Antonio GaldoPrigionieri del presente, L’egoismo è finito, Basta poco

Liceo scientifico A. Roiti, Ferrara
Classi: III L, III M, V M, V B, IV O, V O

In Prigionieri del presente lei critica il panorama politico, paragonandolo a un «evento calcistico» in cui si tifa l’una o l’altra fazione e ci si concentra sulla critica e sull’offesa al partito di idee opposte. Tuttavia i politici, in quanto rappresentanti, sono lo specchio della popolazione, e la loro incapacità – o meglio, la loro assenza di volontà – di comunicare gli uni con gli altri, riflette forse un problema piú grande che si estende alla società intera. Non direbbe dunque che l’attuale classe politica sia la rappresentazione di una società incapace di comunicare e di pensare criticamente? Se sí, crede che la scuola abbia una responsabilità nel formare i giovani cosí che siano in grado di discutere dei problemi che riguardano il futuro?

Nel quarto capitolo faccio riferimento a una popolarissima trasmissione radiofonica degli anni Sessanta, chiamata Tutto il calcio minuto per minuto, grazie alla quale potevi seguire in diretta l’andamento delle partite. Era tutto un continuo sovrapporsi di interruzioni e battute per annunciare il goal, il rigore. Tutto il contrario di ciò che la politica dovrebbe fare in un ordinato modo di procedere, fermo restando che la propaganda è uno degli elementi essenziali del gioco politico. Se tutto però diventa slogan, c’è il rischio di perdere un certo contatto con la realtà; e questo, infatti, è quello che è avvenuto: si è creato un distacco molto forte tra la politica e la società. Perché è vero che in qualche modo i rappresentanti – i politici – sono a immagine e somiglianza dei rappresentati – i cittadini –, ma nel momento in cui nella società passa l’idea che chi occupa le istituzioni è una casta, a quel punto si crea una frattura. E questa frattura ha fatto sí che la comunicazione fra i due corpi si azzerasse.

Quanta responsabilità abbiamo noi come “fonte” dei nostri governanti? C’è un evento in particolare che ha segnato l’inizio del presentismo nella politica italiana?

La nostra responsabilità è enorme perché non siamo in una dittatura, siamo liberi cittadini, che esercitano il diritto al voto, alla partecipazione. Io ho la sensazione che da un po’ di tempo questo riguardi le persone piú anziane. Dopo i disastri della mia generazione, è arrivata la lunga stagione del disimpegno: la dimensione della vita pubblica non interessa piú alcune generazioni, quelle dei trentenni e quarantenni. Questa è una gravissima perdita. E in questo la scuola certamente è determinante. Ma io sono convinto che non ci sarà mai una scuola che possa funzionare senza un’alleanza a tre: gli studenti, gli insegnanti e le famiglie. Un conto è avere opinioni diverse, esercitare il senso critico, non seguire il pensiero unico – spero abbiate insegnanti che vi insegnino il senso critico. Quindi senza mai rinunciare all’esercizio del dissenzo, della contestazione, deve essere però chiaro chi fa che cosa. Non si può aprioristicamente rigettare ciò che la scuola deve darvi, ossia le nozioni di base, gli strumenti. Il cortocircuito che la danneggia – a proposito di responsabilità – è proprio il conflitto permanente tra questi tre pilastri.

Secondo lei la crisi che stiamo attraversando a causa dell’attuale pandemia può rivelarsi benefica se riusciremo a imparare da essa un nuovo stile di vita? E per quanto riguarda la politica: ripone comunque fiducia nello stato italiano, oppure soffrendo di presentismo, pensa che quest’ultimo sia da rivoluzionare?

