Paolo GiordanoNel contagio

ISS Cerletti, Conegliano (TV)
Classe: V AGF

Come hanno vissuto i ragazzi la pandemia da Covid-19? Ce lo raccontano in occasione dell’incontro con Paolo Giordano avvenuto dopo la lettura del saggio Nel contagio.

Quando a febbraio è arrivata la notizia di un nuovo virus che si era propagato in Cina ma che si stava velocemente diffondendo anche altrove, mi era passata per la testa l’idea che potesse seguire il modello di sviluppo delle piú grandi pandemie della storia. Man mano che il virus dilagava e la situazione si aggravava, questa idea diventava sempre piú realistica, in particolare con la conferma dei primi contagi in Italia.

Quando sono arrivate le prime chiusure, avevo già ipotizzato che le scuole avrebbero chiuso prima delle vacanze estive; all’inizio ero molto contento perché mi trovavo in un momento difficile: ero affaticato e il pensiero di dovermi alzare presto la mattina per andare a scuola altri tre mesi, senza nessuna prospettiva entusiasmante in vista, mi metteva in uno stato d’animo di vaga depressione.

Quindi alla notizia della diffusione del virus, si accompagnava sia la paura di una catastrofe simile alla peste, sia una sorta di felicità nel vedere interrompersi la quotidianità diventata pesante e, visto che la situazione era nuova e sconosciuta, mi era anche balenata l’idea di una lotta per la sopravvivenza, di un collasso della società oppure di un ritorno ai tempi preistorici. In particolare ero affascinato dal fatto che improvvisamente il futuro appariva incerto e sconosciuto.

Per molto tempo, ovviamente senza considerare i malati, i morti e la sofferenza di tante persone, nonostante le restrizioni e la didattica a distanza, ho preferito il destino deciso dal virus. Durante la pandemia, soprattutto d’estate, ho avuto molto piú tempo da dedicare ai miei hobbies: uno di questi è l’intaglio del legno. È una cosa che mi rilassa parecchio e mi piace molto l’idea di poter ricavare dal legno, con le mie mani, un oggetto, come ad esempio una spada. Nonostante io sia contro la violenza, mi affascinano le spade e i coltelli in generale. Ho avuto tempo per poterne progettare diversi. Alla fine ho realizzato solo una bella spada e un paio di animaletti, che però hanno richiesto tre settimane di lavoro avendo solo coltellino e carta vetrata. Intagliare piccoli oggetti in quel periodo di restrizioni, mi ha aiutato a passare meno tempo davanti al pc o col telefonino. Dedicarmi ai miei hobbies e ai miei interessi non mi ha però impedito di sentirmi solo, isolato e in pericolo.

Oggi, a distanza di tempo, considerando l’andamento della pandemia e il periodo attuale di sconforto per lo studio, la difficoltà a seguire la didattica a distanza, i rapporti sociali ridotti al massimo e vedendo diminuita la mia autostima, mi rimangio l’idea che la pandemia potesse essere una soluzione, anche se in passato mi aveva salvato da un periodo difficile. Dico quindi che forse «si stava meglio quando si stava peggio».

Lorenzo

 

Tutto si bloccò, era il 10 marzo 2020, la vita di noi ragazzi venne sconvolta da questa pandemia causata da un virus conosciuto come SARS-COV-2, che allora veniva definito solamente come un virus piú maligno e contagioso degli altri. Quel nome, che ci rimbomba in testa, ci ha costretti ad isolarci, a rimanere a casa, a limitare le nostre libertà su cui si costruiva il nostro quotidiano. E oggi? Siamo soggetti a continui cambi di colore: gialli, arancioni o rossi? Gialli significa «liberi», anche se alcune restrizioni ci sono, chiusura dei bar alle 18 e coprifuoco dalle 22 alle 5, in arancione gli amici e compagni che vivono in altri comuni non si possono vedere se non durante la scuola e infine in zona rossa mi ritrovo a casa, tutti dietro a uno schermo, rappresentati da un bollino con la lettera iniziale del nostro nome, ad ascoltare i professori, senza le distrazioni che si hanno ogni tanto con i compagni e le cavolate che si fanno alla nostra età sui banchi di scuola. Sono sempre piú demoralizzata, la situazione non è delle migliori, ci sono continue restrizioni e cambiamenti, però so bene che sono importanti e da rispettare per noi e la collettività.

