Roberto VecchioniLa vita che si ama

Elena Tamborrino (Maglie)

Se è vero che la vita è fatta di «momenti di trascurabile felicità», come sostiene Francesco Piccolo in un suo libro di qualche anno fa, è anche vero che quella stessa felicità si può cogliere in occasioni e circostanze che hanno respiro più ampio, che dobbiamo andare a scovare nella memoria e che sono legate a persone ed episodi che presentano uno scarto rispetto a quello che «normalmente» ci si può aspettare da consuetudini e paradigmi. In realtà nulla è davvero perfettamente «normale», integrato in un sistema, se sappiamo leggere tra le righe della vita e trovarci l’aspetto insolito e inaspettato, spesso risolutivo, che poi ci fa dire «questa è la felicità».

La felicità, impercettibile a volte, si trova ovunque. Bisogna però avere la disposizione d’animo giusta per riconoscerla. Soprattutto la felicità può continuare, lascia tracce nel passato e si prolunga fino al futuro, perché in qualche maniera ci cambia, modifica il nostro modo di poggiare lo sguardo su ciò che abbiamo intorno. E poi la felicità è nel tempo verticale, nella possibilità che abbiamo di non farci inglobare nella linea del tempo, ma di essere il baricentro nella pila di ieri, oggi e domani.
Il messaggio che Roberto Vecchioni manda ai suoi quattro figli è racchiuso nella premessa e nei racconti di questo volume, scritti proprio per Francesca, Carolina, Arrigo ed Edoardo: la felicità esiste e non sta nel momento culminante in cui crediamo di toccarla con mano, ma nel silenzio che segue, nella consapevolezza dell’impronta che lascia nella nostra vita, nei pensieri che vengono dopo.

Così la felicità nelle storie di vita che Vecchioni racconta ai suoi figli – e a noi che lo leggiamo oltre la sfera confidenziale, familiare, intima degli affetti –, la troviamo nell’incontro con Daria, l’amore di sempre, nella Casa testimone di tanta famiglia – tra «Circo Veccioni», «schifezzata cosmica», luminarie di Natale, e Dodi piccolo che non respira e quanta paura! –, negli amori che finiscono portandosi via le canzoni perse, nel riconoscimento tardivo di un’intuizione geniale, nelle scuse non dette quando era giusto farlo, ma recuperate in un tempo che poteva non arrivare, ma è arrivato – e meno male! –, nello scavalcare la crudeltà della burocrazia che può triturare un giovane valente se non si è capaci di usare il buon senso, nei ritardi e nelle combinazioni, in un padre fascinoso, nel contrario di tutto, nelle cose non dette, in una madre che c’era anche quando non c’è stata più.

A intervallare le storie (nell’edizione con cd) c’è la musica: i testi delle dieci canzoni del cd che accompagna il volume, le canzoni per i figli, quelle scritte nei lunghi anni di carriera di Roberto Vecchioni.

A quei figli che saranno la sua espansione nel mondo, Vecchioni consegna se stesso con tutti i suoi limiti («io posso darti chi sono, sono stato o chi sarò, per quello che tu sai, e quello che io so», per Dodi), insegna a «vivere fermando il tempo e a correre controvento e la grandezza della malinconia», dice di non volerne la felicità, ma di essere «sempre contro» finché c’è voce («vorranno la foto col sorriso deficiente, diranno: “Non ti agitare che non serve a niente”, e invece tu grida forte, la vita contro la morte», per Francesca), lascia «un sacco di parole a Carolina», spiega quel lontano che «è un paese dove non ti do la mano», ma che non è poi così lontano se ci si pensa e ci si aspetta andando a letto, canta il rimpianto di non poter insegnare tutto e di sapere che non c’è un sempre scontato in cui trovarsi nel futuro («Dimmi, dimmi, dimmi cosa ne sarà di te? Dimmi, dimmi, dimmi cosa ne sarà di me?» per Arrigo).

Una lettura che incoraggia a riconoscersi piccoli davanti all’imprevedibilità di quello che verrà e grandi nel saper riconoscere quello che di fondamentale abbiamo avuto nella vita, anche quando non ci sembrava così importante.

Elena Tamborrino insegna italiano e storia all’IISS A. Cezzi De Castro Moro di Maglie (LE).