo, entrando in quella che sembra una vita al margine, di una persona come tante» («Corriere del Veneto»).