Ogni tanto mi fermo a pensare e mi rendo conto di essere testimone di questo periodo, ormai consapevole che resterà nei libri di storia. Ma ne sento anche la pesantezza, le fatiche, sento la lontananza, la mancanza di affetto che prima forse davo troppo per scontato.

Questo momento lo sto vivendo con consapevolezza, mi sento fortunata a viverlo in questo tempo, in cui la scienza e la tecnologia hanno fatto enormi progressi rispetto al passato; oggi, nonostante la pandemia, possiamo continuare il nostro percorso di istruzione tramite video lezioni in tempo reale, potendo svolgere la didattica a distanza (DAD) o la didattica digitale integrata (DDI). Il COVID-19 ci ha reso consapevoli che ognuno deve fare la sua parte, ci ha dato una visione di qualcosa di piú grande, una comunità, che pur stando lontana si deve aiutare a vicenda; ci ha insegnato l’importanza di piccoli gesti come l’utilizzo di una mascherina.

Questa situazione, che all’inizio mi sembrava un po’ surreale, quasi fantascienza, in questi ultimi mesi capisco quanto sia concreta e porti dolore alle famiglie colpite alle quali sono vicina. Sono una persona riservata, sto volentieri a casa con la famiglia, ma sicuramente questa situazione non è piacevole per nessuno; è triste non poter stringere in un abbraccio caloroso coloro ai quali voglio bene e non poter stare con loro quanto vorrei.

Alessandra

 

Da un anno e mezzo a questa parte, tutto il mondo si è ritrovato a vivere una situazione surreale a causa della pandemia da Coronavirus. Le conseguenze sono state e sono tuttora drammatiche: milioni di morti, reclusione fisica e distanziamento sociale. Tutti noi di punto in bianco ci siamo ritrovati con delle mascherine sul volto e con una serie di obblighi e limitazioni che fino a quel momento erano impensabili. Ognuno di noi ha vissuto e vive questa situazione in maniera differente. La nostra quotidianità è stata compromessa e le nostre libertà sono state limitate.

Personalmente ho vissuto questo periodo senza eccessive ansie. Inizialmente, quando i diversi mezzi di comunicazione cominciarono a diffondere la notizia che il Covid si stava propagando in tutto il mondo, non mi preoccupai perché si diceva che fosse una semplice influenza. Non mi spaventai neppure quando, a fine febbraio, si verificarono i primi casi in Veneto e Lombardia, e poco tempo dopo scattò il lockdown. Il mio stato d’animo cambiò quando cominciai a capire che tutta l’Italia si trovava nella stessa situazione. La paura però cessò quando ci comunicarono le regole da attuare per evitare la diffusione del contagio. Mi rassicurai e continuai a vivere senza perdere di vista il mio obiettivo, cioè quello di continuare i miei studi e di essere promosso, nonostante le nostre lezioni fossero in DAD. In tutto questo dramma accadde anche qualche fatto positivo, ad esempio il ritorno dall’ospedale della mia vicina di casa. Ricordo ancora quel momento il giorno di Pasqua quando uscimmo per la prima volta nel giardino del condominio, senza però poterci salutare come avremmo voluto. Con il passare del tempo pian piano le misure di contenimento si allentarono e rividi le persone a me care, amici e parenti. Ero contentissimo, anche se non sapevo bene come comportarmi; mi sembrava un sogno. Arrivò l’estate e le vacanze, tornò la leggerezza e quasi mi dimenticai di ciò che avevamo vissuto qualche mese prima. La preoccupazione e il disorientamento sopraggiunsero quando vi fu nuovamente un rialzo dei contagi, ma in quel momento il mio desiderio fisso era quello di rivedere i miei compagni di classe. Purtroppo la gioia durò poco perché poche settimane dopo finimmo nuovamente in DAD.

