FilelfoL’assemblea degli animali

Liceo Ariosto, Ferrara
Docente: Simona Azzari
Classe: II R

Esercizi di scrittura creativa a partire da L’assemblea degli animali di Filelfo (II parte).

Una vita in gabbia 

Un giorno ero nel pollaio, quando all’improvviso due grosse mani mi presero da terra e mi portarono via, in un posto a me sconosciuto.
Qui si sta malissimo, ci tengono rinchiusi in gabbie appese ai tendoni, ci fanno rimanere nei nostri escrementi e ci danno molto cibo per farci ingrassare. Ogni giorno ho il timore che l’uomo mi scelga, mi metta sul bancone umido e pieno di sangue di altri animali e davanti a tutti mi tagli la testa.
Appena ti guardi intorno vedi solo sofferenza, chiaramente da parte di noi animali; gli uomini sono tutti molto felici, sarà perché uccidendoci portano il cibo in tavola!
Gli umani ai miei occhi risultano superficiali, non pensano per nulla alle terribili condizioni in cui siamo costretti a vivere la nostra breve vita noi animali, ma sono sicuro che se lo provassero, capirebbero come ci sentiamo. Ogni volta che un animale viene scelto, avverto la sua sofferenza e la sua paura e penso che un giorno toccherà anche a me.
Eppure nella mia testa ci sono due idee contrastanti: una mi dice che non vede l’ora dell’arrivo di un umano qualsiasi pronto a portarmi sulla propria tavola e a porre fine alle sofferenze che provo e che vedo ogni giorno; l’altra mi grida di restare in vita e di cercare un modo per scappare e fare da testimone non solo per i polli, ma per tutti gli animali, e correre via a raccontare quello che accade quaggiú e chissà in quali altri posti in tutto il mondo, magari all’assemblea degli animali, se un giorno mai ci arriverò.

Angelica

 

