Donatella Di PietrantonioL’età fragile

16+

Non esiste un’età senza paura. Siamo fragili sempre, da genitori e da figli, quando bisogna ricostruire e quando non si sa nemmeno dove gettare le fondamenta.

Amanda prende per un soffio uno degli ultimi treni e torna a casa, in quel paese vicino a Pescara da cui era scappata di corsa. A sua madre basta uno sguardo per capire che qualcosa in lei si è spento: i primi tempi a Milano aveva le luci della città negli occhi, ora sembra che desideri soltanto scomparire, si chiude in camera e non parla quasi. Lucia vorrebbe tenerla al riparo da tutto, anche a costo di soffocarla, ma c’è un segreto che non può nasconderle.

Sotto il Dente del Lupo, su un terreno che appartiene alla loro famiglia e adesso fa gola agli speculatori edilizi, si vedono ancora i resti di un campeggio dove tanti anni prima è successo un fatto terribile. A volte il tempo decide di tornare indietro: sotto a quella montagna che Lucia ha sempre cercato di dimenticare, tra i pascoli e i boschi della sua età fragile, tutti i fili si tendono. Stretta fra il vecchio padre cosí radicato nella terra e questa figlia piú cocciuta di lui, Lucia capisce che c’è una forza che la attraversa. Forse la nostra unica eredità sono le ferite.

Leggi un estratto.

«Donatella Di Pietrantonio affronta questa storia usando risorse sempre più rare – per questo urgenti – nel racconto contemporaneo: pudore, delicatezza, rispetto per i sentimenti dei personaggi, capacità di ascolto. È il modo attraverso cui il lettore può accostarsi a una dimensione che altrimenti non si rivelerebbe, e percepire un rumore di fondo rispetto a cui di norma siamo sordi – il dolore delle persone normali, cosí prezioso, di cui nessuno sa nulla» (Nicola Lagioia, «tuttolibri – La Stampa»).

«Leggete questo romanzo intenso e preciso, in cui i piani temporali si intrecciano e cambiano lo sguardo, e in cui le donne lottano contro una forza brutale e antica. Eccole tutte insieme: il passato oscuro del mondo, ma anche il presente, sempre meno fragile» (Annalena Benini, «Il Foglio»).

«La scrittrice rielabora narrativamente un vecchio episodio di cronaca realmente accaduto sulla Maiella che negli anni Novanta sconvolse l’Abruzzo e l’Italia e lo fa con una prosa che avvince, pagine che si leggono in apnea, una sintassi asciutta e pulsante» (Raffaella De Santis, «la Repubblica»).

«Dietro queste fragilità si impone il grande personaggio di una natura raccontata senza retorica, nella sua durezza quotidiana di chi la deve “lavorare come uno schiavo”» (Ermanno Paccagnini, «la Lettura – Corriere della Sera»).

«Di Pietrantonio usa la parola come il trapano da odontoiatra; con precisione chirurgica batte là dove il dente duole, di solito le relazioni umane o l’angustia di una terra che sembra fatta apposta, anche orograficamente, per bloccare progetti e sogni» (Sara Ricotta Voza, «tuttolibri – La Stampa»).

«Donatella Di Pietrantonio ancora una volta riesce in modo estremamente convincente a scavare nelle anime fragili che il tempo spesso non fortifica» (Brunella Schisa, «il venerdì – la Repubblica»).

«Al nuovo romanzo Donatella Di Pietrantonio ha dato la tensione di un thriller che si muove tra l’Abruzzo fintamente accogliente con la sua natura, e una Milano miraggio di libertà non mantenuta» (Francesco Mannoni, «Il Mattino»).

«Il romanzo nasce da un ricordo che riguarda la sua terra, l’Abruzzo, e che ha covato a lungo come un fuoco sotto la cenere. Un tragico fatto di cronaca che diventa la scintilla per parlare di fragilità, di quanto noi esseri umani siamo precari» (Isabella Fava, «Donna Moderna»).

Su «Vanity Fair» l’intervista di Mario Manca.

L’autrice racconta il romanzo al TGR.