Claudio RigonI fogli del capitano Michel

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La Prima guerra mondiale raccontata in modo rigoroso ed emozionante; una vicenda apparentemente lontana dai ragazzi di oggi, ma che ha coinvolto tanti giovani poco piú che ragazzi allora, costretti a vivere l’orrore e insieme la normalità del fronte.

Nell’archivio di un museo di Vicenza, Claudio Rigon nota alcune piccole fotografie di soldati. Anche se sparse fra altre, qualcosa le unisce e le rende riconoscibili; sul retro, a matita, è scritto sempre lo stesso nome, Michel. Ma chi è quest’uomo? Un insegnante prestato alla guerra, che si ritrova dall’insegnare storia e filosofia all’essere capitano di un battaglione decimato e rimasto quasi senza ufficiali.

Ma insieme alle fotografie, Michel conserva anche un pacco di foglietti ingialliti, di varie forme, scritti tra il 24 giugno e il 29 luglio del 1916: sono fonogrammi, messaggi con cui i reparti di un battaglione alpino si comunicano disposizioni e informazioni. Raccontano di pattuglie in perlustrazione nella notte davanti alle trincee austriache, della vita di tutti giorni al fronte, di bombardamenti, di morti, di Monte Ortigara e dei luoghi narrati da Mario Rigoni Stern ed Emilio Lussu.

«Ogni biglietto mi colpisce, su ognuno mi soffermo. È stato scritto ottantacinque anni fa da uomini che erano i nostri nonni, che si sono trovati lassú, in quei luoghi, fra quelle pietre, su queste nostre montagne, a vivere qualcosa che è difficile anche pensare, ora, essere stata possibile».

Rigon legge e rilegge quei fogli, li mette in ordine e gli dà voce, dando nuovamente vita a un’umanità che merita di essere ricordata.

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Con questo libro Claudio Rigon ha vinto il Cardo d’Oro al 39° Premio ITAS del Libro di Montagna.

«Un documento emozionante» (Ferdinando Camon, «ttL»).

«In questi foglietti che Rigon cuce insieme con pazienza e fervore filologico, la vita si srotola in tutta la sua disarmante semplicità e anche la morte non ha nulla di epico» (Paolo Lanaro, «Il giornale di Vicenza»).

«Rigon riempie, attraver­so la narrazione, i silenzi e il vuoto di immagi­ni lasciati da quei biglietti. Non è storiografia ma essenzialmente racconto» (Matteo Giancotto, «Corriere del Veneto»).