Davide MoscaBreve storia amorosa dei vasi comunicanti

ITE Tambosi, Trento
Docente: Sara Losa
Classe: IV SA

Esercizi di scrittura creativa: rilettura del romanzo Breve storia amorosa dei vasi comunicanti dal punto di vista di Margherita

1. Due pesi due misure: gli opposti si attraggono

Ed ecco che un’altra giornata è di nuovo iniziata. Sempre solita routine: sveglia alle 6:00, un bicchiere d’acqua, una tazza di caffellatte (40 calorie), due biscotti (60 calorie), appunto tutto sulla mia agenda delle calorie chiamata anche “libro nero”, bilancia, e pronta per iniziare a studiare anche oggi.

È un periodo abbastanza stressante per me e questo non fa che chiudermi ancora di piú lo stomaco, ma devo sforzarmi, non riesco piú a sentire le lamentele di tutti su quanto io stia perdendo chili in questo periodo, quindi credo che una mela e una carota per un totale di 65 calorie, per la mia cena, possano bastare. Sono tentata di mangiare anche un altro biscotto ma poi ripensandoci, perché dovrei farlo? Non ho fame, il mio corpo ormai si è abituato all’assenza di  cibo, quindi che scopo avrebbe? Solo quello di far aumentare il numero di chissà quanti grammi sulla bilancia! Ma cosa può interessare agli altri se peso meno di loro? Non serve mica uno scienziato per farmi capire che sono molto piú magra rispetto a loro.

Ma che differenza fa, io voglio essere vista per chi sono veramente, dentro di me, non fuori. In fin dei conti non spetta a nessuno decidere se non a me, o meglio al mio corpo.

Finalmente credo di poter dire di aver trovato una persona che guarda la mia anima prima del mio aspetto, ma poi… non si fa nemmeno sentire! Remo sembra scomparso! Certo, avevo detto che dovevo studiare, ma non gli ho mica detto di sparire! Ah gliene canterò quattro in macchina, ma ora devo pensare a prepararmi. Credo che una maglietta bianca e un semplice paio di jeans possano andare piú che bene. Anzi, dovrei proprio andare a fare shopping… Stanno cominciando ad andarmi larghi quasi tutti i miei pantaloni. Decido di mettermi anche un po’ di rossetto, credo di meritarmi un po’ di tempo per me stessa. Finalmente oggi ci vedremo per andare al cinema, sono sicura che una pausa da tutto questo studio non possa che farmi bene.

Il viaggio in macchina con Remo è stato piacevole come sempre. Con lui mi sento libera, sento di poter essere sempre me stessa come se in fondo noi due fossimo legati da qualcosa che ci accomuna. Ovviamente la ramanzina per essere sparito l’ho fatta, ma sono sicura che lui l’abbia fatta solo per me, per non distrarmi dai miei doveri. Arrivati alla multisala a Genova decido di prendere la mia amata Coca Cola rigorosamente Zero e i popcorn. Come sempre ho annotato tutto sul libro nero. Meno di 90 calorie… molto meno di quello che si possa immaginare. Ed è proprio quello che ho detto a Remo notando il suo sguardo sulla mia agenda.

Lui non parla mai del cibo. A dir la verità non sembra nemmeno accorgersi della mie stranezze e questa cosa può farmi solo che piacere, mi dà una certa sicurezza, per questo riesco ad aprirmi, perché so che lui non mi giudicherebbe mai.

Ovviamente Alessia deve subito intervenire. Sempre i soliti discorsi: «ti vedo piú bianca, hai fatto colazione? ti gira la testa? hai pranzato? non puoi ridurti cosí e bla bla bla…»; so che secondo le mie amiche mi sto auto-distruggendo ma io non mi sento male! Certo, sarò un po’ piú affaticata, ma niente a che vedere con le calorie: capita a tutti un periodo di stanchezza no?

Vado al bagno, ma prima di allontanarmi riesco a sentire Alessia che si lamenta con Remo riguardo al fatto che quasi sicuramente quei popcorn sarebbero stati il mio pranzo e mai avrei immaginato che Remo rispondesse con: «Tranquilla, hanno poche calorie!» Mi sarei voluta girare solo per vedere la faccia sconvolta e furiosa della mia amica. E bravo il mio Remo!

Durante lo spettacolo spilucco un po’ del mio snack, ma mai avrei pensato che ce ne sarebbero stati cosí tanti! Cosí lascio perdere anche quelli, sono tentata di offrirli a Remo, ma sembra cosí assorto nello spettacolo che non voglio disturbarlo.

