S. YizharLa rabbia del vento

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All’epoca della pubblicazione, oltre cinquant’anni fa, La rabbia del vento in Israele fu al centro di un acceso dibattito e di infinite polemiche: nonostante il tempo trascorso, le questioni sollevate conservano tutta la loro attualità.

La rabbia del vento apparve nel 1949, subito dopo la proclamazione di Israele: il breve racconto narra di un drappello dell’esercito israeliano che ha l’ordine di sgomberare un villaggio palestinese. Armati di tutto punto, i soldati pensano di incontrare resistenza, ma si imbattono quasi esclusivamente in donne, anziani, bambini che vengono caricati su camion e portati in un campo profughi. Solo uno dei militari, il narratore, prova disagio per quell’operazione che considera ingiusta: esprime il suo punto di vista, ma è isolato e viene messo a tacere.

Sconvolgente resoconto sull’espulsione della popolazione palestinese dalle sue terre ma al contempo riflessione sul tema dell’identità e del rapporto con l’«altro», l’opera di Yizhar suscitò immediatamente un ampio e duraturo dibattito nella società israeliana a proposito delle basi etiche del nuovo stato, della responsabilità del singolo, del rapporto col nemico, della necessità di ubbidire agli ordini anche quando contrastano con la propria coscienza.

 

A quel punto vedemmo una donna che passava in un gruppo di altre tre o quattro. Teneva per mano un bambino di forse sette anni. C’era in lei qualcosa di speciale. Sembrava risoluta, cieca nel suo dolore ma controllata. Le lacrime le scorrevano sulle gote quasi non fossero sue. Anche il bambino gemeva a labbra strette, come a dire: «Cosa ci avete fatto?» Sembrava che all’improvviso lei sola sapesse cosa stava succedendo lí, tanto che provai vergogna in sua presenza, e abbassai lo sguardo. Era come se dai suoi passi e da quelli del figlio salisse un grido, una sorta di maledizione carica d’odio. Notammo anche quanto fosse fiera di non degnarci della minima attenzione. Capimmo che era una madre-leonessa, e vedemmo che lo sforzo di trattenersi e di comportarsi eroicamente le induriva i tratti del viso e come, ora che il suo mondo era perduto, non volesse crollare di fronte a noi. Elevati dal dolore e dalla tristezza sulla nostra natura malvagia, i due passarono oltre e noi notammo come nel cuore del bimbo stesse succedendo qualcosa per cui, quel medesimo piccolo che ora piangeva sconsolato, una volta cresciuto non sarebbe potuto diventare altro che una vipera. Come in un lampo mi fu chiaro. Tutto improvvisamente mi sembrò diverso, piú preciso: «L’esilio, ecco, questo è l’esilio. È cosí che accade».