Caterina BonviciniMolto molto tanto bene

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Una storia vera: la storia di una famiglia nata in mare, vitalissima e sgrammaticata come il titolo di questo libro.

C’è chi parte sulla scia dell’entusiasmo, chi decide di tornare per puro amore della vita, ma a spingerti su una nave Ong – una volta dopo l’altra – è soprattutto l’ostinazione. Caterina ormai conosce l’Endurance come casa sua, ogni corridoio, ogni boccaporto. Ha imparato i gesti per issare i naufraghi sul Rhib, a prendersi cura di loro quando dormono sul ponte, in salvo, distesi sui cartoni. Quel che Caterina non sa è che oggi, su quella nave, sta per comparire un futuro possibile. Succede in mezzo al Mediterraneo, a trenta miglia a nord di Zawiya. Il mare è mosso, lei è pronta: ha il casco, il salvagente a gas, i pantaloni impermeabili, gli stivali di gomma, i guanti. E all’improvviso appare Amy, una bambina di cinque anni. Durante il salvataggio sorride tranquilla, come una diva che sale su un motoscafo nella laguna di Venezia. Porta un cappellino di strass che luccica sotto al faro di pattugliamento.

Inizia cosí un tentativo un po’ pazzo e visionario di comprendere l’altro: Caterina lo affronterà con passione e testardaggine. Ma nella vita non si può prevedere tutto, o meglio quasi niente. Forse perché gli amori nati in mare, nell’emergenza, sono piú movimentati e imprevedibili di quelli che poggiano sulla terraferma.

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E ripete a raffica la sua parola italiana preferita: baci. Si appoggia le mani sulla bocca, picchiettando le labbra con le dita: baci, baci, baci. Spesso la saluto con un Ti voglio molto bene o Ti voglio tanto bene, e Amy fa due conti. Per aggiungere quantità, basta usare tutti gli aggettivi insieme.

«Quanto è dannatamente complesso aprire la propria vita agli altri. Caterina Bonvicini lo sa, c’ha provato, anzi, l’ha fatto, e lo racconta magnificamente in queste pagine che tengono dentro tutta la fatica e tutto il bene — che sí, è molto molto tanto», scrive Fabio Geda su Instagram.

«Il romanzo di Caterina Bonvicini è la storia vera di genitori e figli nati sulla nave di una Ong» (Cecilia Strada su «La Stampa»).

«Un libro che con una scrittura felice ironica dolente lieve racconta anche il percorso difficile e incerto verso l’unica salvezza possibile: la comprensione che sa colmare distanza abissali» (Evelina Santangelo su «L’Espresso»).

«E qui Caterina Bonvicini, pur narrando una vicenda tanto personale, tocca un nodo che riguarda chiunque: dove sta il confine fra la volontà di fare il bene altrui e l’autodeterminazione individuale che contro ogni logica, ogni buon senso, ogni convenienza, cerca un’altra strada, sfugge alla mano amica di chi le ha dato salvezza?» (Alessandra Sarchi su «la Lettura – Corriere della Sera»).

Su Instagram Luciana Littizzetto ha scritto: «È un libro bellissimo, urgente, vero, dal quale non vorresti separarti mai. Non mi capita spesso di leggere un libro e di avere i brividi. Ma con questo mi è successo molte molte tante volte».

«Bonvicini è riuscita a scrivere una cosa bella, addirittura allegra, che dà a chi legge la sensazione di aver goduto dello scintillio del sole sul Mediterraneo felice e infelice visto in un giorno di vento dalla prua di una nave. E riesce anche a spiegarci una verità fondamentale: che per ognuno di noi la libertà ha un volto diverso» (Francesca Pellas, «Il Foglio»).