Giuseppe De Rita, Antonio GaldoPrigionieri del presente

IISS Paciolo-D’Annunzio, Fidenza
Classe: IV A
Docente: Silvia Falletta

Il tempo è un caleidoscopio: è formato sempre dalle stesse unità colorate, gli attimi, che si mescolano e rimescolano continuamente, assumendo tonalità piú calde o piú fredde, piú vicine e tangibili, o piú lontane e trascendenti. Presente, passato e futuro si fondono in un ordine caotico, casuale eppure ordinato dagli specchi della nostra mente: cosí rimaniamo prigionieri in quel mondo di colori sfavillanti, ignari di ciò che sta oltre il vetro.

Il tempo è stato il fulcro dell’incontro tenutosi all’IISS Paciolo d’Annunzio di Fidenza con il professor Antonio Galdo, il quale sostiene che ognuno di noi giace cieco ma soddisfatto all’interno della gabbia dorata del presente, costruita su attimi fugaci accumulati all’infinito dalla tecnologia. Questo è ciò che chiama presentismo, ovvero la nostra incapacità di estendere lo sguardo dal presente a ciò che fu e ciò che sarà, mentre un’ansietà crescente ci spinge con gli occhi bendati, facendoci credere di poter assaporare la vita senza dover abbandonare la comodità della gabbia dorata, di poter vivere ogni attimo considerando ognuno di esso come fine a se stesso. Siamo schiavi del tempo, che ci nega non tanto la possibilità di compiere, quanto di assaporare ciò che ci viene dato, sia essa un viaggio, un libro o un’attività, in quanto siamo obbligati moralmente a compiere tutto ciò per postarlo sui media. Infatti, rilassarsi osservando un uccellino su un albero, soffermarsi ad ascoltare il canto del mare o assaporare le parole stampate sulla ruvida carta ci ruba, o meglio, ci fa provare la sensazione di perdere tempo. Invece di ascoltare il canto di un pettirosso, ci affanniamo a estrarre il telefono per fare una foto per i media; anziché perderci nel suono delle onde del mare, non resistiamo all’impulso di farci un selfie; piuttosto che impiegare del tempo per leggere un buon libro e assaporarlo fino in fondo, cerchiamo su internet una voce metallica che lo legga al posto nostro, o, addirittura, non lo compriamo neppure, cercando in rete una sinossi.

Non abbiamo tempo, non vogliamo averne. Non possiamo permetterci di rallentare i ritmi insostenibili che noi stessi ci siamo imposti, spinti dai media e dalla collettività. Non abbiamo tempo per noi stessi, per concederci di respirare aria libera da faccende e impegni inderogabili. Non abbiamo tempo per gli altri, che vengono ignorati, o, in casi sfortunatamente non rari, addirittura maltrattati da estranei come da conoscenti, anche quando sono sull’orlo del baratro. La chiave per uscire da questo subdolo incubo a lungo termine è nelle nostre mani. Lo è sempre stata, e tutto ciò che dobbiamo fare per impugnarla e togliere il lucchetto è vivere lentamente: non permettere al mondo di urlarci contro, di accelerare i tempi, di bruciare le tappe, di protendere a obiettivi sempre piú alti. Dobbiamo vivere lentamente: gustarci il percorso, non la meta; dobbiamo vivere, non sopravvivere al mondo che ci scivola sopra, apatico. Dobbiamo essere capaci di attendere, ma non per questo di rimanere inattivi. Dobbiamo accogliere il mondo per quello che è e non per quello di cui altri ne pensano. Dobbiamo sognare: non vagheggiare o rincorrere ideali utopistici, ma avere il coraggio di aspirare a qualcosa che non sia ciò che già abbiamo, senza tuttavia desiderare di essere già arrivati non appena partiti. La vita è come una zolletta di zucchero: se la si assapora lentamente, il gusto della bellezza ci accarezzerà per sempre il palato; se si bruciano le tappe, la si ingoia, lasciando un sapore amaro nel fondo della gola. Lacrime per ciò che è già stato.

«Il perdente è colui che è vittima del tempo, il saggio è colui che lo domina e per cui il tempo diventa vita» (Seneca).

Davide