Melania G. MazzuccoVita

Liceo Teresa Gullace Talotta, Roma
Classe: IV ES
Docente: Sylvie Bruno

Incontro con la scrittrice

Con disponibilità, chiarezza e tono non accademico ma colloquiale e affabile, la scrittrice Melania Mazzucco ha risposto, con la stessa accuratezza, sia alle domande piú strutturate che a quelle legate a curiosità circa il suo appassionante romanzo storico, Vita, incentrato sulla ricostruzione dell’epopea dell’immigrazione italiana dei primi anni del Novecento in America, raccontata però attraverso la travagliata storia d’amore tra i due protagonisti, Vita e Diamante, dei quali si svolge cosí anche il percorso di crescita e formazione, dall’infanzia fino alla maturità.

In merito agli argomenti toccati, secondo il dipanarsi libero delle domande, uno dei piú interessanti ha riguardato il movente che ha spinto la scrittrice a scegliere il tema del romanzo, che l’ha impegnata in anni di ricerche documentaristiche e in un faticoso viaggio nella memoria delle sue origini: la ragione, non cosí manifesta al lettore, è stata il ricordo di suo padre e la volontà di riallacciare con lui un dialogo, peraltro difficile e interrotto prematuramente a causa della sua scomparsa, dedicando alla sua figura intense pagine del romanzo, nelle quali risalta la sua laconicità quasi impenetrabile e il suo nascosto mondo interiore, fluito nelle sue creazioni letterarie in qualità di scrittore per il teatro. Ma la presenza nel romanzo del padre, a proposito del quale la scrittrice ha confessato di aver incontrato le maggiori difficoltà narrative, soprattutto nel ricordo dei pomeriggi festivi trascorsi a rivedere vecchi film di Charlie Chaplin, l’attore comico che interviene come deus ex machina a salvare la vita di Diamante, rimanda alla domanda sul ruolo che ha svolto il riaffiorare, in modo fortemente intersecato con il recupero della memoria collettiva dell’emigrazione, della propria memoria familiare, rivissuta attraverso l’avventura di Diamante, nonno dell’autrice.

Questa riappropriazione non è servita, ha dichiarato la scrittrice, per autodefinirsi in senso identitario, per qualificare se stessa in base all’appartenenza al popolo italiano e alle sue peculiarità, ma, al contrario, per espandere, dilatare e arricchire la sua interiorità, aggiungendo ad essa la coscienza delle proprie origini, rafforzando però la percezione di sé come cittadina del mondo.

E del nostro passato e di quel patrimonio di credenze, leggende, superstizioni magiche che connotava il sapere popolare dei migranti di ogni provenienza geografica fa parte anche la piccola fiaba della «Donna-albero» che Diamante II, detto Dy, ricorda, cosí come il «dono» appartenente a Vita: modi, per entrambi, di veicolare al lettore, riconosce l’autrice, la peculiarità della cultura contadina e rinforzare il senso della continuità con il passato.

E infatti è stato proprio il tema delle nostre radici nella parabola dell’emigrazione che ha suscitato molti interrogativi, a cominciare dalla possibile accostabilità dei protagonisti alle categorie interpretative dei personaggi sublimi e pragmatici, usate per l’esegesi del Furioso.

Pur sorpresa dal rimando, l’autrice ha riconosciuto che l’analogia è sensata, poiché sia Diamante, che ha conservato intatto il suo ideale nonostante la monumentalità dello sforzo, sia, nella totalità, gli emigranti italiani, e non, incarnano figure epiche, capaci di sopportare degrado e sopraffazione per affermare la propria sopravvivenza e quella della famiglia lasciata al paese di origine. A questo riguardo la scrittrice ha ricordato che la grande maggioranza degli emigrati non corrisponde all’esempio di Diamante, che ha rinunciato al sogno americano, poiché moltissimi, nonostante la durezza della prova, sono riusciti anche ad emergere, come nel caso dello stesso Geremia, il cui incidente in miniera, raccontato nel romanzo in tono documentaristico ma con tensione emotiva, è il preciso resoconto, ha precisato la Mazzucco, di un evento realmente accaduto.

Analoghe condizioni di scarsa tutela sul lavoro e di sfruttamento sono ancora sussistenti tra i migranti della nostra attualità, fa notare la scrittrice: ma perché allora, è stato chiesto, la generazione che discende da una storia di migrazione è così insensibile nei confronti di chi ora incarna la stessa figura di migrante dei nostri antenati? Attingendo a un ricordo del suo passato, quando assisteva al trattamento scorretto che i contadini italiani mostravano verso i braccianti neri o stranieri impiegati nei campi, la scrittrice argomenta che ciò probabilmente accadeva a causa della mancata consapevolezza dei soprusi subiti, e poi inflitti, da parte di una generazione ancora priva di coscienza civica, ma spinta comunque, per una sorta di sensibilità alla miseria condivisa, a slanci di generosità nei confronti dei sottoposti.

In occasione di quesiti su particolari scelte o episodi del romanzo, interessanti sono stati gli approfondimenti di alcuni personaggi, come quello di Lena, che realmente esistita, con un nome impronunciabile di origine forse circassa, è in gran parte ricostruito e immaginato, al pari dell’episodio dell’incendio, anch’esso basato su documenti frammentari e dubbi; la scomparsa del personaggio di Lena per buona parte del racconto è stata dovuta, precisa la scrittrice, alla sua volontà di far avvertire alla coscienza di Vita e alle cognizioni del lettore il peso del senso di colpa derivato dal gesto della bambina, responsabile dell’incendio.

La collocazione nel romanzo della figura di Caruso e i brevi resoconti della sua vita, tra il successo e il declino, risponde all’intenzione, ha spiegato l’autrice, di esibire un modello luminoso di affermazione di un italiano all’estero; il matrimonio tra Vita e Geremia testimonia invece il sano pragmatismo della ragazza che sceglie, al pari di tante altre donne del passato, la solidità di una condizione economica piú stabile: piuttosto che cedere a facili sentimentalismi e picchi di romanticismo la scrittrice ha cioè preferito conservare la corposità realistica dei suoi personaggi.

Riguardo allo stile del romanzo, che usa la forza espressiva di una lingua ibrida, in cui si ricorre quasi regolarmente alla contaminazione di piú idiomi, l’italiano, il dialetto e l’americano, con un effetto di immersione nella realtà linguistica dei personaggi, ciò che ha destato curiosità è stata la scelta dell’autrice di usare il discorso indiretto libero e il discorso diretto libero, una scelta dettata, ha spiegato, dalla sua preferenza per un tipo di narrazione vicina al flusso interiore della coscienza, nel quale le parole e il sentire dei personaggi sono assorbiti, filtrati attraverso l’espressione onnisciente del narratore.

Un numero significativo di domande si è infine orientato su curiosità riguardo all’esercizio della scrittura, al rapporto che la scrittrice intrattiene con essa e con le sue opere: è emerso il quadro di una scrittrice viscerale, appassionata, la cui assiduità con lo scrivere fin dall’infanzia testimonia la gioia tratta dalla parola scritta, la quale, nella maggior parte dei suoi libri, è stata sostanziata e supportata da viaggi e ricerche documentaristiche, svolte intorno a temi storici e sociali affrontati sempre con un realismo non privo di forza poetica.

Leonardo