La testimonianza del koala

Io e la mia famiglia vivevamo serenamente in un bosco in Australia… Non ci saremmo mai aspettati l’arrivo di questo inferno che sta distruggendo la vita di moltissimi animali, tra i quali anche i miei parenti. Gli incendi in Australia sono iniziati a metà del 2019. Ricordo tutto nitidamente… Era una calda notte, fino a quel momento tranquilla; a un tratto mi svegliai di soprassalto a causa dell’odore di bruciato che si stava propagando nell’aria molto velocemente. Mi arrampicai su un ramo piú alto e vidi, a qualche centinaio di metri di distanza, gli alberi avvolti dalle fiamme e una nube di fumo denso che si alzava in cielo. Fui preso dal panico, svegliai mia moglie e i miei due figli Koy e Ray e ci allontanammo il piú in fretta possibile dall’incendio, riuscendo cosí a sopravvivere.
Per qualche giorno il bosco in cui ci eravamo trasferiti non venne colpito da incendi, fino al 27 giugno, il giorno piú brutto della mia vita.
Anche in questo caso era notte, stavamo dormendo tutti profondamente; all’improvviso avvertii nelle narici un familiare odore acre di bruciato, spalancai di colpo gli occhi e mi guardai intorno… Ma questa volta era tardi: l’incendio era già vicinissimo a noi. Riuscii a svegliare mia moglie, ma non i miei figli, che erano molto stanchi; cercai di prenderli in spalla ma erano troppo pesanti, e dunque, per salvare almeno la mia vita e quella di mia moglie, dovetti lasciarli lí. Fu un momento drammatico, ma ci demmo forza e, con il cuore straziato, prima di scappare lontano da quel rogo, salutammo per un’ultima volta Koy e Ray.
Era difficile orientarsi in mezzo a quella cortina di fumo, procedevamo a fatica cercando di restare uniti, terrorizzati eppure disperatamente alla ricerca della salvezza. Ovunque morte e lamenti di compagni agonizzanti. Ma dove erano gli umani con le casacche colorate che si diceva spegnessero gli incendi, mettendo in salvo gli animali? E gli elicotteri che spargevano pioggia sui boschi in fiamme per impedirne la propagazione? Nessuno! Eravamo soli, abbandonati al nostro destino. La tosse convulsa a causa della gola arsa e gli occhi appannati da lacrime di dolore, che non smettevano di uscire, ci impedivano la visuale. Avanzavamo a fatica, le zampe sempre piú stanche e pesanti e il pelo bruciacchiato, sorretti solo dall’istinto di sopravvivenza. All’improvviso ci ritrovammo su una strada asfaltata e, poco prima di crollare a terra esausti, si materializzò una donna che ci avvolse in un telo bagnato. Eravamo salvi, ma la nostra vita da allora non è stata piú la stessa. Il mio popolo, simbolo dell’Australia, è a rischio di estinzione e molte altre specie sono minacciate. Milioni di noi sono morti nel fuoco e quelli risparmiati dalle fiamme hanno dovuto lottare con la mancanza di cibo e acqua e con un habitat stravolto e diventato invivibile e spesso non ce l’hanno fatta. L’immane catastrofe ambientale non solo ha ridotto notevolmente la fauna e la flora australiana – si pensi ai milioni di ettari di foreste di latifoglie inceneriti – ma ha anche portato alla distruzione di tantissime abitazioni e all’evacuazione di interi insediamenti, per non parlare della grande quantità di anidride carbonica rilasciata nell’aria, causa di intossicazioni di persone e animali.
Di chi è la colpa? Certo, le scarse precipitazioni, la conseguente siccità e le elevate temperature hanno rappresentato un fattore predisponente per lo sviluppo degli incendi, ma questi eventi metereologici sono influenzati dai cambiamenti climatici in atto. E il surriscaldamento globale è opera dell’uomo. Dell’uomo e della sua sete di guadagno e potere. Il sottosuolo australiano è ricchissimo di giacimenti petroliferi e continuamente le enormi risorse di carbone vengono estratte con scavatrici giganti e rumorose, che terrorizzano noi animali. L’intensa attività industriale è considerata molto importante, perché offre lavoro a gran parte della popolazione e il governo non vuole ammettere che le crescenti emissioni di carbonio e le massicce esportazioni di combustibili fossili, prima causa delle alterazioni climatiche, abbiano giocato un ruolo fondamentale nella crisi degli incendi. Edizioni speciali di riviste e telegiornali hanno divulgato la notizia dell’arresto di centinaia di piromani e, quindi dell’origine dolosa degli incendi, solo per distogliere l’attenzione e negare il peso del cambiamento climatico nella questione.
E pensare che l’Australia con i suoi vasti territori, per lo piú disabitati, la sua ricchezza di fonti rinnovabili e il suo livello di industrializzazione e avanzamento nella ricerca molto alto, potrebbe sperimentare un sistema energetico alternativo – eolico, fotovoltaico e idroelettrico – e ridurre le emissioni di gas a effetto serra. Potrebbe dimostrare al mondo che di carbone, gas e petrolio si può anche fare a meno, salvando cosí il nostro Pianeta dall’inquinamento e preservandone la biodiversità. Che sogno fantastico! Ritornare a vivere serenamente nei boschi di eucalipto e respirare a pieni polmoni aria profumata! Ma questo sarà possibile solo se gli umani smetteranno di comportarsi in maniera sconsiderata, cessando la loro opera di sfruttamento selvaggio del territorio e tornando ad amare la natura. La natura che si ribella con inevitabile furia – valanghe, terremoti, frane, alluvioni, incendi – alla follia dell’uomo. Occorre invertire la rotta presa dall’umanità e ricucire il rapporto uomo-natura; solo cosí la nostra casa, la nostra madre Terra, non sarà piú in pericolo e ritornerà a essere un posto meraviglioso in cui vivere.

