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Giacomo Debendetti16 ottobre 1943

Roma, Portico d’Ottavia, 16 ottobre 1943. Sono le 5.15 del mattino quando le SS fanno irruzione nelle strade del ghetto ebraico e rastrellano 1024 persone, tra cui 200 bambini. Due giorni dopo, dei vagoni piombati partiranno dalla stazione Tiburtina alla volta di Auschwitz. A tornare saranno in sedici. A raccontarci tutto questo è Giacomo Debenedetti: pagine brucianti dove a parlare è un coro sgomento e terribile da cui si staccano, solo per infinitesimi istanti, le voci dei protagonisti, subito sommerse e per sempre perdute.

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Classe

Marco MarsulloI miei genitori non hanno figli

ITG S. Secchi, Reggio Emilia
Classe: II A
Docente: Mariachiara Morello

Pensieri sciolti

S: Credo che questo romanzo riesca a dar vita a una situazione che ad oggi è sempre piú comune: la mancanza di dialogo e di rapporto tra genitori e figli. Inoltre, riesce a trasmettere e a raccontare i fatti con ironia ad ogni tipo di pubblico.

C: Il brano secondo il mio parere fa riflettere sul fatto di non escludere i propri genitori. È meglio avere genitori che tengono ai figli piuttosto che quelli che attribuiscono loro la colpa dei propri errori. I miei genitori non hanno figli mi è piaciuto poiché ti pone nell’ottica di un ragazzo con una famiglia incompatibile.

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Nadia TerranovaAddio fantasmi

«Se c’era un’arte in cui io e mia madre eravamo diventate brave durante la mia adolescenza, quell’arte era il silenzio».

Ida è appena sbarcata a Messina, la sua città natale: la madre l’ha richiamata in vista della ristrutturazione dell’appartamento di famiglia, che vuole mettere in vendita. Circondata di nuovo dagli oggetti di sempre, di fronte ai quali deve scegliere cosa tenere e cosa buttare, è costretta a fare i conti con il trauma che l’ha segnata quando era solo una ragazzina. Ventitre anni prima suo padre è scomparso. Non è morto: semplicemente una mattina è andato via e non è piú tornato.

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Davide ContiGli uomini di Mussolini

Al termine della Seconda guerra mondiale molti tra i piú alti vertici dell’esercito o degli apparati di forza del fascismo furono accusati di omicidi e torture, ma nessuno venne mai processato o epurato. Nessuno fu mai estradato all’estero o giudicato da un tribunale internazionale. Diversi di loro furono invece coscientemente reintegrati nei loro posti di responsabilità, dando corpo a quella «continuità dello Stato» che rappresentò una pesante ipoteca sull’Italia repubblicana.

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Fabio GedaAnime scalze

IISS Salvemini, Alessano (LE)
Classe: V AL
Docente: Valeria Bisanti

In Anime scalze si capisce sin da subito che il tuo interesse è per Ercole, di cui non invadi mai gli spazi, non ne copri la voce, non lo metti nei guai per suscitare un interesse maggiore. Il protagonista, quindici anni, è un adolescente raro, che non si sporca e non scende a patti, non vuole omologarsi. Come nasce questa figura?

Ercole nasce dalla mia esperienza come educatore, dai ragazzi e dalle ragazze con cui ho lavorato in comunità alloggio per nove anni, dalla loro forza e dalle loro fragilità, dalle loro famiglie e dalle loro domande. Ne ho incontrati diversi simili a Ercole, ragazzi in cui si percepiva del bene e del bello, ma un bene e un bello spesso soffocati dalla sfiducia nei confronti degli adulti di riferimento, e quindi, per questo motivo, costretti a crescere da soli o affidandosi a figure genitoriali sghembe, come fratelli o sorelle.

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Leonardo CaffoVegan

Leonardo Caffo è ancora un giovane studente quando un giorno si ritrova a seguire un seminario di etica e animalismo all’università. È lí quasi per caso, l’aula è semivuota, lo scenario sembra surreale: conosciamo davvero la violenza che c’è dietro a ciò che indossiamo, a ciò che mangiamo, alle medicine che utilizziamo?

Essere vegani non è né una moda, né una dieta, ma vuol dire, prima di tutto, abbracciare una filosofia. I vegani non sono strane creature che si cibano di tofu, seitan e altre cose con nomi assurdi; sono persone che hanno deciso di compiere un atto simbolico costante: non mangiare piú dei «qualcuno» che la nostra società ha trasformato in dei «qualcosa».

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Classe

Donatella Di PietrantonioL’Arminuta

Liceo C. Cafiero, Barletta
Classe: IV G
Docente: Silvia Grima

L’Arminuta è un’espressione dialettale che in italiano può essere tradotta come la ritornata. La protagonista del romanzo non ha un nome esplicito, ma è continuamente apostrofata con questo epiteto che, per quanto spersonalizzante, la descrive a pieno: dopo aver vissuto per i primi tredici anni della sua vita in una casa confortevole con quelli che credeva essere i suoi veri genitori, la protagonista viene improvvisamente accompagnata in una nuova casa, sudicia e fatiscente, dove conosce i genitori biologici e cinque fratelli, a lei fino a quel momento ignoti.

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Giulio GuidorizziUlisse

Dopo il grande successo di Io, Agamennone Guidorizzi ci racconta Ulisse in modo altrettanto inedito e sorprendente, dando voce a chi si è sacrificato per lui in nome dell’amore.

Di Ulisse pensiamo di sapere tutto. È l’astuto guerriero che ha trovato il modo per espugnare Troia. È il condottiero senza paura che ha affrontato tempeste, ciclopi, canti di sirene e perfide maghe. È l’avventuroso sovrano di Itaca che ha vagato anni per mare, perseguitato da Poseidone, prima di poter giungere finalmente a casa. Ma il mito, come la storia, ha sempre un altro lato. 

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Paolo MaurensigIl diavolo nel cassetto

«Il diavolo non sopporta che si rida di lui, questo era il suo punto debole. Di sicuro si sarebbe vendicato».

Dichtersruhe è un paesino svizzero incastonato tra le montagne, che deve la sua fortuna a un breve soggiorno di Goethe in una delle locande della zona. D’altronde la letteratura qua è una cosa molto seria: tutti e mille gli abitanti sono accomunati dalla passione smodata per la scrittura. Dal prete anzianissimo che redige le sue memorie alla ragazzina un po’ sciocca autrice di filastrocche, passando per il fabbro e il borgomastro, tutti si sentono scrittori e ambiscono alla gloria letteraria

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Massimo MantelliniBassa risoluzione

Entro in camera di mia figlia. Sulla sua scrivania l’attrezzatura tecnologica per ascoltare la musica è molto semplice. Un vecchio Mac mini di dieci anni fa, una connessione a internet, Youtube e un paio di casse in plastica da otto euro. Alla domanda: «Francesca, ma come suona la musica qui nella tua stanza?» la risposta è: «Benissimo».

Davvero il nuovo è sinonimo di migliore? L’uso sempre piú frequente di internet e delle tecnologie ha modificato in modo radicale il nostro rapporto con la realtà, con le informazioni, con le relazioni sociali.

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