FilelfoL’assemblea degli animali

Liceo Ariosto, Ferrara
Docente: Gabriella Rocca
Classe: III Y

Elaborati di scrittura creativa a partire dalla lettura de L’assemblea degli animali di Filelfo.

1. Gli uomini

Da sempre gli uomini sono stati abili cacciatori: fin dall’antichità bastoni, lance con la punta di pietra e sassi erano usati per catturare le prede piú piccole, mentre quelle piú grandi, come orsi o mammut, venivano cacciate in gruppo poiché, si sa, l’unione fa la forza. A quel tempo cacciare era sinonimo di sopravvivenza. Certo, gli animali sono sempre stati le vittime. E ora? Probabilmente cacciare è ancora sinonimo di sopravvivenza, tuttavia alcuni lo fanno giusto per il gusto di divertirsi e questo implica che cacciare diventi quasi sinonimo di svago, passione. Anche se gli uomini non sanno che potrebbe cambiare loro la vita, specialmente a uno in particolare.

Era una normale giornata d’autunno.

Le temperature erano calate e la nebbia era fitta. Il signor Giorgi si stava preparando per andare a cacciare insieme ad altri suoi tre amici. L’orario e il posto erano i soliti, sapeva perfettamente come arrivarci nonostante la scarsa visibilità. Era un luogo lontano dalla città, ma era il suo preferito: quando era piccolo amava andarci insieme a suo nonno. Quest’ultimo gli aveva insegnato tutte le tecniche per essere un buon cacciatore: la sua famiglia aveva sempre avuto un debole per la caccia. Arrivato a destinazione lui e i suoi amici si addentrarono nel bosco. A un certo punto il signor Giorgi si allontanò da loro: aveva avvistato un lupo, una preda alquanto buona. Prese il fucile e sparò. Riuscí a colpirlo. Il lupo era in fin di vita: l’ultima cosa che fece fu emettere un ululato che non stava a significare nulla di buono. Il signor Giorgi era soddisfatto, forse troppo, ma non sapeva a cosa stava andando incontro.

L’ululato del lupo arrivò fino al suo branco: lui era il capo ed era facile riconoscerlo. Era il piú abile tra tutti, il piú veloce e il piú furbo, ma quella volta non si dimostrò tale, forse per la nebbia? Perché era stato troppo azzardato allontanarsi cosí tanto dal branco? Era morto.

Il capo branco piú anziano, a quel punto, fece iniziare un’assemblea chiamando tutti i lupi dei dintorni e non. Non c’era piú rivalità tra loro. Quando c’erano queste assemblee l’odio e l’inimicizia sparivano: era la prima regola.

Un fischio fece iniziare l’incontro. Presero la parola in molti: vendicarsi era la parola chiave emersa da tutti i discorsi. Il lupo anziano, fino a quel momento, non aveva proferito parola sull’accaduto: aveva solamente ascoltato tutti i pareri, simili tra loro, e aveva tratto le sue conclusioni. Decise cosí di prendere la parola: «È tempo di darci pieni poteri. Io vi garantisco un uomo morto per ogni animale morto. Come dicono loro, occhio per occhio, dente per dente». Tutti applaudirono e si prepararono per la vendetta.

Era sera e l’uomo, tornato a casa dopo quella giornata stancante ma vittoriosa, iniziò a preparare la cena. Il momento di felicità durò davvero poco: pensava al lavoro, che in quel tempo non andava molto bene per via della grande pandemia che si era diffusa. Pensava al futuro e si chiedeva continuamente cosa avrebbe fatto se la ditta fosse fallita. Nascere, sopravvivere, mangiare, riprodursi e morire; e nel frattempo godere l’attimo. È la lista per tutti tranne che per l’uomo. A distoglierlo dai suoi pensieri fu un grande rumore che proveniva dalla strada. Credeva di avere le allucinazioni: erano lupi ed erano arrivati fin lí. Sapeva bene il motivo del loro arrivo. D’altronde, a differenza degli animali, gli uomini vivono come se non dovessero morire e muoiono come se non avessero vissuto. Pregò le bestie di non fargli nulla; in cambio lui avrebbe fatto e dato loro tutto ciò che più desideravano. Ma fu del tutto inutile: lo uccisero.

D’improvviso si svegliò incredulo: «Sono vivo!» pensò, ma quando si rese conto che aveva il pelo e camminava a quattro zampe iniziò ad urlare. «Quindi è questa la loro vendetta? Reincarnarmi nel lupo che ho ucciso?». Girò tutto il giorno senza meta fino a che non vide un saggio: «Recati nel bosco. Spacca un legno, l’anima del mondo è là dentro, alza una pietra e lí la troverai». Furono le uniche parole che gli disse prima di sparire nel nulla. Lui sapeva perfettamente dove cercare, ma nello stesso punto in cui egli sparò al lupo, venne ucciso anche lui dai suoi amici cacciatori.

Martina, Ginevra, Nicolò, Pietro

 

2. μεταμόρϕωσις

A chi non è mai capitato di pensare al futuro? Tutti almeno una volta abbiamo sognato luoghi mai visti ed esperienze mai provate prima. Il futuro è sinonimo di grande speranza riposta nel cassetto segreto dei sogni di ogni uomo. È bene però precisare, seppur ciò possa risultare scontato, che purtroppo nella vita vi è chi inevitabilmente, invece di pensare al proprio futuro, è costretto a guadagnarsi un posto nello spietato odierno presente. Alle volte però basta poco per farsi prendere la mano e trasformare quella che è una vera e propria opportunità in una catastrofe.

È questa la storia del nostro protagonista Babukar, giovane uomo, residente in Guinea. Estremamente povero, era stato costretto a lavorare sin da piccolo nelle miniere, unica fonte di denaro per questo paese, non pensando mai al proprio futuro e desiderando solo la morte. Un giorno, durante uno dei suoi scavi trovò qualcosa che fu per lui come divina: una pietra preziosa. La rimirò attentamente con sguardo felice. In realtà Babukar non era consapevole che questa pietra lo avrebbe portato alla rovina: essa sarebbe stata la prima delle tante che lo avrebbero trasformato in un bramoso e avido individuo, che pur di arricchirsi sarebbe stato pronto a fare di tutto, persino mettere a repentaglio la vita di altre persone. Cari lettori, ricordate questa massima:«Gli uomini non trovano la felicità in una condizione di pace mentale, il sommo bene di cui parlano gli antichi filosofi, ma al contrario in un continuo scorrere del desiderio da un oggetto all’altro».

Bubakar, trovato questo minerale prezioso, non volle condividere la sua scoperta con nessuno. Crebbe cosí la sua avidità. Passarono i giorni e il suo egoismo non si arginava. Scorreva il tempo, il mondo girava, ma la piaga del contagio non si seccava, come l’acqua dentro la fontana dell’oblio alla quale un tempo l’essere umano aveva bevuto a larghi sorsi. L’avidità lo portò ad eccedere non regolandosi piú. Come sappiamo, superare i propri limiti nella vita ci porta a rischiare, e lui lo fece utilizzando della dinamite per estrarre piú minerale possibile. Questo causò un’esplosione e le vittime furono dodici bambini indifesi.

Babkar, dopo il triste fatto successo in miniera, dettato dal suo egoismo, cadde in un profondo dispiacere per tutti i bambini che erano morti a causa sua. Ripensò per settimane a quello sconcertante accaduto; passò giorni e notti senza chiudere occhio: non riusciva a distrarsi con altro per rimuovere quell’incubo dalla propria testa. Babukar, proprio come molte altre persone nel mondo fanno, aveva compiuto un gesto dettato dalla sua ingordigia, senza ascoltare il proprio lato umano. Il pensare a sé stessi è un problema comune agli egoisti e si riversa non solo sulle persone, ma anche sugli animali e sulla natura. Fortunatamente alcuni uomini, provando dolore, cercano di rimediare ai propri sbagli.

La natura con il passare del tempo ha tentato di lamentarsi dell’egoismo umano attraverso segnali, che però pochi sono riusciti a percepire e a cogliere. Intorno ai continenti il mare si gonfiava senza tregua, come se le sue vaste maree fossero la sua coscienza, come se la grande anima del mondo provasse angoscia e rimorso del lungo peccato e dolore che l’uomo aveva causato. Per Babukar il gonfiarsi delle onde simboleggiava la sofferenza della natura per tutti i mali che l’uomo le causa quotidianamente di anno in anno. Il pensare soltanto a noi stessi, porta spesso a gravi conseguenze e i sensi di colpa non fanno altro che tormentarci.

L’uomo, dopo mesi, anni, decenni di agonia inflitta a sé stesso e ai propri pensieri, iniziò a riflettere realmente sull’accaduto e sul senso dell’esistenza. Studiò e analizzò con dedizione le parole di filosofi, capi religiosi e saggi anziani, ma continuava a non comprendere perché fosse sopravvissuto proprio lui, avido di ricchezza, potere e peccatore, invece che bambini poveri e senza colpe, che tentavano solamente di sopravvivere.