Qui cominciai a sentire il peso della situazione, la frustrazione di dovermi di nuovo isolare e mi sentii imprigionato dalle mura domestiche, come se l’esterno non esistesse piú. I mesi successivi furono un susseguirsi di aperture e chiusure, tutto era instabile e incerto. Oggi vivo ogni momento possibile di libertà come se fosse l’ultimo. Inoltre, mi sono tranquillizzato con l’arrivo dei vaccini, soprattutto da quando si è vaccinata mia nonna. In tutto questo lungo anno si sono accentuati alcuni lati del mio carattere, e in particolar modo la tendenza alle paranoie. Attribuisco questo al fatto di vivere una continua condizione di instabilità e al non poter vedere per determinati periodi di tempo le persone a me piú vicine. Oltre a ciò, ho imparato ad apprezzare il valore delle piccole cose, che vanno da un messaggio con scritto «ti voglio bene» a un piccolo gesto che può cambiare la giornata. Un altro grande aiuto mi è stato dato dalla musica e da una mia amica.

La musica c’è sempre stata, nei momenti facili ma soprattutto in quelli difficili come questo che stiamo vivendo. In particolare mi hanno fatto stare bene le canzoni di Emma Marrone e Alessandra Amoroso. Durante la pandemia, ma soprattutto durante il lockdown, mi hanno sempre tenuto compagnia. Ho seguito quotidianamente la diretta Instagram di Emma che condivideva alcuni suoi momenti di vita quotidiana, riuscendo a strapparmi sempre un sorriso. Ma il momento in cui assocerò le sue canzoni a questo anno di pandemia sarà quando a giugno andrò in Arena di Verona per un suo concerto dal vivo e forse in quel momento, attraverso il suo entusiasmo, sentirò che il peggio è davvero passato.

Devo ringraziare anche Alessandra, una mia compagna di classe che in questo periodo è diventata una mia cara amica. Durante il lockdown ci siamo sentiti sempre in videochiamata per parlare di tutto e sentirci meno soli. Anche lei sarà un ricordo associato a questo difficile periodo.

L’anno del Covid rimarrà sicuramente un ricordo indelebile per tutto il resto della mia vita. Lo ricorderò come un’altalena continua di emozioni, come un periodo in cui ho scoperto ancora di piú il valore delle piccole cose. Aspetto con impazienza il momento in cui mi vaccinerò ma soprattutto quando annunceranno di aver raggiunto l’immunità di gregge. Allora forse questa pandemia potrà diventare solo un ricordo.

Giulio

 

Personalmente non ho vissuto con ansia e agitazione questo difficile periodo e il disordine che ha portato questa pandemia nella vita di tutti; anzi, iniziato il primo lockdown, ho provato un senso di sollievo, come se non aspettassi altro che una pausa da tutti gli impegni che avevo fino a poco tempo prima.

Finalmente avevo a disposizione un lungo periodo per riposarmi, riorganizzare le idee e pensare a me stesso, senza dovermi preoccupare di studiare per i test in classe, senza dover rispettare i ritmi e gli orari della palestra, o ancora senza dover per forza uscire con i miei amici solo per non fare la figura di «quello che non esce perché ha altro di meglio da fare».