Finito lo spettacolo è giunta ora di mangiare, almeno cosí dovrebbe essere, ma come ben so il mio stomaco non dà segno di volersi aprirsi. Quindi nulla da fare nemmeno oggi; bé, guardiamo il lato positivo, qualche grammo in meno questa sera sulla mia adorata bilancia! Ho deciso comunque di assecondare qualsiasi loro scelta. Alessia ci aveva visto lungo, ormai mi conosce e sa che il mio accettare ogni ristorante proposto equivale al non prendere nient’altro se non la mia insalata. Ammetto che tutto mi aspettavo tranne una sua sfuriata. Insomma, sa come sono fatta, non può costringermi a mangiare e non può pretendere che lo faccia sotto ricatto. Come se minacciandomi con «Allora non mangiamo nemmeno noi» mi possa far venire un languorino improvviso, dovrebbe saperlo… non funziona cosí. Se non voglio, non voglio, punto. Per fortuna Remo riesce a sostenermi anche in questo momento con una delle sue solite risposte cosí leggere, buttate lí per sdrammatizzare qualsiasi situazione. Questo è una delle caratteristiche del suo carattere che mi piacciono di piú. Cosí genuino e spontaneo.

Comunque, nell’attesa, decido di prendere la mia Coca Cola Light, ma nemmeno questo sembra andar bene, perchè non fa altro che far arrabbiare ancora di piú la mia amica davanti a me. Eppure sto bevendo, sto introducendo altre calorie nel mio corpo, dovrebbe essere contenta. Non era questo il suo obiettivo? Quindi entriamo nel ristorante piú vicino con i tavoli di legno laccato, tubi cromati e divise scure. Alla fine è Remo ad ordinare il pollo con l’insalata. «Perchè non ordini un hamburger con le patatine fritte! Non ti lasciar fregare da quelli che ti dicono di metterti a dieta» gli dico. Ma lui rimane della sua idea e prende comunque il suo pollo. Io prendo la mia insalata semplice, scondita come d’abitudine, però assaggio un po’ del pranzo del ragazzo accanto a me e bevo un po’ della sua birra; a lui non sembra dispiacere e mi rende felice notare che è disposto a condividere il suo pranzo con me. Decido di tentare ed assaggiare anche un pochino del suo gelato ma sento già di stare esagerando. E quel «Ti piace?» proveniente dal posto accanto al mio non fa altro che affermare il mio pensiero. Sto esagerando. Non mi posso permettere di cominciare a sgarrare con il gelato… e se poi mi dovesse piacere veramente? E se magari cominciasse a diventare il mio dolce preferito? NO, NO e ancora NO. Chissà quanti grammi mi farebbe prendere in soli due giorni. Per questo rispondo con un semplice: «E questo che c’entra?» Non posso permettere che c’entri. Appena uscita dal ristorante non posso far altro che riabbracciare Alessia, lo so che lo fa per il mio bene, ma quando qualcuno mi sta cosí addosso proprio non lo sopporto. Mi sussurra che lei ci tiene a me e che non avrebbe mai voluto reagire in quel modo e che vedermi stare male la distrugge. Cosí un volta rientrati in sala esclamo un: «Ho fame» per far credere di essere normale anche io e che la mia insalata (mangiata a fatica) non mi sia bastata.

Una volta usciti e arrivati nell’atrio io e Remo ci fermiamo a controllare le locandine dei film in uscita, ma quando abbassiamo gli occhi ci ritroviamo riflessi l’uno accanto all’altro in un grande specchio a parete incorniciato da due piante in vaso.

Ci immobilizziamo per la sorpresa.

Remo è più alto di me di circa 15 cm ed io sembro cosí gracile e indifesa vicino a lui. Vedo che si sta allontanando, cosí colgo l’occasione al volo e lo abbraccio. Lo abbraccio cosí forte da trasmettergli tutto il mio affetto e in questo momento mi sento cosí protetta… non mi interessa né della gente curiosa che ci guarda né della diversità che a primo impatto può sembrare un ostacolo. Ci siamo solo io e lui.

Marianna

 

2. Diario di (una ragazza anoressica) Margherita

Sveglia alle 7 del mattino: con le forze date dall’adrenalina di quel solito piccolo infarto, metto a tacere con violenza l’assillante rumore della sveglia e riaffondo nel silenzio e nel caldo delle mie coperte.