Jacopo

 

La mia casa non è adatta ai rifiuti

Oggi è una giornata soleggiata, esco a pelo dell’acqua e sento il calore che mi invade il viso. Mi guardo intorno e vedo una grossa barca, che piano piano oscura il sole. Ritorno sott’acqua per evitare di essere vista, non sarei la prima ad essere catturata da quegli umani. Poco dopo risalgo e vedo che stanno buttando in acqua un’enorme quantità di spazzatura. Cinque minuti dopo la nave è già lontana, mi allontano dalla zona in cui hanno buttato i loro rifiuti. Continuo a nuotare, aumentando sempre di piú la velocità, cercando di non essere raggiunta da quell’ammasso di rifiuti. Inizio ad essere stanca di fuggire, non ho piú forze. Decido di provare a resistergli, evitando gli oggetti che mi vengono addosso. Sta arrivando, mi sovrasta, non vedo piú niente, faccio fatica a muovermi, mi sento bloccata, qualcosa mi blocca la zampa, sento fastidio anche nella gola. Le correnti si sono calmate, la nuvola nera è passata, finalmente posso salire in superficie. Ancora sento il calore invadermi il viso, è piacevole, ma faccio fatica a respirare. Dopo qualche secondo, riesco a buttare fuori un oggetto molto lungo e sottile, di un colore sgargiante, sembra in plastica. Ricordo di aver visto un oggetto simile usato da un umano per bere, mi trovavo vicino a una spiaggia, ma non so il nome con cui lo chiamano. Sento ancora qualcosa che mi stringe e mi blocca la zampa destra, non riesco a capire di cosa si tratta. Nonostante i miei sforzi, non si toglie e rimane ancorato al mio arto. Perdo le speranze e riprendo a nuotare nella direzione opposta alla spazzatura, sperando che gli umani capiscano che i mari, gli oceani, le foreste, i laghi e tutti quei luoghi, quei bellissimi spazi che noi animali chiamiamo casa non sono il luogo adatto a buttare quello che loro scartano.

Jennifer

 

La voce dei panda

Uno dei piú grandi problemi ambientali in questo momento è il disboscamento, infatti le foreste sono state decimate in dieci anni.
Bisogna intervenire, perché questo è un problema serio che riguarda tutti. I paesi piú interessati sono Russia, Brasile e Canada, in cui sono scomparsi due terzi degli alberi, ma questo problema è presente in tutto il mondo. Gli alberi sono importantissimi perché, durante la fotosintesi, prendono l’anidride carbonica e rilasciano ossigeno, inoltre sono fondamentali per la compattezza del suolo e sono habitat di moltissime specie animali. La principale causa del disboscamento è l’agricoltura. Questo è un controsenso, perché si abbattono alberi per piantarne altri. Il disboscamento non sarebbe negativo, se venissero tolti gli alberi vecchi e malati, ma purtroppo la maggior parte non lo sono. Le conseguenze della deforestazione si ripercuotono sul clima, sull’ambiente e soprattutto sugli animali. Le persone che non ci credono o alle quali questa questione non interessa devono sapere un solo dato: OGNI DUE SECONDI SCOMPARE UNA FORESTA GRANDE COME UN CAMPO DA CALCIO.
Sentiamo cosa ne pensano i panda. Abbiamo incontrato un gruppo di panda giganti di Sichuan, ecco quello che ci hanno detto. «Vengono sempre, sia di giorno sia di notte – dice un primo panda – con motoseghe e ruspe, e distruggono le nostre case. Per questo siamo costretti a scappare, da albero ad albero, lontano dagli umani. Dobbiamo fare qualcosa o non rimarrà neanche un arbusto e gireremo continuamente senza meta alla ricerca di una nuova casa. Gli umani non capiscono che danneggiano anche loro stessi, perché gli alberi sono importantissimi per la vita. Noi panda giganti siamo l’emblema nazionale della Cina, ma gli uomini di qua sono completamente disinteressati del nostro futuro: infatti si è scoperto dell’abbattimento di 1300 ettari di foresta nella provincia cinese del Sichuan. Oltretutto siamo il simbolo del WWF! Come è possibile che siamo cosí in pericolo? Siamo in una situazione molto grave: siamo rimasti solo 1600! Dobbiamo fare qualcosa, il nostro destino è l’estinzione».
Un secondo panda prende la parola: «Esatto, c’è il rischio che ci catturino e ci portino via dalla foresta. Una mattina tranquilla, mi stavo rilassando sotto un albero con mio fratello. Dopo un po’ la terra ha iniziato a tremare e abbiamo sentito quello strano rumore, che da qualche mese è diventato abituale, di ruspe e macchinari. Mi sono reso conto del pericolo quando il rumore si avvicinava sempre di piú. Allora ho detto a mio fratello che dovevamo andarcene da lí. Cosí abbiamo iniziato a correre ma dopo una quindicina di metri non ho visto piú mio fratello, quindi mi sono girato e l’ho visto intrappolato sotto un albero appena abbattuto. Probabilmente si è rotto la gamba, schiacciata dal tronco enorme tagliato. Ero deciso di andarlo a salvare ma, da dietro l’albero, è sbucato un uomo che, appena ha visto mio fratello, ha esclamato con gioia: “Guardate che bella sorpresa, probabilmente varrà anche qualcosa”. Dopodiché lo ha preso con sé. Chissà cosa gli faranno; spero di rivederlo un giorno, ma ne dubito. Lui non è il solo a essere stato preso. Dobbiamo vendicarci!»
Interviene alla fine un panda che sembra il piú anziano, probabilmente è il capo di questo gruppo: «Calma. Avete ragione… Mi dispiace molto per tutti loro, ma decideremo insieme, è a questo che serve l’assemblea». Un grosso panda, visibilmente arrabbiato, sbraita: «Non possiamo stare calmi, ormai troppi di noi non ci sono piú… Dobbiamo fare qualcosa e in fretta: dobbiamo attaccarli e fargli capire che non sono piú forti della natura e che non possono fare quello che vogliono. Non è ancora troppo tardi per agire e questo è l’unico modo. Chi è con me mi segua». Il panda si mette in marcia convinto del suo piano. Poco dopo, uno a uno, tutti i panda si schierano dietro di lui. La risposta dei panda c’è: non staranno fermi a guardare il loro popolo morire.

