Paolo ColagrandeSalvarsi a vanvera

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Con uno sguardo perennemente distratto eppure traboccante di verità, Paolo Colagrande ha aperto un varco nella Storia. Tra La vita è bella Train de vie, un romanzo miracoloso, divertentissimo e palpitante, sulla fiducia nell’ingegno umano e sul potere salvifico delle parole.

Autunno 1943. Secondo un’antica maledizione – inventata di sana pianta e venduta al comando tedesco come leggenda popolare – nelle viscere di una miniera di carbone sulla sponda del Rio Fogazza si nasconderebbe la Salamandra Ignifera Gigante Cinese, capace di folgorare a vista qualsiasi forestiero si avvicini. Per l’ebreo Mozenic Aràd, che giusto prima delle leggi razziali ha pensato bene di diventare Mestolari Aride, la scoperta casuale del giacimento è l’unica speranza di salvare se stesso e la sua famiglia.

E cosí, mettendo insieme una squadra di persone altrimenti destinate a fine certa – una professoressa di liceo, un suonatore di clavicembalo, un fattorino e un numero imprecisato di irregolari che dal giorno alla notte si cuciono addosso il titolo di geologo, minatore, fuochista, carpentiere o artificiere – Aride comincia a vendere carbone alle milizie, tenendole ben lontane dalla miniera con lo spauracchio della vampa infuocata. Finché il maggiore Aginolf Dietbrand von Appensteiner, comandante di piazza, comincia a insospettirsi.

Dopo La vita dispari, Paolo Colagrande ci consegna un romanzo straripante d’intelligenza e di invenzioni. Pagina dopo pagina, assecondando «l’impostura del destino», costruisce una bugia grande quanto un intero paese: il piano geniale di un pugno di ebrei padani per salvarsi la vita.

Leggi un estratto.

Salvarsi a vanvera ha vinto il Premio Alassio Centolibri 2022.

«A Salvarsi a vanvera non manca proprio niente per restare nel cuore e nella testa di chi lo attraversa leggendo, lasciandosi prendere dallo stramizio, dalla commozione, dalla risata. Peccato solo che a pagina 362 il libro finisca e bisogna dire addio a tutti» (Elena Loewenthal su «tuttolibri – La Stampa»).

«Un romanzo sorprendente che si gonfia da tutte le parti come una mongolfiera colorata» (Cristina Di Stefano, «Elle»).

«Scritto dimostrando un amore senza limiti per la lingua, in un gioco labirintico ma trasparente di beffe e tiri mancini» (Fabrizio Ottaviani, «Il Giornale»).