Un giorno, seduto su un prato, mentre meditava su tale quesito, giunse una donna mai vista, che, affiancatasi a lui silenziosamente e datogli conforto, iniziò una lunga conversazione che si rivelò ricca di pensieri filosofici. Quella sera Babukar tornò a casa ricordando le seguenti parole pronunciate dalla donna: «Comprendi che sei un altro mondo in piccolo, e che in te ci sono il sole, la luna e anche le stelle». Babukar si disse però: «È troppo tardi. Gli uomini non sanno piú cogliere i presagi e non impareranno più».

Molte volte le persone, anche se hanno il presentimento di poter mettere a rischio le vite degli altri, preferiscono agire in loro favore, spinte dal desiderio di ottenere ciò che vogliono. Cosí successe al nostro protagonista, che per colpa del suo egoismo e della sua voglia di possesso, procurò la morte a bambini innocenti.

Questa tragedia lo fece riflettere ed egli riuscí dopo molto tempo a perdonarsi nonostante sapesse che il dolore lo avrebbe accompagnato per l’eternità. Non era piú la persona egoista di prima. Per espiare in parte il suo peccato, fece costruire un asilo con il ricavato della vendita delle sue pietre preziose. Un giorno camminando tra gli alberi verdi durante una giornata soleggiata, i bambini dell’asilo gli corsero incontro per fargli festa. Si riempí di gioia, e capí che una vita vale piú di un oggetto prezioso, poiché ti dà una cosa che qualcosa di inanimato non ti può dare, l’amore.

Filippo, Sofia Rosa, Martina, Beatrice, Gioia

 

3. Una scintilla di luce in un oceano di buio

Come avevano deciso durante l’assemblea, gli animali che ne facevano parte attuarono il loro piano facendo arrivare la pandemia nel mondo all’inizio del 2020, anno da tutti gli umani immaginato come un anno prospero.

Inizialmente la pandemia non ebbe l’effetto sperato dai componenti dell’assemblea, poiché gli uomini l’avevano vista come un’occasione per riposarsi, trascorrere del tempo con la propria famiglia e riscoprire attività che avevano abbandonato: anche il protagonista della nostra storia, Luca, la pensava allo stesso modo. Le sue giornate non sarebbero cambiate, ma tutti avrebbero potuto concedersi almeno due ore di sonno in piú ogni mattina e di sera guardare fino a tardi la tv come fosse sempre la vigilia di un giorno di festa.

Questa non era l’idea del solo Luca, ma era piuttosto ciò che pensavano tutti i suoi coetanei, ossia che sarebbe stato semplicemente un momento di pace e serenità, una pausa dallo stressante periodo scolastico. Ad essere sinceri, anche l’idea della maggior parte degli adulti non era molto diversa: avrebbero potuto stare a casa dal lavoro per un breve lasso di tempo poiché lo avrebbero svolto online e, inoltre, avrebbero anch’essi avuto la possibilità di dedicarsi maggiormente a sé stessi e alla famiglia. Dopo alcune settimane però, all’inizio del mese di aprile, venuto a conoscenza della reale gravità della pandemia, Luca si stava annoiando: egli sentiva la mancanza dei suoi compagni e, ormai, pure della scuola: sí, la situazione stava diventando preoccupante! Le sue giornate erano monotone. La mattina faceva le videolezioni – che mai si potranno sostituire alle lezioni in presenza –, non trovava piú divertimento neanche a guardare il telefono; in quel momento, il suo unico desiderio era poter uscire con gli amici. Le sensazioni di Luca erano le stesse di tutti, giovani, adulti e anziani, che volevano stare all’aria aperta, visitare i propri cari, insomma essere liberi: ormai, anche il ricordo della loro vita prima dell’epidemia era sfocato, diventava come annebbiato dalla malinconia. Aprile è il mese piú crudele, confonde memoria e desiderio: il contagio si stava diffondendo in maniera sempre piú ampia e piú rapida, colpendo pienamente o parzialmente tutte le famiglie. Anche gli animali iniziarono a comprendere la tragica situazione che tutta l’umanità stava vivendo, iniziarono a percepire che questo virus era incontrollabile e, durante questi mesi, il genere umano stava ritrovando il contatto con la natura e dunque la propria parte animale. E se esiste nell’anima non può non esistere, per definizione, tra gli animali, che decisero di convocare un’altra assemblea differente da quelle tenutesi precedentemente perché avrebbero dovuto partecipare, pronunciarsi e deliberare, insieme agli animali, anche quegli esseri umani che nella solitudine, nell’isolamento e nella lotta contro il contagio diffuso dal pipistrello avevano estinto il germe della dimenticanza e ridestato la reminiscenza.