Federico

 

Inutile sofferenza…

Questa è l’espressione che meglio esprime ciò che proviamo io e tutte le altre forme di vita dell’acqua, non appena realizziamo che stiamo morendo uno a uno, a causa dei danni che ci arreca l’uomo gettando ogni anno tra i cinque e i dodici milioni di tonnellate di plastica nel nostro mare. Vaste estensioni marine e oceaniche inquinate e devastate, insieme ai miei compagni che ci abitiamo. L’uomo non si accorge dei danni che provoca non solo a noi, ma anche a sé stesso, che ci riceve nei suoi piatti e ci divora, introducendo nel suo organismo la plastica e le sostanze chimiche che noi inghiottiamo confondendole con cibo. Tali sostanze vengono in parte trasportate dall’azione del vento, ma la maggior parte di esse vengono gettate dagli umani nelle nostre acque. Molti di noi rimangono intrappolati in prodotti di plastica, come se fossero reti, rischiando di rimanere uccisi mentre nuotano. Infatti quando ci impigliamo in essi ci procuriamo gravi ferite e la nostra capacità di movimento viene gravemente ridotta, rendendoci difficile trovare cibo. Quanti miei amici ho visto morire cosí! Circa quattrocentomila mammiferi marini trovano la morte in questo modo atroce e insensato negli oceani. Mi hanno detto che si stima che entro il 2050 il peso della plastica sarà superiore a noi pesci. Mangerete plastica, cari uomini? Per questo dovete cambiare, per il nostro bene, ma anche per il vostro!

Larisa

 

