Vanessa AmbrosecchioTutto un rimbalzare di neuroni

16+

Cosa resta della scuola senza le levatacce al mattino, l’odore di ormoni, i panini nello zaino? Senza i litigi nel cambio d’ora, gli sguardi in tralice, le corse fuori appena suona la campanella? Eppure la scommessa è sempre la stessa: riuscire a raggiungere gli allievi, a toccarli, anche se sono ben nascosti dietro una videocamera spenta, piú simili a impiegati in smart working – soli, assonnati, inafferrabili.

La prima settimana è sembrata una vacanza. Poi abbiamo capito che i libri di testo non li avrebbe aperti piú nessuno, e quegli allievi rintanati dietro uno schermo andavano agguantati in un altro modo. Un mese dopo, i ragazzi si collegavano dai vicoli del quartiere, dal letto, o correndo in riva al mare. La didattica a distanza è quello che succede quando si toglie alla scuola la concretezza dei corpi, uno spazio reale in cui incontrarsi, scontrarsi, condividere, crescere. È la «scuola meno», dove al posto di sorrisi e bronci ci troviamo a guardare ologrammi e file. Per di piú, in una classe difficile di una zona difficile non è detto che i ragazzi abbiano un computer: si arrangiano col telefono, quando va bene. Magari quello della mamma, magari seduti accanto al nonno con l’Alzheimer. E per loro non andare a scuola significa perdere la prospettiva di un altro mondo e un futuro possibile.

Li sento cercarmi sempre piú incerti, sfiduciati. Sento allentarsi la maglia che ci tiene. Vagano le loro voci nel buio del web come satelliti che abbiano smarrito l’orbita, come un sistema solare in cui la forza centripeta sia vicina a spegnersi e i pianeti prendano il largo in un fluido che si fa gas. Ecco, all’inizio della Dad la scuola da solida s’è fatta fluida. Adesso siamo prossimi all’evaporazione.

Con la rabbia e l’ingegno di chi fa il mestiere piú bello e piú usurante di tutti, Vanessa Ambrosecchio ci racconta cosa significa insegnare: non stancarsi di provare, stanare gli allievi uno a uno, scommettere su di loro, inventarsi ogni giorno domani.

Leggi un estratto.

«La Dad è diventata la foglia di fico per coprire le ataviche criticità di un sistema scolastico sempre in affanno. Ambrosecchio ce la racconta con grazia, ironia, amarezza, intelligenza, ripercorrendo un anno vissuto pericolosamente per migliaia di insegnanti e studenti di tutta Italia attraverso quel microcosmo che è la classe» (Viola Ardone su «tuttolibri – la Stampa»).

«Una testimonianza appassionata» (Eleonora Lombardo, «la Repubblica»).

«Un viaggio-racconto “in presa diretta di un momento cruciale della scuola italiana” che partendo proprio dal microcosmo di una piccola comunità e dalle storie individuali dei giovani personaggi, adopera la penna-telescopio per osservarne esistenze, fragilità e punti di forza» (Patrizia Danzè, «Gazzetta del Sud»).

Vanessa Ambrosecchio ha raccontato il libro a La lingua batte, su Radio 3.

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