Diario di una ragazza anoressica, ecco il titolo di qualsiasi cosa io possa scrivere su di me, ciò che chiunque pensa di leggere tra le righe quando parlo di me. A volte mi chiedo perché non cambio il nome in Anoressica che poi assomiglia a Jessica, ma sí, alla fine chi mi chiama Margherita? Al liceo tutti ti fissano anche solo per un capello fuori posto, figuriamoci per 5 taglie in meno del normale. Fortuna che oggi non ci vado. Ma a me queste cose non toccano, non lascerò certo che degli stupidi commenti compromettano la mia perseveranza. «Non puoi essere normale come gli altri? Ma non vedi che fai ribrezzo?» ha detto anche mio padre ieri sera appoggiando l’ennesima lattina finita di birra sul tavolo. Ci potrebbe fare i castelli con le lattine, al posto delle carte. Neanche lui mi comprometterà, quando parla riesco solo a pensare a tutte le calorie dell’alcool. Mamma mia chissà come fa.

Mi svesto sempre davanti allo specchio, mi piace osservarmi attentamente mentre sfilo un capo dopo l’altro e poi dopo una doccia ugualmente quando mi rivesto.
Mi guardo da mille angolazioni diverse, mi studio. Ogni volta imparo qualcosa di nuovo sul mio fisico, qualcosa da migliorare. Voglio essere in continua crescita personale.

La mattina mi mette voglia di fare, di impegnarmi. Oggi sono pure contenta, mia madre mi ha comprato un tappetino per i miei esercizi. Faccio sempre molti addominali, ma la schiena si riempie di lividi ogni volta a causa della mia spina dorsale piuttosto sporgente. Dio che vergogna! Fatti i miei esercizi, mi sento a posto e mi bevo una tazza abbondante di caffè. Ci tengo molto al mio fisico, per me è importante non lasciarmi tentare da sfizi e abbandonarmi al cibo. Tutte le mie amiche pensano che io sia esagerata, ma non capiscono che è tutto ovviamente sotto controllo. Alessia si fida di me meno di tutte e io non capisco quale sia il suo problema.

A un pub abbiamo conosciuto dei ragazzi amici di Alex, uno dei quali fa il personal trainer, mi sembra si chiamasse Giancarlo. Finalmente una fonte diretta per saperne di piú sull’argomento. Insomma amo tenermi informata e in forma! Alessia dice che ha una cotta per me, ma non mi sembra proprio. Insomma, la serata è stata particolare ma divertente, abbiamo fatto tardi. Ultimamente li vediamo spesso al bar Atene e ci uniamo a loro. C’è anche un altro ragazzo, Remo, molto gentile e un po’ impacciato. Fa lo scrittore. È iniziata a diventare quasi una routine: amici, chiacchiere e Coca Cola Zero al bar. Di solito non amo molto socializzare con tante persone, ma direi che sono tutti ragazzi a posto, tranne quel Flavio che c’era l’altro giorno. Che pallone gonfiato.

Sul calendario segno un altro mese senza ciclo.

Torno in bagno, mi lavo i denti e preparo la borsa per andare al ristorante dei miei a dare una mano. Non mi dispiace lavorare, però è noioso avere sempre mia madre intorno. Almeno finito il turno mi trovo con Alessia per andare al bar. Scelgo con attentissima cura i vestiti anche se scommetto che non sembra: tutto è appositamente pensato per attirare la minor attenzione possibile. Niente è troppo largo o troppo stretto o troppo colorato o troppo sciatto o troppo strano o vistoso. Niente è eccessivamente bello o eccessivamente brutto. Vi assicuro che studio tutto nei minimi dettagli e direi che negli anni l’invisibilità è diventato un mio super potere.

La gente non mi nota.

Arrivo al ristorante, inizio il turno tra le urla di mia madre, qualche battutina dal vecchietto di turno, la moglie che vuole rifilarmi mance su mance, il signore che mi insulta perché «questa non la puoi chiamare una birra grande!» e certamente non la posso neanche far pagare come una birra grande. Alzo gli occhi al cielo, solo quando non mi vede nessuno. Non tocco cibo. Preparo i caffè e i liquori per fine pranzo, chiudo, sparecchio, sistemo, pulisco, mi cambio, saluto. Mi guardo allo specchio e prendo un respiro. Non amo truccarmi, ma vedendo la sciattezza del mio viso post turno di lavoro penso che ce ne sarebbe bisogno.