Anche Luca iniziò a capire qualcosa: comprese l’importanza della scuola, del rapporto con i suoi amici e con le altre persone, ma soprattutto quello con sé stesso. Il ragazzo divenne piú maturo e responsabile, cominciò a seguire il suo istinto, pensando con la sua testa e non con quella degli altri.

Cosí come il protagonista della nostra storia, molte persone intrapresero questo cammino interiore e, se voi che state leggendo non l’avete ancora fatto, cercatelo e percorretelo: fidatevi, vi sentirete in pace con voi stessi!

Giulia, Fiorella, Madalina, Anastasiya

 

4. MoMo

Fin dai tempi piú antichi come il Paleolitico, uomo e cane si sono sempre supportati e aiutati reciprocamente: si tratta di un rapporto solidale di amicizia millenaria basato sulla completa fiducia, sincerità e lealtà; il cane difatti è ritenuto l’animale piú affine all’uomo e di conseguenza piú complice. Non tutti gli umani però percepiscono la loro presenza positivamente, diventando autori di atti criminosi come l’abbandono in strada, l’avvelenamento e molti altri maltrattamenti. Per questo viene da chiedersi: «Che cos’è un corso di storia o filosofia o poesia, per quanto ben scelto, o cosa sono la migliore frequentazione o la piú ammirevole pratica di vita, di fronte alla disciplina di guardare sempre ciò che dev’essere veduto, fiutare ciò che dev’essere annusato, fare ciò che dev’essere fatto?»

Tra le diverse vittime troviamo Montmorency, soprannominato MoMo; era un meticcio, un incrocio tra la razza Bracco e la razza Pastore ed era nato a Bovalino, in provincia di Reggio Calabria. Durante i suoi primi anni di vita era riuscito a provare sulla pelle e a vedere con gli occhi la capacità dell’uomo di provocare male sia fisico che interiore, attraverso l’uso della violenza: era stato abbandonato insieme ai suoi fratelli e alle sue sorelle in strada, erano stati traditi da coloro che credevano fossero i padroni perfetti, o forse, molto probabilmente, cercavano di autoconvincersi di ciò per trovare un modo per difenderli, poiché in fondo li amavano nonostante tutto. Passarono diversi giorni in balìa di loro stessi, non sapendo dove si trovassero e quale strada seguire, senza essere aiutati dalle persone che incontravano durante il cammino, diffidenti nei loro confronti. Non si lamentavano mai e non pretendevano soccorso poiché gli uomini pensano che gli animali non chiedano perché non capiscano, ma non sanno che lo fanno solo per gentilezza. Successivamente a giorni strazianti che sembravano non terminare mai, in condizioni di vita molto precarie, tuttavia speranzosi di trovare riparo, i cani furono avvistati e salvati da un gruppo di volontari; non sapevano come ringraziare quelle persone tanto gentili e disponibili. Cosí trascorsero giorni di pace all’interno del canile, ambientandosi molto velocemente e stringendo amicizia con altri simili. Con il passare del tempo i fratelli e le sorelle di MoMo vennero adottati e trovarono una casa nella quale abitare, mentre lui, per colpa della malformazione fisica al muso, causata da un brutto incidente, dovette restare a lungo al canile.

Un giorno arrivò una famiglia che cercava da diverso tempo un cane da compagnia e dopo essersi interessati a MoMo procedettero con le formalità. Un imprevisto però bloccò la procedura dell’adozione del cane: la pandemia era arrivata e nessuno poteva piú uscire di casa. Gli uomini provavano diffidenza e sospetto tra loro, il mondo sembrava spento da quell’energia che lo travolgeva e lo manteneva in vita, ma allo stesso tempo rinato, piú forte e rigoglioso di prima. In quel periodo tutti i cani del mondo sentivano che la malattia stava mordendo gli uomini alla gola e provavano il loro stesso terrore, come quando gli antenati avvertivano il fremito delle greggi all’accostarsi del lupo, e loro, un tempo lupi e adesso guardiani di agnelli, anelavano alla battaglia come sentinelle all’aurora. Si sentivano isolati, confusi e affranti ma il dolore è, in natura, il mezzo dell’apprendimento.

MoMo era contento per i suoi fratelli e per le sue sorelle, ma allo stesso tempo sentiva la loro mancanza e desiderava anche lui vivere circondato dall’amore, che gli poteva essere donato dalla famiglia che voleva adottarlo. I mesi passarono, gli uomini raggiunsero nuove consapevolezze: le piccole cose una volta date per scontate avevano assunto un’importanza maggiore, le misure di contenimento del virus erano per lo piú rispettate, la scienza aveva progettato un vaccino efficace.

