Stefano De Bellis, Edgardo FiorilloIl diritto dei lupi

Liceo scientifico Leonardo da Vinci, Salerno
Docente: Daniela Giacomarro
Classe: V B

Avvincente e intrigante, ricco di intrecci e colpi di scena, il romanzo Il diritto dei lupi, nato dalla penna di un consulente informatico amministrativo, Stefano De Bellis, e di un biologo e divulgatore scientifico, Edgardo Fiorillo, è destinato a coinvolgere ancora migliaia di lettori e a trascinarli in una storia solo all’apparenza lunga per la mole di pagine, ma dalla lettura rapida al punto che, arrivati alla fine, sembra averla appena iniziata.

Due storie che inizialmente non sembrano aver alcun punto in comune si riveleranno soltanto verso la fine della narrazione due facce dalla stessa medaglia: delitto e potere infatti si fondono in una visione univoca, sullo sfondo della Città Eterna, su cui incombe l’ombra del dictator Silla nell’80 a.C., in cui l’essere umano, cosí come oggi, risulta essere l’artefice di efferata crudeltà.

«Il rumore della cote sul ferro accarezzava i timpani dello sfregiato e lo aiutava a concentrarsi. L’uomo si prendeva cura delle siche come un leone dei suoi artigli: assecondava i sobbalzi del carro, facendo scorrere con studiata lentezza la pietra sopra le lame curve, si godeva il momento e intanto ripassava tra sé le cose da fare, organizzandole in una sequenza precisa». Questo l’incipit dell’accattivante romanzo che, attraverso la presentazione della figura dello sfregiato, lascia presagire un evento funesto, che si rivelerà essere una strage. Nella carneficina, avvenuta in un lupanare della Suburra, il quartiere piú malfamato dell’Urbe, sono coinvolte persone di diversa estrazione sociale, schiavi e donne bellissime, intrattenitrici di uomini influenti, ricchi e assetati di potere, che aspirano ad alte cariche politiche. L’unico a salvarsi è Mezzo Asse, proprietario del lupanare e unico testimone oculare dell’accaduto, di cui si sono perse le tracce: intorno a lui si focalizza l’attenzione della città di Roma.

Parallelamente, si fa strada la figura di Marco Tullio Cicerone, alle prese con il suo primo processo penale: il suo compito sarà quello di difendere Sesto Roscio Amerino, protetto dalla nobile matrona Cecilia Metella, dall’accusa di parricidio. Nel caso torbido e inquietante, che nasconde le cospirazioni di un uomo avido e spietato, l’abile oratore Cicerone, «che persegue la verità ancor piú della vittoria», sulla scorta di tutto ciò che i suoi maestri gli hanno insegnato, «si ingrazierà la corte, blandirà il pubblico, terrà il suo cliente lontano da qualsiasi insinuazione, e ribatterà colpo su colpo»: inventio, dispositio, elocutio, memoria e accusatio saranno i punti di forza della sua performance.

In un continuo susseguirsi di vicende che tengono costantemente il lettore col fiato sospeso, si riusciranno a mantenere integre e ben salde le sorti e i valori morali della Res publica e del populus?

Per l’evocazione di luoghi e la caratterizzazione meticolosa di personaggi illustri dell’età di Silla, il romanzo si distingue per una rivisitazione in chiave moderna di una parte di storia da cui ci si allontana a malincuore a libro ultimato.

Andrea
Alessandra
Vincenzo