Paolo MalagutiIl Moro della cima

ITE Fermi, Santo Stefano di Cadore (BL)
Classe: V A
Docente: Alessandra Tacus

Esercizio di scrittura creativa a partire dalla lettura de Il Moro della cima di Paolo Malaguti

Nel ventre della montagna

Il Moro iniziò a calarsi nella cavità della montagna in un silenzio tanto intimo e spirituale quanto l’atmosfera che lo circondava; l’oscurità assoluta gli rese necessario affidarsi ai confusi e roboanti rumori prodotti dall’eco, nonché ai pochi indizi offerti dal contatto gelido e inaspettato con le pareti rocciose. «Sta succedendo, sta succedendo veramente» ripeteva nei suoi pensieri man mano che lentamente discendeva in un ignoto di cui aveva solo il vago sentore. Eppure la fatica non era minimamente rilevante: l’adrenalina che sentiva scorrere nel sangue lo rendeva sicuro di sé, e la sua superbia biasimevole lo portò a una sfida personale con la Montagna, al limite di un duello con la stessa Natura che lo aveva cresciuto e lo aveva reso uomo.

Ma la Natura, al contrario della moglie benevola, non guarda in faccia nessuno, e nella sua cieca guerra, combatte anche con il figlio prediletto, con l’uomo che ama, perfino con sé stessa, se lo ritiene necessario. E cosí quella stessa Natura non pensò due volte a punire il traditore che affermava di amarla: dopo pochi istanti il respiro del Moro, rinchiuso nella bocca per cercare di tenersi caldo, pregava di essere liberato. Non gli portò fortuna, in quella circostanza, la camicia di lana verde, del suo colore preferito, compagna di innumerevoli avventure; il tessuto leggero, perfetto per le faticose giornate estive sotto il sole, faceva penetrare sotto la pelle l’aria gelida e umida che mai aveva avuto il privilegio di essere accarezzata dai caldi raggi del sole.

Il corpo del giovane aveva ormai assunto un colore livido, e migliaia di brividi gli correvano dalla testa ai piedi; non era sicuramente in grado di osservare tutto ciò, ma il fatto che a stento potesse continuare a percepirne la sofferenza lo preoccupava, e non poco. Dal terrore iniziò a pregare recitando un’Ave Maria, e alla decima ripetizione le parole risultavano talmente distanti tra loro che l’invocazione non sembrava piú avere un senso logico, tantomeno un inizio e una fine.

Dopo aver rivolto un rapido pensiero alla famiglia e a Menico, all’ultimo «prega per noi peccatori», il Moro perse il controllo dei sensi e si lasciò andare nel vuoto del limbo. Passò un arco di tempo impercettibile prima che nella sua mente apparisse nuovamente un vago stimolo, che per prima cosa si tramutò in una visione. A seguito di un iniziale e intenso biancore, quasi una luce divina, il malgaro si convinse di stare per lasciare definitivamente quel mondo e che non ci sarebbe stato bisogno di pensare a lungo sul dove il suo corpo avrebbe potuto trovare pace; ma quella candida purezza durò meno del previsto, e la rassegnazione alla vita eterna si mutò rapidamente in confusione e smarrimento.

La velocità con cui alcune sequenze di immagini si alternavano davanti ai suoi occhi lo stordiva, eppure non ebbe la forza di urlare, tanto meno di capire come parlare. Il suo corpo tremava e si liberava in rapide convulsioni; dall’eccessiva sudorazione che gli bagnava la testa, al freddo gelido provocava in lui un malessere nauseante; i muscoli non reagivano più ai comandi del cervello, che gli implorava di coordinarsi e di agire il prima possibile.

Comparvero all’improvviso davanti a lui le creature di cui i vecchi raccontavano con orrore le storie, gli occhi bianchi dalla disperazione, le smorfie di dolore, i corpi contorti dallo strazio. Questi si facevano sempre piú numerosi, sempre piú grandi: in ogni direzione in cui voltava il viso, non poteva scampare all’atrocità di queste visioni. Il rumore ritmico del battito cardiaco, ormai irregolare e frammentato, smise di dare una cadenza al tempo quando venne sostituito da gemiti acuti, da urla cosí assordanti che chiunque si fosse trovato all’esterno della cavità avrebbe udito distintamente.

Il terrore e il groviglio dei pensieri piú folli risvegliarono nel Moro una violenza incontrollabile, una rabbia intensa, capaci di ridargli la forza di risalire senza accorgersene e di uscire dall’inferno che pregò non dover mai piú rivedere.

Paola
Virginia