Col passare del tempo chiuso in casa e con la ripresa della scuola tramite le lezioni online, il mio umore mutò, pian piano, da uno stato di leggerezza a una sensazione di oppressione e di fastidio, influenzata dai telegiornali stracolmi di notizie riguardanti la situazione pandemica. Ogni giorno era scandito dall’appuntamento fisso alle sei di sera, in cui si riportavano i numeri di questa pandemia: i morti, i contagiati, i guariti. In breve tempo il mio stato d’animo mutò radicalmente: stare reclusi in casa per mesi potendo spostarsi solo in un raggio ristretto dalla propria abitazione fu difficile da sostenere. In questo spazio le cose da fare per passare il tempo erano ben poche: alla mattina dovevo seguire le lezioni scolastiche online, in seguito pranzavo e al pomeriggio o svolgevo qualche compito per casa, o passavo le ore al telefono, oppure giocavo a scacchi o a carte con i miei genitori. Inoltre passavo abbastanza tempo nel giardino del mio condominio, giusto per prendere aria; il problema, proprio perché vivo in un condominio, era che non riuscivo mai a stare almeno per un’ora di tempo da solo e ogni volta finiva che arrivava un vicino, che iniziava a farmi sempre le solite domande, del tipo «come va con la scuola» o «come passi il tempo»; altre volte dovevo tagliare l’erba del cortile e terminato il lavoro me ne tornavo in camera, rimettendomi davanti al computer.

Per non stare completamenti fermi, io e la mia famiglia, trovammo un modo per tenerci allenati: siccome dovevamo rispettare il limite dei duecento metri, l’unico modo per fare attività fisica, oltre che dentro casa, era utilizzare un campo presente nella nostra via. Il fatto è che proprio l’anno precedente, in questo pezzo di terra, era stato piantato un vigneto, il che all’inizio aveva escluso la possibilità di utilizzarlo. Ma pur di muoverci, ci venne in mente di sfruttare il terreno lasciato libero tra un filare e l’altro, cosí da poter correre in mezzo al vigneto e sfruttare comunque lo spazio del campo.

Inizialmente i vicini, nel vederci correre avanti e indietro per il campo passando tra i filari ci presero per pazzi; ma col tempo, quasi tutti capirono che quello era l’unico modo per riuscire a fare un po’ di movimento e finirono per imitarci. Da quel momento, non potei neanche utilizzare quello spazio come luogo dove passare del tempo da solo e mi rassegnai a rimanere in casa.

Giunto il 4 maggio, data che prevedeva una forte riduzione delle limitazioni con cui ormai eravamo abituati a vivere, mi sentii nuovamente sollevato. Potevo allontanarmi da casa oltre il limite dei duecento metri, potevo rincontrare i miei amici e potevo andare a correre fuori dal vigneto che avevo davanti a casa. Quando rincontrai un mio amico dopo tutto questo tempo, mi sembrava di non vederlo da anni. Passammo il pomeriggio assieme raccontandoci cosa avevamo fatto in questo periodo, neanche fossimo andati a fare un’esperienza all’estero o chissacché. Dopo questa prima quarantena, ormai non mi stupivano piú le nuove regole e restrizioni che ogni mese ci imponevano e non mi impressionavano piú neanche i dati aggiornati delle morti e dei contagiati da Covid.

Oggi, dopo un anno e mezzo dall’inizio della pandemia, mi sento piú positivo e sicuro, perché ora la regione è in zona gialla e di conseguenza le limitazioni si sono allentate. Ma anche perché da quando hanno iniziato a circolare i vaccini, provo una sensazione di speranza; speranza e fiducia nel fatto che stiamo tutti percorrendo la strada giusta verso la risoluzione di questo enorme problema che ormai influenza la nostra vita di tutti i giorni.

Nico

 

Come già sappiamo, è iniziato tutto nel dicembre del 2019 quando, ai telegiornali si sentiva parlare di questo misterioso virus che si stava, pian piano, diffondendo in Cina. La maggior parte della popolazione italiana, io compresa, era convinta che un virus del genere non sarebbe mai potuto arrivare fino in Italia anche per il fatto che Cina ed Italia sono due Stati, in linea di massima, lontani tra loro.

Mai previsione fu meno azzeccata! Ci accorgemmo di avere il virus in casa verso la fine di febbraio, nel 2020. Comparvero i primi casi. E poi il virus si diffuse rapidamente a causa degli spostamenti della gente che portarono ad un facile contagio. Tutti venimmo colti alla sprovvista. E in breve tempo fummo in lockdown.