Abbiamo parlato per troppi anni solo di mercato, invece questa tragedia ci aiuterà a riscoprire fino in fondo il valore e l’importanza dello stato. Chi è in grado di affrontare un’emergenza se non uno stato forte? Pensate se non avessimo avuto un servizio sanitario nazionale gratuito; è lo stato che può finanziare la ricerca, è lo stato che può trovare i soldi per tutte le attività economiche che sono ferme da mesi. Quindi un ritorno a questo concetto, dopo che per anni e anni – ed ecco il pensiero unico – si è parlato esclusivamente di mercato, secondo me sarà una cosa buona e una cosa utile. E lo sarà anche se conserveremo qualche traccia di questo seme dell’altruismo che abbiamo fatto sbocciare in questo periodo; forse abbiamo capito che con un vicino di casa non c’è per forza bisogno di fare risse; magari è piú utile sopportare vicendevolmente qualche debolezza. Abbiamo poi capito altre cose, minori. Ad esempio il rapporto con la tecnologia: l’abbiamo finalmente utilizzata secondo le nostre esigenze. Se la usiamo bene, possiamo consentire a milioni di persone di lavorare da casa. Sapete cosa significa? Significa che quella persona avrà piú soldi perché dovrà spendere meno, piú tempo e piú benessere. Capite che il mondo cambia e in questo senso la tecnologia ha un ruolo fondamentale. Infine una sola parola sulla politica: imparate a riconoscere il valore delle istituzioni. Le istituzioni sono patrimonio di tutti, vanno riconosciute come tali, preservate. Senza le istituzioni, o comunque calpestandole, non è a rischio soltanto un singolo paese, è a rischio la democrazia.

Ultimamente si è diffusa la tendenza ad essere eco-green, capitanata da Greta Thunberg. Lei, avendo scritto Basta poco nel 2011, non si sente un po’ un precursore di questo movimento?

Non sprecare è un libro del 2008, per cui questi problemi li ho affrontati anche un po’ prima. Ma questa è una cosa diversa, qui serve l’energia di una nuova generazione: Greta è un simbolo. La cosa interessante è che c’è un generazione che fa sentire la sua voce, che lo fa anche in modo chiaro. Nei messaggi di Greta c’è qualcosa che noi non avevamo: noi eravamo contestatori e basta, eravamo distruttori. Qui invece c’è una parte costruens molto interessante: l’appello a fidarsi della scienza e a non stare fermi davanti a problemi che ci riguardano tutti.

Lei crede che se Ford non fosse stato costretto ad abbandonare la costruzione di macchine elettriche ora avremmo meno problemi climatici? E se fosse cosí, la nostra situazione è dovuta solo all’avidità di alcuni magnati del petrolio?

La storia di Ford è molto importante – la macchina nasce elettrica, poi diventa a benzina perché i petrolieri minacciano Ford, e ora torna elettrica. Avremmo avuto meno problemi climatici? Non lo so. I problemi climatici non sono figli soltanto del petrolio, che pure ha responsabilità. Io credo che noi abbiamo smarrito un principio – affermato dal punto di vista politico solo due volte: prima dal Papa, nella prima enciclica dedicata all’ambiente Laudato si’, e poi dall’ONU, con i diciassette punti sullo sviluppo sostenibile – e cioé che l’ecologia non è un frammento della scienza e della nostra vita privata e pubblica; l’ecologia è universale, trasversale, attraversa tutti i campi della vita.

Abbiamo compreso che al giorno d’oggi le nostre generazioni sono sempre piú legate alla tecnologia. Ma guardando a come la tecnologia ci permette, in questa situazione di difficoltà, di rimanere in contatto, lei aggiungerebbe un ulteriore capitolo a Prigionieri del presente? E se sí, quale?

Quando scrivi un libro, ancora non l’hai finito e già ti viene in mente qualcosa da aggiungere. Eppure non aggiungerei nulla sulla tecnologia, perché in fondo scriverei quello che ho già scritto: che la tecnologia è, per come la vedo io, una grande opportunità; mi incuriosisce, ne sono affascinato. Ovviamente, va utilizzata con cautela.