Ridateci la libertà

Cosa dobbiamo dire noi galline?! Sfruttate negli allevamenti intensivi, gli umani ci crescono e poi ci obbligano a riprodurci in ambienti confinati, senza farci mai vedere il terreno o la luce del sole. Tutto è cominciato nel XX secolo per soddisfare la richiesta di carne e uova che aumentava. Gli allevamenti intensivi riducono i costi di produzione, però a nostre spese! Ho visto troppe mie compagne morire in queste strutture, per lo sfruttamento o per la scarsità di cibo. Centinaia sono ancora questi tipi di allevamento, diffusi in tutto il mondo. I nostri pulcini non possono vivere in queste condizioni. Tante persone, definite animaliste, hanno cercato di cambiare le cose, ma molte volte senza successo, perché gli interessi economici vengono prima di noi, e prima di tutti gli animali. Molte galline hanno rischiato o sono morte per la situazione igienico sanitaria, completamente assente in quelle strutture massacranti. Migliaia di animali ammassati senza avere spazio per respirare, condannati ad un futuro buio, con la speranza solo di sopravvivere. Nel mondo due animali su tre vengono allevati in modo intensivo, tenuti in gabbia e usati come macchine da riproduzione. Il danno non è solo nostro, ma anche di povere persone che non hanno commesso nulla: infatti, con il cibo che noi consumiamo in queste prigioni, si potrebbero nutrire vite umane e diminuire notevolmente la fame nel mondo. Molti alimenti come cereali, soia e anche il pesce pescato vanno ad alimentare gli allevamenti intensivi quando potrebbero sfamare quasi tre miliardi di persone. Questi allevamenti non sono solo di galline ma anche di tantissime altre specie, come bovini e suini. Dobbiamo cambiare la situazione e fare in modo che tutte le specie possano crescere e riprodursi in ambienti sani e sicuri sia per loro, ma anche per i cuccioli. Lanciamo quindi un appello a tutti e soprattutto alle persone complici di questo sfruttamento e massacro.

Martina

 

Sognando un luogo sicuro

La vita nella foresta amazzonica non è semplice come sembra, noi pappagalli stiamo soffrendo. Ogni giorno, molte persone arrivano nelle nostre case e le spazzano via, come se niente fosse. Arrivano con quei macchinari assordanti e tagliano rami ed alberi. Abbiamo visto molte specie animali rimaste senza una dimora a causa della deforestazione. Ogni mattina ci svegliamo sperando che le nostre case e i nostri nidi, con i nostri cuccioli, rimangano intatti. Molti di noi provano a scappare, ma questo tremendo fenomeno si è diffuso ormai nella maggior parte dei boschi e delle foreste a livello globale. Pensiamo che gli uomini procurino questa distruzione per ricavare ricchezze dagli alberi e altre materie utili per le industrie. Inoltre, questi luoghi disboscati vengono trasformati in campi coltivati, zone industriali e villaggi. Ogni mattina si vedono sempre nuove gru, scavatori al lavoro e i rumori sono troppo fastidiosi, non solo per noi, ma soprattutto per i piccoli appena nati. Non sappiamo se domani queste attività cesseranno o continueranno. Vorremmo solo far crescere le future generazioni e tutta la popolazione della foresta in un ambiente sicuro e protetto, non in un mondo dove la paura e l’angoscia sono quotidiane. Speriamo che gli uomini capiscano presto l’errore che stanno compiendo, non solo per gli animali ma per l’intero pianeta.

Anna

 

Sono io

Sono io, il tilacino, conosciuto come la tigre della Tasmania, il lupo marsupiale, o il lupo australe; insomma, se non mi conosci, devi documentarti assolutamente! D’altro canto, è plausibile che molti di voi non mi conoscano, essendo considerata la mia una specie estinta, o meglio, già estinta prima ancora di quel terribile incendio che ha devastato la mia terra australiana. L’uomo, l’essere piú egocentrico e nocivo di questo mondo, credeva di avermi estinto per la troppa caccia e per la distruzione del mio habitat, e oggi, purtroppo ci è riuscito. Sono l’ultimo esemplare della mia specie, ma non pensavo che la mia fine potesse essere cosí orribile e atroce. Come al solito ero seduto all’ombra, sotto un cespuglio, ad ammirare la selva dell’Australia, quando vidi una nube nera che si avvicinava sempre piú, seguita da fiamme che distruggevano la foresta e che uccidevano gli altri animali. In quello spettacolo non mi alzai, la mia ora era giunta e, sapendo che l’uomo aveva vinto, rimasi tranquillo, chiusi gli occhi, e mi lasciai avvolgere dalle fiamme. Magari, adesso, potrò riposare.

