Fabio GedaAbitare l’altrove

Le storie servono a un sacco di roba, lo sappiamo: invitano ad aprirci allo stupore, educano alla bellezza, pongono quesiti esistenziali su noi e sul mondo. Ci intrattengono anche. Fanno ridere e piangere. Se serve ci schiaffeggiano, ci scuotono dal torpore, e se serve ci consolano — sí, anche quello, e diffidate di chi denigra il potere consolatorio delle storie. Ma uno dei motivi che, personalmente, piú mi hanno spinto nel corso della vita a farmi rapire da mondi di carta è quello che chiamerei: abitare l’altrove. Niente di complicato: si tratta di andare in luoghi geografici o dell’animo umano (quelli che chiamo panorami emotivi) in cui non sono mai stato, o in cui sono stato e mi piace tornare.

Quando ero ragazzino, ad esempio, avevo una passione per i mondi fantastici. Che dire, non avevo mai vissuto, io, in un posto come la Terra di Mezzo, ma grazie a Tolkien, voilà, ecco una porta spazio-temporale per arrivarci. Nel 1991 facevo la quinta liceo e sentii parlare di un libro giapponese: Kitchen di una tale Banana Yoshimoto, il cui nome già di per sé era uno spasso. Mi incuriosii, lo lessi e mi innamorai perdutamente del Giappone, dove sono stato per la prima volta solo nel 2013. Ma credetemi, quando ci sono arrivato, dopo ventidue anni di Yoshimoto e Murakami e Yasushi e Kawabata, non so, è stato come tornare a casa.

Ecco, allora, cosa capita: capita che ho comprato per voi un biglietto di prima classe per un viaggio in sei tappe. Voi non dovete fare altro che sedervi e leggere. Dall’India all’Iran, dal freddo del New Hampshire a quello di una prigione, da un Paese mediorientale in guerra da cui fuggire attraverso delle porte magiche allo straniamento di una donna italiana nella terra del sol levante.

Akhil Sharma, Vita in famigliaCome sopravvivere, se tutto intorno a te va in pezzi e sei solo un bambino?, si chiede Ajay. Risposta: imparando a scriverne. Se la fatica dei giorni diventa materia narrativa, se le persone diventano personaggi, se la storia di una famiglia diventa romanzo, forse chi scrive riuscirà a vivere e sopravvivere. La famiglia di Ajay è emigrata negli Stati Uniti dall’India frugale degli anni Settanta. Ajay e suo fratello Birju saltano dentro la vita americana come due esploratori in cerca di un tesoro. Crescono, vanno a scuola con ottimi risultati. Ma poi Birju ha un incidente grave e la vita cambia. I giorni cambiano. E i sogni? Cambiano anche i sogni? Akhil Sharma ha dedicato anni a scrivere questo romanzo autobiografico. Probabilmente ha iniziato dentro di sé il giorno in cui la sua famiglia è partita per l’America, in cerca (sí, esatto) di un altrove.

Mohsin Hamid, Exit westIn una città senza nome, che noi europei classificheremmo come mediorientale, un ragazzo e una ragazza, Saeed e Nadia, si innamorano. Ma il tempo dell’amore e della spensieratezza si trasforma presto in paura e bisogno di fuggire: perché in quella città senza nome scoppia una guerra. Ed è a qual punto che iniziano a girare voci che sussurrano l’esistenza di porte capaci di trasportarti in luoghi remoti, lontano dalla trappola mortale in cui si è trasformato il Paese. C’è chi sostiene di conoscere qualcuno che conosce qualcuno che è passato attraverso una di quelle porte. Era una porta normale, dicono, e si è trasformata all’improvviso in una porta magica. Quando Saeed e Nadia, dopo averla cercata, ne troveranno una, la varcheranno insieme senza sapere dove conduca.

Hamid Ziarati, Salam, maman. Nella Teheran di Reza Pahlavi, tra posti di blocco, polizia segreta e roghi di libri proibiti, Alí è un bambino che cerca di impadronirsi dei fatti fondamentali della vita: tipo come nascono i bambini, in quale istante esattamente inizia la primavera, e perché Mammad il pasticcere abbia dodici dita. Per ognuna di queste domande che si confondono con l’allegro caos famigliare, Alí elabora risposte geniali e strampalate. Ma poi il fratello maggiore Puyan viene arrestato e da quel momento in casa di Alí comincia a regnare il silenzio. La storia e la politica invadono la vita di Alí e della sua famiglia, ma lo sguardo resta ironico, straniante, luminoso. È una porta verso l’Iran, il bellissimo Salam, maman.  

E mi accorgo adesso di come con questi primi tre libri io abbia volato soprattuto verso est, e poi, eventualmente, dentro le storie, da est a ovest. Quindi adesso a ovest andiamoci diretti e sicuri. Andiamo nel New Hampshire.

Roberto Casati, La lezione del freddoÈ il racconto di dieci mesi vissuti da Casati e dalla sua famiglia in un luogo dominato dal freddo; e dell’ingegno necessario per capirlo e affrontarlo, quel freddo. Casati è filosofo delle scienze cognitive, deve abitare e insegnare per un anno accademico nel college di Hanover, nel New Hampshire, un altrove in cui la neve e il gelo sono una presenza costante da dicembre ad aprile, con temperature che scendono a venti sotto zero. Un mondo che non è dominato né dal bianco, come si potrebbe pensare, né dall’oscurità, bensí, a sentire lui, dall’azzurro. Casati non scrive un manuale di sopravvivenza, ma uno strano, ipnotico saggio letterario. Il mondo, la natura, sono pieni di complessità da comprendere e da affrontare con mezzi adeguati.

Sandro Bonvissuto, Dentro. Anzitutto, sí, si tratta di tre racconti. Celebriamo la bellezza e la meraviglia del racconto. Ma questi tre racconti sono comunque legati. Il protagonista è lo stesso, o cosí si è portati a pensare dal momento che si tratta di tre momenti di vita narrati in prima persona. Tre tappe di un romanzo di formazione montato a ritroso. Si inizia con l’adulto in carcere, si continua con l’adolescente sui banchi del liceo, e infine si incontra il bambino, tra mura domestiche e strade di terra battuta che ovviamente conducono altrove. Perché altrove è la detenzione del primo racconto, forse uno dei migliori mai scritti in Italia sul carcere. Altrove è l’infanzia quando siamo adulti. Altrove è dove siamo noi, rispetto noi stessi, quando il presente fa paura.

Antonietta Pastore, Leggero il passo sul tatami. Finiamo con il Giappone. Il mio amato Giappone. Con la storia d’amore tra una donna occidentale e un paese inconoscibile e affascinante, cosí radicalmente straniero — cosí radicalmente altrove. È il racconto di uno smarrimento e di una seduzione. Per quadri, ritratti, storie intime, Antonietta Pastore ci porta con sé nel suo lungo viaggio di avvicinamento, rendendoci partecipi della bellezza e del mistero. Per arrossire con lei nello scoprire, dopo molti anni e molti raffreddori, che soffiarsi il naso in pubblico è maleducazione. Per accorgersi che «dietro i volti serafici dei giapponesi, levigati come maschere del teatro n°, si affollano le stesse emozioni che agitano l’animo umano sotto ogni cielo».

Ecco fatto. Ora non vi resta che tornare a casa. Se ci riuscite.