Questo progresso ricadde anche su MoMo, per il quale arrivò quel momento tanto atteso: fremeva quando lo prelevarono da quel canile, che ormai conosceva a memoria; si ritrovò tra le braccia della stessa famiglia che desiderava tanto quanto lui averlo a casa. MoMo non era mai stato cosí eccitato, scodinzolava senza sosta: era arrivata la felicità.

Yasmin, Serena, Sofia, Giorgia

 

5. La fine dell’umanità

«Certo, da sempre, se avessimo voluto, noi animali saremmo stati in grado di prendere il controllo del pianeta» disse il leone, mentre guardava dall’alto del suo palco gli umani che stavano seduti in silenzio sull’erba verde della vallata. In quell’esatto momento, un’assemblea speciale stava avendo luogo, nonostante la precedente fosse stata tenuta appena qualche mese prima. Tuttavia, questa volta, non partecipavano solamente gli animali, ma anche i rappresentanti dell’umanità.

Un uomo anziano di circa settant’anni si alzò e salí, con un po’ di fatica, sul piedistallo che le scimmie avevano portato dalla giungla. Con tono arrogante disse: «Noi uomini siamo stanchi di questa pandemia, alcuni hanno perso la propria famiglia, altri il proprio il lavoro e alcuni entrambi. Da sempre noi uomini abbiamo prevalso su voi animali, sia per intelligenza che per forza; siamo noi i sovrani di questo pianeta e decidiamo noi cosa fare di quest’ultimo e di voi!» Calò il silenzio; né animali né uomini osarono proferire parola.

A un tratto, però, dal fondo della vallata si sentí una risata agghiacciante: era la iena. Tutti si voltarono verso di lei, in attesa del suo parere. Prese cosí parola lei, predatrice della savana e conosciuta per la sua astuzia. «Credete di sapere molte cose voi uomini, ma in realtà conoscete solo la superficie di questo grande iceberg che è la vita! Pensate che sia stato il serpente a far cadere Adamo ed Eva, ma in realtà è stata solo la vostra stoltezza».

A quelle parole, il reame dei serpenti si uní in un unico e rumoroso sibilo di approvazione. «Per troppo tempo non abbiamo ascoltato il grido d’aiuto dei nostri amici scacciati dalle foreste, che voi umani abbattete pensando che siano infinite. Ma adesso, grazie ai nostri pipistrelli, finalmente imparerete cosa proviamo quando ci rinchiudete nelle vostre gabbie».

L’anziano signore, colmo di vergogna, scese dal palchetto fornitogli e tornò a sedersi senza aggiungere altro. La iena, soddisfatta di aver fatto tacere quell’umano arrogante, tornò a sonnecchiare.

Dopo poco, però, una giovane donna dai capelli rossi, non potendo accettare le parole dette dall’animale, si mise in piedi di scatto e si diresse verso il piedistallo. «So che ci sono molti uomini malvagi in questo mondo, però non credo che il vostro discorso sia giusto» pronunciò con coraggio. «Capisco la vostra rabbia nei nostri confronti, ma penso che insieme saremmo capaci di trovare un accordo per soddisfare entrambi. Alla fine, il destino degli uomini e quello delle bestie è lo stesso, come muoiono queste, muoiono quelli».

Per gli animali questo era un affronto: ogni giorno gli uomini li sfruttavano ed entrambe le parti sapevano che non si sarebbe potuto arrivare a un compromesso. Dal cielo azzurro, come un angelo, scese l’aquila, che stava ascoltando tutto dalla cima della montagna. Atterrò davanti al gruppo di uomini e, con tono autorevole, prese parola: «Non si potrà mai scendere a un accordo con servi del demonio come voi, ci avete sempre trattato come strumenti ed è oggi che finirà il vostro regno di crudeltà».

I capi dell’assemblea avevano già discusso in privato per decidere cosa fare e scelsero di utilizzare il segreto della vita. Con un battito d’ali, l’aquila fece alzare un grande vento, che si trasformò subito in una tempesta che inghiottí gli uomini che aveva davanti. Anche nel resto del mondo comparvero questi turbini e, in qualche istante, l’umanità scomparve definitivamente. Gli animali esultarono di gioia mentre, tra sé e sé, l’aquila pensò: «Credevate ancora che ciò che sta in alto sta anche in basso e ciò che sta in basso è come ciò che sta in alto, ma, come al solito, vi sbagliavate».

Rachele, Giulio, Elena, Emma