Di punto in bianco mi sono ritrovata a dover stare distante dalle persone care, a non poter andare piú a scuola, a dover indossare dispositivi di protezione individuale come la mascherina e addirittura a dover stare chiusa in casa giorno e notte con la paura di ascoltare il telegiornale che ogni giorno aggiornava il bollettino dei morti.

Ho vissuto con fatica questo anno e mezzo, questo tempo che mi è sembrato e ancora oggi mi sembra infinito, ma mi posso ritenere fortunata rispetto ad altre persone che hanno sofferto molto piú di me; molti lavoratori sono stati licenziati, molti ragazzi sono entrati in depressione, tanti, troppi, ci hanno lasciato sconfitti dal virus o non hanno retto la solitudine e hanno messo fine alla loro vita.

Inizialmente, stare a casa non mi è pesato molto: ho scoperto tante piccole cose da fare all’interno del nucleo familiare, ma, col passare delle prime settimane di lockdown, ho cominciato a sentire dentro di me che qualcosa non era piú come prima. Mi sembrava surreale dover vedere i compagni attraverso un portatile, vedere i miei amici sullo schermo di un telefono e soprattutto vedere i miei genitori a casa dal lavoro, costretti a dare il meglio di loro stessi per poter mantenere la famiglia.

Mi ricordo che le giornate diventavano ogni giorno sempre piú pesanti e monotone ma ancora non mi rendevo conto di quanto potesse essere brutale questo Covid-19. Non me ne rendevo conto perché mi illudevo che sarebbe finito tutto di lí a pochi mesi; forse ho preso reale consapevolezza del buco nero nel quale eravamo precipitati solamente qualche mese fa, quando ho cominciato a cedere psicologicamente, logorata da un anno di restrizioni.

Oggi, nonostante parecchie limitazioni siano ancora in vigore, mi sento un po’ piú libera, ma non riesco mai a pensare al domani perché non so piú cosa aspettarmi. Certo, ci sono i vaccini, ma non riesco a vedere una fine a tutto questo, sono terrorizzata all’idea di tornare di nuovo in lockdown, ho paura di contrarre il virus e non so quando potrò tornare a vivere una vita normale da adolescente.

Tutte queste paure e interrogativi mi fa vivere in una sorta di limbo e, essendo io una ragazza che ama pianificare le cose a lungo termine, mi sento soffocata e sottomessa da una grande bestia che non posso combattere da sola.

La mia voglia di ricominciare a vivere è immensa e spero che tutto questo possa finire presto.

Martina

 

Da marzo 2020 le nostre vite sono cambiate totalmente. Non siamo potuti uscire dalle nostre case per molti mesi.

Personalmente cominciai la quarantena senza darle molto peso, pensando che la cosa sarebbe passata in fretta, ma già dopo un mese mi resi conto che non sarei tornato a scuola quell’anno, e poi che le conseguenze di questo contagio si sarebbero prolungate ben oltre giugno.

L’estate ci concesse un momento di pausa, ma già l’autunno successivo le restrizioni tornarono, di pari passo con i contagi, i ricoveri e le morti per complicanze legate al virus. Con l’autunno non solo ebbi un tracollo nel rendimento scolastico, dato probabilmente da una perdita di fiducia e da un periodo di tristezza dovuta alla lontananza dalla gente a me cara, ma trascurai anche il mio fisico con conseguente perdita di autostima e peggioramento dell’umore.

Durante i mesi di fermo (cosí chiamo il periodo in cui non si poteva uscire di casa) sono stato «salvato» dai siti di comunicazione online, con cui ho potuto mantenere i contatti con i miei amici. Se non fosse stato per le sere passate online a parlare e giocare con gli amici, probabilmente avrei sofferto molto di piú l’isolamento.

In tutto questo anno e mezzo ho preso anche l’abitudine di andare a passeggiare per i campi vicino a casa mia, grazie al fatto che per fortuna vivo in campagna. In questo vagabondare ho ritrovato anche luoghi che non esploravo da molto tempo.

