Hannah ArendtNoi rifugiati

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Sembra che nessuno voglia sapere che la storia contemporanea ha creato una nuova specie di esseri umani – quelli che vengono messi nei campi di concentramento dai loro nemici e nei campi di internamento dai loro amici.

Viene pubblicato in una nuova edizione italiana che ne restituisce tutto il suo carattere dirompente, il celebre saggio Noi rifugiati. Hannah Arendt lo scrisse di getto nel 1943, a due anni dal suo arrivo a New York. Testimonianza esistenziale di un’apolide d’eccezione, ma anche primo manifesto politico sulla migrazione, è una lettura indispensabile per orientarsi nello scenario politico attuale, dove è andata aumentando la massa di coloro che, presi tra le frontiere nazionali, vengono considerati corpi estranei, rifiuti ingombranti. Che ne è dell’accoglienza? E della partecipazione al mondo comune?

Ricostruisce la lezione di Arendt, e riflette sui diritti umani dei rifugiati, il saggio conclusivo di Donatella Di Cesare. Gli Stati nazionali continuano a discriminare e respingere, mentre si moltiplicano i campi di internamento e le zone di transito a cui, nelle periferie dell’ordine mondiale, sono consegnati gli esseri umani ritenuti «superflui».

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Ma come si passa dall’esule moderno al rifugiato attuale? Che cosa implica questo passaggio? Sono queste le domande che Arendt si pone. Il fenomeno, nelle forme e nei modi in cui oggi si manifesta, è legato strettamente allo Stato moderno. Solo considerando l’orizzonte politico di un mondo spartito tra Stati nazionali è possibile mettere a fuoco la crisi dei rifugiati e affrontare la questione dei diritti umani (Donatella di Cesare).

Di Noi rifugiati si parla su Radio 3.

«È, quello della Arendt, un pensiero complesso ma mai astratto. C’è un coinvolgimento personale, una capacità introspettiva che illumina l’altro da sé e il mondo esterno in un costante interrogarsi sui problemi che contano» (Sandra Petrignani su «Il Foglio»).