Gianluca

 

Il mio destino è segnato

Sono stanco. Non so neanche dove mi trovo… Ero lontano da casa, molto lontano da casa… e di questo ero sicuro. Il mio corpo era vittima di brividi, di freddo e di paura e tuttora lo è, mentre racconto cosa mi è accaduto poco tempo fa. Stavo cacciando con tutta la mia famiglia; mio fratello maggiore era andato in cerca di piccole prede per la merenda, lo tenevamo d’occhio, aveva raggiunto i paraggi del villaggio. Io ero appena riuscito a catturare una volpe artica molto veloce, per cui ero affaticato. Tutto a un tratto, abbiamo sentito uno sparo. Allarmati, siamo fuggiti dietro un ghiacciaio per stare piú al sicuro. Mio padre, trascorsi circa cinque minuti, ha sbirciato e ha visto mio fratello maggiore accasciato a terra, con due uomini in divisa e un fucile in mano che si avvicinavano lentamente al corpo. Arrivati lí i due uomini hanno preso mio fratello, che era addormentato e non morto, e lo hanno trasportato sulla loro nave, attraccata nel porto a poche centinaia di metri, nella quale si potevano vedere benissimo dieci gabbie, nelle quali erano rinchiusi alcuni dei miei amici orsi polari. Hanno ingabbiato mio fratello e hanno fatto partire la nave… Era un addio a mio fratello… Sapevamo tutti cosa gli sarebbe successo una volta arrivato là, nella terra degli uomini. Questa situazione mi ha colpito veramente molto… E non era la prima volta che vedevo un altro orso essere colpito dagli spari e venire trasportato nella tana dell’uomo, ma questa volta faceva ancora piú male… Era mio fratello! Non sono neanche riuscito a salutarlo e non mi capacito neanche di che fine farà… A questo punto non posso fare altro che rassegnarmi e accettare che ogni giorno ci sarà sempre un mio simile che o morirà o verrà catturato e imprigionato. Avevo tanta paura e ce l’ho anche ora, e temo proprio che il mio destino ormai sia segnato.

Cesare

 

Il bersaglio

Mi chiamo Lan, sono una delle 200 scimmie Langur rimaste, e oggi vi racconterò la storia della mia famiglia.
Abito in Vietnam, un paese affacciato sul Mar Cinese Meridionale; questa nazione non è molto urbanizzata e le foreste e i campi agricoli prevalgono, ma non è sempre stato cosí. Mio nonno mi parlava spesso di sé e degli orrori che ha dovuto vivere tra gli anni ’60 e l’inizio del ’70.
Un giorno era seduto su un ramo sgranocchiando delle foglie, quando sentí dei forti rumori provenienti dal cuore della foresta e, incuriosito, decise, assieme ai suoi amici, di andare a vedere; dopo un po’, passando da lancio a lancio, da una liana all’altra, videro finalmente la fonte del rumore. Erano due gruppi di persone che stavano costruendo due accampamenti uno di fronte all’altro; un gruppo aveva una divisa verde chiaro, l’altro verde scuro: se non fossero stati in una radura si sarebbero confusi con la foresta.
Dopo poco iniziarono i combattimenti tra questi due gruppi, che diventarono sempre piú numerosi e violenti. Tra i giovani amici e mio nonno partiva qualche scommessa su chi avrebbe vinto la battaglia. Pochi giorni dopo, mentre erano intenti a guardare l’accampamento, mio nonno vide un soldato (americano) mirare a suo fratello Lung: dopo pochissimi secondi sentí un fortissimo rumore passare vicino a lui e vide Lung cadere a terra e il suo bellissimo pelo giallo tingersi di un acceso rosso. Mio nonno rimase qualche secondo immobile, cercando di capire quello che sarebbe successo, ma il soldato iniziò a sparare a lui e a tutte le scimmie che erano lí sugli alberi.
Lui riuscí a scappare, ma l’inferno era appena iniziato, perché qualche settimana dopo, il 24 dicembre 1964, iniziarono i bombardamenti da parte degli americani che distrussero con le fiamme gran parte della foresta e della mia popolazione. Alla fine di questi bombardamenti, nel 1975, del suo branco rimase vivo solo lui e per quattro anni pensò di essere solo, l’ultimo della nostra specie. In un bel giorno di primavera, il 3 maggio 1979, vide una creatura gialla e grigia muoversi fra gli alberi e decise di seguirla, anche se l’ultima volta che aveva ascoltato la sua curiosità non gli aveva portato tanta fortuna. Dopo qualche minuto che la inseguiva, vide che si fermò su un albero proprio davanti a lui. Mio nonno decise allora di nascondersi, per non farsi scoprire e poterla osservare con calma e attenzione. Dopo una bella occhiata, notò che quell’essere era proprio interessante, anzi, molto interessante, tanto che prese coraggio e si avvicinò. Fu lí che conobbe mia nonna e tutto ricominciò.
Tutti pensavano che la foresta non si sarebbe mai ripresa dalla guerra e che alcune delle specie che ci abitavano sarebbero scomparse per sempre, ma oggi, a distanza di 50 anni, sono stati trovati alcuni degli animali che si pensava fossero estinti come i Langur del Vietnam. Ne hanno trovati 200, il 90% proprio in Vietnam dove sono specie protetta. La guerra non ha solo distrutto un paese economicamente e politicamente, ma ha anche stravolto il territorio e l’ambiente naturale, che da allora sta faticando per tornare alla forma originale, ma senza alcune delle sue specie, perse per sempre.