Non so se questa pandemia sia stata per me un’esperienza positiva o negativa; ho sicuramente imparato a valorizzare i rapporti sociali nella nostra vita, e ho riscoperto il gusto di esplorare il mondo intorno a me, ma sento anche di aver perso molto tempo e di aver dovuto rinunciare a molte esperienze che forse non potrò recuperare facilmente.

Gioele

 

Un giorno potrò parlare ai miei figli di questo 2020: potrò dirgli «io c’ero», quando mi chiederanno com’è stato l’anno della pandemia.

Lo troveranno scritto sui libri di storia e io potrò raccontarglielo con le mie parole, gli racconterò di come da un giorno all’altro ci siamo ritrovati costretti a chiuderci in casa, di come abbiamo studiato davanti a un computer, e di come non abbiamo piú visto amici per mesi e mesi, dei colori delle regioni e di come ho passato il lungo tempo del Coronavirus.

I miei mesi di quarantena li ho passati come tutti gli altri ragazzi, mesi di incertezza e di novità. La novità della scuola a casa, davanti a un PC, la novità di non potersi muovere e di passare il proprio tempo tra le mura domestiche. Il non avere contatti sociali è triste e deprimente, ma per fortuna ci ha aiutato la tecnologia, ci siamo messaggiati, abbiamo parlato tramite video-chiamate, abbiamo visto le nostre facce dallo schermo di un computer.

Se devo essere sincero, la quarantena per me non è stata cosí drammatica, non è cambiato tantissimo dalle mie solite abitudini, a parte il non muovermi per andare a scuola e in palestra. Per il resto anche prima stavo molto a casa. Mi ha aiutato molto il luogo dove vivo, un piccolo paese fatto di colline e vigneti, dove la confusione è normalmente quasi inesistente.

Ho passato il tempo nella mia camera a giocare con i miei amici, a studiare, leggere fumetti manga e pensare. I giorni passavano piú lentamente rispetto al solito, ma trovavo sempre come riempire il mio tempo, perché le ore possono essere fatte anche di momenti di solitudine e di pensieri sparsi.

Ho riscoperto lo stare nella natura: dopo il periodo di lockdown ho fatto numerose passeggiate tra i boschi della mia zona, ho apprezzato la compagnia dei miei genitori, ho gustato il piacere dell’attività fisica, del puro movimento e ho scoperto posti nuovi. Mi piace camminare, mi svuota la mente e mi fa stare bene con me stesso.

Una bellissima novità della mia quarantena è stato anche l’arrivo di Zanna, un bellissimo border collie che mi ha fatto compagnia durante le camminate e ha portato alla nostra famiglia una ventata d’aria fresca.

In conclusione, questo tempo particolare mi ha fatto capire che non tutto il male viene per nuocere, non per tutti è stato un tempo vuoto, anzi, ho riscoperto valori che avevo dimenticato, la lentezza del tempo, la calma nel fare qualsiasi cosa e potersi abbandonare alle sensazioni di pace e del dolce far niente.

Ora non sarà facile ricominciare, perché ormai mi ero abituato alla vita fatta di tranquillità e tempi lenti, ma c’è il bisogno di tornare alla vera normalità, perché la vita è fatta anche di sveglie che suonano, corse in bicicletta per arrivare in tempo alla fermata dell’autobus, e riscoprire il confronto umano con amici e professori. Capiremo il vero valore della libertà, che ci è stata tolta da un momento all’altro, un valore importante che non avremmo mai pensato di poter perdere, e il riaverlo ci farà comprendere quanto sia importante la sensazione di vera indipendenza, fatta di piccole cose di tutti i giorni che pensavamo ormai di aver perso.

Ezio

 

Caro Paolo,

mi chiamo Alice e ho 20 anni, ti scrivo perché voglio che tu sappia come mi sono sentita durante il lockdown e come tutt’ora mi sento in questo periodo. Di certo non è un momento facile per nessuno, chi più chi meno. Siamo però accomunati tutti dalla stesse paure e paranoie che ancora oggi, dopo quasi 2 anni e le prime vaccinazioni, persistono.

