Giorgio SciannaCose piú grandi di noi

ISIS Isaac Newton, Varese
Classe: V B mec
Docente: Giuseppe Finocchio

Nella mattinata di sabato 16 maggio 2020 a partire dalle ore 08:30, l’ISIS Newton di Varese ha ospitato in piattaforma lo scrittore Giorgio Scianna, nell’ambito del progetto Biblioteca per tutti – Lo Struzzo a scuola Einaudi, per discutere di argomenti e curiosità sul suo ultimo libro Cose piú grandi di noiletto da diverse classi del nostro Istituto, che racconta la storia di una ragazza adolescente che si ritrova a vivere l’esperienza degli arresti domiciliari nella Milano degli anni 80, piú precisamente verso la fine dei cosiddetti “anni di piombo”.

C’è un motivo dietro alla scelta di un personaggio femminile come protagonista?

Nei miei ultimi libri che parlano di ragazzi, c’erano personaggi maschili molto presenti; mettere al centro della storia una ragazza, per me era una sfida nuova ed interessante. Il motivo principale era questo, ma volevo anche invertire gli stereotipi di quegli anni, ovvero trovare una ragazza che sarebbe voluta entrare nella lotta armata e che avrebbe trascinato il suo ragazzo a entrare per far colpo su di lei.

Cosa consiglia per superare la sensazione di essere un infame dopo aver collaborato con la polizia?

Questo discorso è piú generale: il fatto di collaborare con la polizia dando informazioni che consentano di salvare persone, evitare altri reati, altre morti, non è un gesto da infame perché vuol dire interrompere quella catena di delitti di sangue e quindi riuscire a capire che il gruppo ti porta solo a provocare sofferenza. Tutto ciò non ha nessun senso e conta molto di piú il tuo essere persona. Superare questo è difficile perché anche se hai capito il male che hai fatto, tu hai bisogno di capire qual è il tuo posto nel mondo. E quando sei in una fase di passaggio o di smarrimento è difficile avere rapporti con gli altri ma anche con sé stessi.

Perché il titolo? Fa forse riferimento alla situazione affrontata da questi ragazzi (Margherita, Pietro) oppure i fatti raccontati sono tanto differenti dall’oggi da non poter essere compresi da noi?

Cose piú grandi di noi è una sensazione che attraversa un po’ tutti i personaggi del libro e attraversa piú di tutti Martino, il fratellino minore della protagonista, perché lui non capisce, a 14 anni, perché sua sorella sia chiusa in casa e legge ossessivamente il «Corriere della Sera» per capire come mai Milano la odi. Non ci avevo pensato però è una bellissima lettura afferrare quel periodo come qualcosa piú grande di noi e forse c’è anche un’altra lettura: quando la storia con la S maiuscola entra a casa nostra e quello che leggiamo sui giornali diventa parte di noi, ci sembra di non avere i mezzi per afferrarlo. Quello che viviamo oggi con il Covid-19 ci porta, in fondo, a una situazione un po’ simile.

C’è anche una storia sentimentale. Perché non ha scelto un finale differente dando anche a Pietro la possibilità di cambiare e di tornare ad una vita “da ragazzo”, magari grazie all’affetto che prova per Marghe?

Io avevo pensato di dare piú spazio a Pietro nel finale, ma mi sembrava che questa corsa che rappresentano le ultime fasi, dovesse essere cosí: Marghe con la sua famiglia, con se stessa e che deve decidere di pagare i conti per poi ripartire. Pietro che era quello che era entrato nella forza armata solo per fare colpo, alla fine è quello che rimane piú invischiato e non cambia idea. Suo padre è secondo me la persona piú negativa di tutto il romanzo: è cinico fino all’ultimo, non gliene importa niente delle persone che ha intorno, è anche il primo a trattare la mamma di Marghe con diffidenza e cosí Pietro riuscirà a scappare all’estero senza pagare i conti.

La storia della nostra Italia – noi stiamo studiando il Risorgimento – ci insegna che non sono decisamente mancate forme di “dissidio” portate avanti da giovani e meno giovani, da briganti o da brigate; come legge lei questo ricorrente fenomeno storico?

La contrapposizione è un motore della storia e spesso è anche una trappola: dissidio tra lo Stato, la Giustizia, tra uno stato giusto o meno giusto. Il limite tra quello che è lo scontro e il dialogo è spesso molto sottile e in certi momenti la Storia può essere un momento dialettico in cui le contrapposizioni aiutano ad andare avanti.

Marghe oggi avrebbe la sua età, come ha vissuto quegli anni? Ha visto i fatti dalla televisione e dai giornali o li ha vissuti, se non direttamente, attraverso delle persone vicine?

