Una madre getta nel vuoto suo figlio appena nato, perché debole e deforme. Quella madre è Era, regina del cielo; quel figlio è un dio, Efesto. Che precipita dall’Olimpo per nove giorni e nove notti, finché non si adagia sul fondo del mare. Lo raccolgono due ninfe, Teti ed Eurinome, che lo cresceranno nel cuore degli abissi. Lí Efesto imparerà a trovare la pace nel fuoco: fonderà i metalli, forgerà gioielli, diventerà un artista cosí famoso che persino Era sarà ammaliata dalle sue creazioni. Ma chi è stato abbandonato ha una ferita sempre aperta, e l’arte forse è solo un modo di rimarginarla.
Il dio del fuoco raccontato da Paola Mastrocola è un dio umile e geniale, inquieto e tormentato, attratto dal mistero indecifrabile che lega l’eternità alla morte. Ed è un figlio pieno di rabbia che continua a cercare sua madre anche odiandola, dopo esserne stato respinto. Non esiste una sola verità nel mito, sembra dirci l’autrice, e questo ci rende liberi: di aggiungere, togliere, modificare, riscrivere, interpretare. Di continuare a inventare infinite versioni, perché infinito è il racconto. Con il romanzo di Efesto, il dio artista che voleva soltanto sentirsi amato, Mastrocola ci parla di noi, delle nostre insicurezze, di quanto è terribile ma anche esaltante attraversare certe solitudini. E a quasi dieci anni dall’Amore prima di noi, ci conferma ancora una volta che avremo sempre bisogno dei miti, perché dialogano con ciò che di piú umano, puro e fragile ci portiamo dentro.
«Gli dèi non sempre si accorgono di ciò che accade. Guardano altro, pensano ad altro. Si lasciano distrarre. Cosí anch’essi si smarriscono. Non capiscono, sbagliano, si confondono. E ogni tanto si perdono qualcosa, che forse era importante».
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«Un libro straordinario che parla delle nostre fragilità e delle nostre paure: il disamore materno, l’amore tradito, la vendetta, l’adozione, le verità nascoste e molto di piú» (Brunella Schisa, «il venerdí – la Repubblica»).
«La scrittrice attribuisce al dio del fuoco Efesto una personalità profondamente umana e moderna, plasmata dal rifiuto materno» (Sandra Petrignani su «Il Foglio»).
«Delle intricatissime avventure l’elemento di maggiore attrazione è la scorrevolezza del ritmo che tiene avvinto il lettore, costringendolo a seguire, quasi senza interruzione, il multiforme spettacolo di fatti e personaggi» (Antonio Saccone, «Il Mattino»).
«Un racconto elegante e poetico, un gentile appello ai nostri tormenti interiori, ma anche alla resilienza che ci spinge sempre in avanti» (Giorgia Valeri, «Famiglia Cristiana»).
«Un fuoco di pagine raro all’orizzonte letterario» (Claudio Toscani, «Avvenire»).
«Un’opera meritevole per la sua profondità e per l’abile intrecciarsi di passato e presente, arte e vita» (Giovanna Bragadini, «Gazzetta di Parma»).