Il nostro caro Covid, e dico caro perché ci sta costando molto caro, è arrivato senza preavviso. Ci ha colti tutti impreparati, si è seduto sul suo trono e con la sua corona in testa ha dominato tutto il mondo in cosí poco tempo. Ci ha obbligato a star lontano dai nostri cari e amici. Ci ha vietato ogni tipo di divertimento e ci ha posseduto anche mentalmente. Moltissime persone hanno perso il lavoro e si sono tolte la vita per questo. Molti giovani come me invece sono caduti in depressione, in una sorta di apatia. Tra scuole chiuse quindi lezioni in didattica a distanza, nessun tipo di contatto umano al di fuori della tua famiglia o per videochiamata e nessun tipo di libertà, se non quello di poter fare una passeggiata, rimanere a casa per ben tre mesi non è stato facile. Forse i primi giorni di lockdown sono stati apprezzati perché si sono riscoperte delle piccole cose alle quali prima non si dava peso, successivamente però la situazione ha iniziato ad essere critica e pesante. Io personalmente ho vissuto il lockdown come dei giorni normali. Non è cambiato molto. Sono sempre stata abituata a stare a casa, non mi dispiace. Inoltre sono in bella compagnia, ho due sorelle e un fratello tutti piú piccoli di me con il quale sarebbe impossibile annoiarsi, non posso lamentarmi. L’unica cosa che ho dovuto davvero sopportare è stata la presenza dei miei genitori. Ma tutto sommato tra film, serie tv, attività fisica in casa, libri, cucina, giochi da tavolo e videogiochi me la sono cavata.

Ora, a distanza di mesi, inizio ad assaporare un po’ di libertà. Sono vogliosa di fare milioni di cose e organizzare tanti progetti. Nonostante sia una bellissima cosa, se ci penso questo mi demoralizza un po’ perché se avessi avuto la possibilità di farlo prima non avrei aspettato un attimo. Invece questo virus mi ha portato via del tempo utile a fabbricare il mio futuro. Ma sai cosa ti dico? Adesso sono ancora piú speranzosa, ambiziosa e pronta ad attuare i miei piani in attesa che questo Covid-19 se ne vada al piú presto e che l’Italia e i suoi cittadini possano rialzarsi come ho fatto io.

Alice

Ti scrivo per raccontarti il mio lockdown, quel lungo periodo di reclusione che ha bloccato tutta l’Italia per colpa di questa pandemia da SARS-COV-2.

Beh, innanzitutto ti dico che mi sento fortunato, perché questo lockdown non l’ho sentito tanto dal momento che, vivendo in mezzo ai boschi e avendo un po’ di terreno nei pressi di casa, avevo la possibilità di uscire e camminare stando un po’ all’aria aperta e ogni tanto distrarmi facendo qualche lavoretto. Però vivere in mezzo alla natura non è sempre un vantaggio perché non puoi fare come in città che basta aprire la finestra e parli con il vicino; quindi in questa situazione di emergenza sanitaria ognuno ha avuto e perso qualcosa.

Per quanto riguarda il Covid nello specifico, nella mia famiglia non ci sono stati problemi fino ad ora; invece ho avuto amici che hanno contratto il virus ma senza alcun sintomo grave, solo un po’ di febbre, tosse e raffreddore molto lievi.

Spero che questa pandemia finisca al piú presto e che possiamo tornare a vivere senza mascherine, senza il distanziamento e con tutti i negozi e i locali aperti. Ormai siamo tutti stanchi di dover stare attenti alle distanze, di ricordarci la mascherina, di igienizzarci le mani appena tocchiamo qualcosa, di non poter starnutire liberamente senza farci il vuoto intorno.

Questi i miei pensieri sul periodo che abbiamo vissuto e ancora stiamo vivendo.

Mattia