Io ero piccolo in quegli anni e quindi quei fatti li ho visti un po’ dalla finestra. All’età di Marghe frequentavo Giurisprudenza e mi ricordo benissimo il professore che interruppe la lezione per sfogare la sua indignazione con la messa in libertà degli assassini di Walter Tobagi che erano stati scarcerati con la legge dei pentiti. Mi ricordo benissimo che un altro professore, nella mia stessa università, quella legge l’aveva scritta, per cui ero lí che volevo delle risposte sulla responsabilità, sul significato della pena, ed ero anche molto confuso davanti a due pensieri cosí diversi. Per cui forse, se ho avuto il bisogno di raccontare questa storia, quella confusione l’ho sentita ancora addosso.

Nel romanzo si scopre un complesso rapporto genitoriale; perché soprattutto la madre di Marghe è cosí dura con lei e che ruolo gioca invece un padre cosí protettivo?

La madre di Marghe si trova in questo conflitto: lei sa che intervenendo pesantemente nella scelta di Marghe, inducendola a firmare quel verbale, la salverà dal carcere, ma sarà molto odiata. Il padre è invece quello che abbraccia, quello che accoglie e quello che toglie gli ostacoli sul sentiero della figlia. Marghe entrerà poi in conflitto con tutti e due dicendo che il padre non la può capire e che la madre l’ha costretta a eseguire un’azione contro la propria volontà, ovvero firmare il verbale.

Cosa ci dice della scelta del lessico nella stesura del romanzo?

Ho usato uno stile molto spontaneo e colloquiale, ed è un gran lavoro perché bisogna trovare le espressioni giuste: bisogna trovare delle espressioni immediate che vadano anche bene negli animi e a diverse latitudini. Devi trovare un linguaggio spontaneo ma non regionale o gergale altrimenti sembrerebbe vecchio dopo 6 mesi.

Qual è lo spunto iniziale del racconto?

C’e’ stata subito l’architettura della storia, bisogna avere l’idea di come si evolve la vicenda. Mi piaceva l’idea di questa macchina che va verso casa, ma che è una casa nuova, perché Margherita non può piú entrare dove aveva abitato fino a poco tempo prima. Mi piaceva l’idea di trovare le abitudini in un posto nuovo, ma sentirsi in carcere anche in casa.

Il luogo dell’ambientazione è casuale o è legato a fattori narrativi specifici?

Io vivo a Pavia e lavoro a Milano e conosco bene Milano. Quando voglio ambientare un romanzo in provincia lo ambiento a Pavia, invece se lo voglio ambientare in una metropoli lo ambiento a Milano. Una storia come questa viveva molto bene, secondo me, a Milano, perché è stata la città fondamentale in quel periodo. Milano a quei tempi era una città in ricostruzione, era una “città anfibia”.

Notiamo una grande differenza nel modo di vivere e seguire la politica tra quei giovani e noi. Non ci immaginiamo in grado di affrontare situazioni simili e nemmeno di interessarci cosí radicalmente di politica. Come valuta i nostri tempi da questo punto di vista?

I nostri tempi sono lontanissimi da quelli narrati: allora c’erano grandi blocchi di organizzazione, di ideologie e tutti ti tiravano la maglietta per chiederti di appartenere a quel gruppo o per chiederti da che parte stavi. Oggi siamo nella situazione contraria: non è che non ci siano idee da portare avanti, lotte importati da fare, però puoi attraversare la tua adolescenza senza che il mondo ti chieda di vivere la piazza, un impegno o la dimensione collettiva.

Questo è un romanzo di rapporti familiari “scoperti”. Cosa rende cosí diverso il rapporto tra fratelli? Quello tra Marghe e Martino è solido, piú distante quello tra le sorelle.

Qui il rapporto tra sorelle è spesso in conflitto, il rapporto tra fratello e sorella invece è quasi una zona franca perché c’è sempre il contatto fisico ed emozionale. Quello che a me piace nella famiglia di Marghe è che i rapporti ci sono sempre, permangono anche se conflittuali, anche nello scontro; nessuno abbandona l’altro.

Scianna ha voluto concludere il tutto dicendo che secondo lui la storia si fa con tutti questi piccoli avvenimenti che ti costringono a prendere una decisione “di pancia” e a schierarti dalla parte di un personaggio piuttosto che un altro. «Questo è sempre stato un modo per sentire davvero la storia: io la resistenza la conosco e la sento mia per Fenoglio e Calvino, non per i saggi di storia che ho letto. Credo sia un modo indiretto ma piú personale e profondo di afferrare le pagine storiche».

Edoardo