Ruggero

 

Quello che vediamo con i nostri occhi

Siamo a rischio estinzione già da diversi anni. La nostra sopravvivenza è minacciata da attività umane dannose come catture accidentali da parte della pesca, scarsità di cibo, inquinamento chimico e acustico, riscaldamento globale e scontro con le navi. Ogni giorno una di noi viene catturata o uccisa, non riusciamo piú a stare nel nostro habitat naturale, ci è difficile, ormai il mare non può essere considerato una casa sicura. Ci fa male essere separate l’una dall’altra, mamme dai propri cuccioli, cuccioli dalle proprie mamme, a causa di queste attività dell’uomo. L’Oceano sta diventando sempre di piú la discarica della Terra: tanti, ma tanti rifiuti, vengono gettati nell’acqua senza pensare al fatto che possono essere digeriti da noi balene, ma anche da tartarughe marine, gabbiani, delfini e non solo.
La plastica è l’elemento piú diffuso che troviamo nell’acqua. Ci sono piccoli pezzi di plastica che restano nei nostri fanoni impedendoci una normale assunzione del cibo; mi ricordo ancora l’episodio di quando una di noi stava cercando il krill, e ha trovato invece una massa di plastica, ha provato a espellerla ma con scarsi risultati e ha sofferto per giorni. È stato molto difficile per noi non riuscire ad aiutarla e sappiamo anche che lei non era l’unica e che molte altre creature acquatiche sono addirittura morte.
A inquinare le acque con i rifiuti sono anche i pescatori che perdono le reti in mare aperto o semplicemente gettano dalle barche quelle rotte. Gli esseri umani non capiscono che danneggiando l’ambiente, di conseguenza danneggiano anche loro stessi: le sostanze che si creano nei fondi marini ritornano da loro, perché vanno a compromettere l’ossigeno e queste sostanze vengono digerite dai pesci e poi anche dagli umani.
Siamo stanche di non essere considerate, siamo stanche di perdere sempre piú animali. Vorremmo solo che l’uomo si accorgesse che sta sbagliando, non è mai troppo tardi, c’è ancora tempo, per non inquinare, per non gettare rifiuti nel mare, per non catturarci o ucciderci.

Giulia Raluca

 

