Lettere di condannati a morte della Resistenza italiana

16+

Centododici partigiani vengono catturati dai tedeschi o dai fascisti e già sanno che saranno giustiziati dal plotone d’esecuzione o uccisi dalle torture. Scrivono ai familiari, alla madre, alla moglie, alla fidanzata, ai compagni di studio, di lavoro, di vita. Appartengono alle realtà sociali e culturali piú diverse. Tutti vivono, per la prima e l’ultima volta, l’atroce esperienza di «un tempo breve eppure spaventosamente lungo, in cui si toglie all’uomo il suo piú intimo bene, la speranza», e in cui sono costretti, in preda allo smarrimento e all’angoscia, a «dare ordine» al proprio destino e al proprio animo.

«Le Lettere contengono la voce di uomini e donne, appartenenti a tutte le età e a ogni classe sociale, consapevoli del dovere della libertà e del prezzo ch’essa, in momenti estremi, comporta. Chiunque anche oggi le leggerà, vi troverà un’altra Italia e non potrà non domandarsi se davvero non ci sia piú bisogno di quella voce o se, al contrario, non si debba fare di tutto per tramandarla e mantenerla viva nella coscienza, come radice da cui ancora attingere forza» (Gustavo Zagrebelsky).

Alcuni estratti dalle lettere:

«Cara mamma, mi devi perdonare di questo grande dolore che ti reco. Lo sai, io sono sempre stato comunista, e per questo devo pagare con la vita».

«Sarò fucilato all’alba per un’ideale, per una fede che tu, mia figlia, un giorno capirai appieno».

«Ho sentito il richiamo della Patria per la quale ho combattuto, ora sono qui… fra poco non sarò piú, muoio sicura di aver fatto quanto mi era possibile affinché la libertà trionfasse».

La lettera di Antonio Brancati, 23 anni: