Mario LodiIl paese sbagliato

16+

Il paese sbagliato alla sua prima pubblicazione, nel 1970, mise a nudo le deficienze di una scuola rigida che escludeva i piú fragili. Da allora è trascorso mezzo secolo, ma siamo ancora lontani dal garantire un’istruzione capace di contrastare ogni forma di discriminazione, mentre è cambiata profondamente la relazione dell’infanzia con il gioco, l’intrattenimento e le fonti di informazione. I bambini trascorrono sempre piú ore davanti a schermi di ogni dimensione, spesso cercando nel virtuale una via di fuga dalla solitudine.

Capire che scrivere è «scoprire gli altri», che le parole sono anche suoni e colori, che ci sono molti modi per incontrare la storia e che si può costruire conoscenza insieme, anche se diversi, è quanto hanno imparato gli allievi di Mario Lodi. Il suo diario racconta quell’esperienza suggerendo una scuola inclusiva e aperta che innanzitutto vuole educare, e che crede nello studio come occasione di crescita morale e civile.

Con una «Lettera aperta ai giovani maestri».

Leggi un estratto.

A scuola i bambini possono imparare a vivere ogni giorno da cittadini liberi e responsabili. Alla filosofia del consumismo e dell’arrivismo noi possiamo contrapporre la collaborazione, la cooperazione, la solidarietà, la non-violenza. Se riusciamo a collaborare con i colleghi docenti, riusciremo a creare anche per i bambini il clima ottimale nel quale sentiranno sé stessi protagonisti, gli altri come amici e la diversità come arricchimento. Io mi auguro che Il paese sbagliato possa contribuire a questa riflessione sull’educazione.

«Mario Lodi è stato e continua a essere un maestro da ascoltare, leggere, studiare, perché la sua scuola era rigorosa ed esigente e insieme appassionata e divertente» (Franco Lorenzoni).

Su Rai Cultura lo Speciale dedicato all’autore.

«C’è un aspetto di Mario che non dimenticherò mai: sapeva ascoltare. Lo faceva con tutti, aveva la capacità di fare silenzio e di restare davvero in ascolto di un bambino», ha raccontato la maestra e amica Luciana Bertinato su «Il Fatto quotidiano».