John in cerca di una famiglia

«Ehi, ciao! Io sono John. Tranquilla, anche se mi sto asciugando, ti ascolto. Sai, vengo da quella piccola lastra che vedi in lontananza. Già, è bella lontana, ma fidati che a nuoto lo è molto di più». Dopo una piccola pausa mi stesi nella casa che avevo scelto per la notte. «John, raccontami qualcosa di te. Non è comune trovare un orso polare della tua stazza da queste parti, cosí lontano da dove una volta abitavano gli antichi orsi» mi fece notare la bizzarra ma elegante pernice. Mi alzai, spiazzato dalla domanda e dopo un sospiro dovuto alla fame presi coraggio e iniziai a raccontare la mia storia.
«Deve sapere miss…»
«Oh può chiamarmi semplicemente Gio».
«Va bene… Gio, deve sapere che ormai da tempo al nord le cose sono cambiate e non in meglio. Due anni fa ho perso mio fratello, mi era rimasto solo lui dopo il disastro del ghiacciaio per colpa degli umani, in cui rimasero coinvolti i miei genitori. Dopo una traversata di due lune intere, ci siamo fermati per cercare di costruirci un riparo, lui è rimasto incastrato in mezzo a due spuntoni di ghiaccio che avevano iniziato a sciogliersi per via del riscaldamento globale e non sono riuscito a tirarlo fuori da lí e poco dopo mi sono accorto dell’arrivo degli uomini. Ormai è da quel momento che giro solo per le lande del nord sempre meno fredde e piene di bipedi. Vorrei avere nuovamente una famiglia, ma di orsi da queste parti se ne vedono pochi ormai, poi non riuscirei a garantire ai miei piccoli cibo a sufficienza e una protezione costante. Ormai è diventata una lotta per la sopravvivenza; non vedi quanto sono magro e malandato?»
Con la mia domanda notai lo stupore nella pernice, che era rimasta sbalordita dalla mia vita di tutti i giorni e dalla mancanza di miei simili.
«Beh, John, perché, come molti altri hanno fatto, non ti sposti anche tu ancora piú verso nord? Come puoi continuare una vita cosí difficoltosa? Durerai a malapena per altri due anni per colpa degli uomini e dei loro strani apparecchi per fare caldo che piano piano ci dimezzano».
Dopo aver fatto lo sforzo di trattenere le lacrime per non mostrarmi un debole davanti a un pennuto le risposi: «Vedi Gio, questa è casa mia, qui sono nato e ho visto morire la mia famiglia, non posso abbandonarla e poi non resisterei molto altro tempo altrove, il grande freddo ormai è finito». In un momento di debolezza personale e confusione della pernice la invitai a uscire inventandomi un appuntamento e mi rinchiusi nella mia tana aspettando come ogni sera la mia fine.

Federico

 

Attenti all’uomo

E pensare che mi ero fidato di chi mi ha piú tradito.
Per raccontare meglio la storia è giusto che parta dal fulcro della questione, però…
Nella mia foresta, come ogni giornata, stavo perlustrando l’area per riuscire a procacciarmi il pasto quotidiano. Quel giorno però, la mia missione non fu portata a termine, o almeno, mi fu impedito di farlo. La giornata era tetra e buia, le nuvole erano scure e il cielo non presagiva nulla di buono, per cui mi allontanai sempre di piú dalla foresta, cercando un rifugio per l’imminente maltempo, non pensai minimamente a cosa, o meglio a chi stessi andando incontro.
Allontanandomi, notai qualcosa: gli umani. Erano creature per me strane e misteriose, non molte volte li avevo avvistati da queste parti, per di piú solo di vista fugace. Gli anziani del branco, sin da quando ero un innocuo cerbiatto, mi avevano sempre avvertito su come era in realtà l’umano, sulle cose spietate che riusciva a provocare e fin dove la sua cattiveria si poteva spingere, ma in quel momento non tenni conto di tali parole, pensavo che anche in lui ci fosse sicuramente qualcosa di buono… e invece mi sbagliavo.
Avvistandoli non molto lontani da me, rimasi incantato a guardarli, ispezionavo ogni loro dettaglio, dal piú ovvio a quello piú piccolo, tanto che non mi accorsi che anche loro mi avevano intravisto. Ci fu un contatto visivo con uno degli umani e l’unica cosa che riuscii a vedere era l’espressione «nera», segno della natura selvaggia della persona. Tanto attento a ciò, non mi accorsi dello sparo che era partito verso la mia direzione. Per fortuna mi passò solo vicino, ma in preda al terrore iniziai a scappare piú veloce che potevo. Corsi, corsi e ancora corsi fino a quando le mie zampe riuscivano a tenermi, sentii altri spari, altre urla, addirittura risate da parte degli uomini, sí… per loro era un semplice divertimento.
Riuscii in qualche modo a sottrarmi da una fine brusca e cruenta e li seminai addentrandomi piú che potevo nella foresta a me ben conosciuta.
Non scorderò mai quel momento, quella situazione, quegli occhi e quella ferocia. So che al mondo non tutte le persone sono uguali ma ormai la maggior parte di esse sono avide e non riescono a pensare a nessun altro oltre a sé stessi.

Kristina