Esco di fretta fumando una sigaretta per scappare il piú velocemente possibile da quel posto. È pazzesco come tutti entrino con assoluta calma al lavoro come a scuola e con quanta fretta se ne vadano. È triste pensare che alla maggior parte delle persone i propri anni di studio e lavoro facciano schifo. Dobbiamo essere tutti molto coraggiosi per vivere un 90% di vita che ci fa schifo. Nel tragitto verso l’Atene mangio una mela e qualche cracker integrale. Neanche il tempo di una mezza predica di Alessia che mi chiede dei miei pasti che scorgo Remo seduto al tavolo da solo. «Remo!» urlo per interrompere quel noioso discorso. Lui alza la testa timidamente e ci avvisa che da lí a poco arriveranno Giancarlo e forse Alex, come a sottintendere che non staremo da sole con lui a lungo. Ma a me sinceramente non dispiaceva, al contrario. Prendiamo tutti un caffè e mentre lo sorseggio faccio su una sigaretta.

Faccio molte domande a Remo sui suoi romanzi, sul suo stile di scrittura. Al momento sto leggendo Bukowski. «Passerai presto a John Fante» mi dice lui come dopo avermi letto nel pensiero. Stranita gli chiedo come faccia a saperlo. «Semplice, è quello che ho fatto io», dice. Mi stupisce sempre la timida dolcezza con cui manifesta la sua intelligenza.

Io e Alessia torniamo a casa prima dell’arrivo degli altri, ma prima passo alla cassa e pago anche per lui. Lo saluto con un sorriso, devo dire poco spontaneo, e ci avviamo. Oddio, sarò sembrata stupida. «Non è che c’è qualche tresca che non so?» mi chiede Alessia con espressione ironicamente perversa. Ridacchio e le rispondo: «Ma che dici?!» prima di separarmi da lei. Alessia è una ragazza superficiale a primo impatto, ma nasconde una grande personalità e intelligenza e soprattutto cura degli altri. È la mia unica vera amica.

Questa sera salto il turno serale al ristorante; una volta a casa mangio un uovo e un po’ di insalata, preparo la mia tisana, mi lavo e sono pronta per dormire. Sorrido e mi sento felice. Passo una mano sulla mia pancia da sdraiata. Mi sembra quasi di riuscire a toccare la superficie del letto sotto la schiena. Controllo come ogni sera che la circonferenza del mio polso non sia aumentata e gioiosamente annoto tutto sul mio quadernino, anche con tutte le calorie e il peso del cibo che ho mangiato. Ho un talento naturale nel capire peso e calorie ad occhio! Mi rigiro nel letto e penso al fatto che ho appena gioito per avere il polso piú fino di una bambina di 6 anni. Lo riguardo.

So cosa pensate di me: fare la finta tonta non mi rende tonta davvero.

So di essere anoressica, triste, brutta.

So che mio padre è un alcolizzato, mia madre stanca della sua vita e che io sto rischiando la mia.

So di provare qualcosa per Remo, ma che non riuscirò mai a manifestarlo come si deve. Non sono stupida.

Ho solo bisogno di essere salvata.

Dico una preghiera.

Dormo.

Chiara

 

3. Pancia mia fatti capanna (vuota)

Suona la sveglia, ancora alle 6.20. Devo ricordarmi di spostarla alle 6.10 cosí posso stare di piú a letto. La voglia di alzarsi la mattina è sempre meno e quella di rimanere tra le mie calde coperte tutto il giorno sempre di piú. Vado in bagno, apro l’acqua della doccia in modo tale che non mi si senta mentre mi peso, mi peso, velocemente mi vado a lavare e mi vesto. I vestiti me li preparo la sera prima sulla sedia vicino alla scrivania, ormai scelgo quasi sempre gli stessi, spesso colorati perché gli altri mi stanno troppo larghi e mi cadono oppure sono scuri. Vado in cucina, saluto mamma e papà che fanno colazione, prendo una mela, la metto nello zaino ed esco. Non faccio mai colazione a casa, in realtà non faccio mai colazione in generale.

Parto da casa alle 7, mamma mi domanda spesso perché esco cosí presto e le dico sempre che prendo l’autobus prima cosí vado a fare colazione in un bar con Alessia, ma in realtà è per fare il tragitto casa-scuola a piedi. Ogni mattina prima di arrivare a scuola passo davanti a un bar dove ci sono sempre tre vecchi che mi fissano e poi si mettono a ridere indicandomi, ma non m’importa. La mattina io e Alessia ci troviamo sempre a una panchina vicino al cimitero per andare poi a scuola assieme. Forse lei è ancora l’unica vera amica che mi è rimasta, dopo che sono dimagrita molto e ho iniziato a chiudermi in me stessa: è l’unica che sappia come farmi stare bene. La prima volta che ci siamo conosciute mi stava molto antipatica, ma conoscendoci posso dire che in realtà è una bellissima ragazza, simpatica e solare… al contrario di me.

La mattinata a scuola scorre via sempre in fretta, ma odio la ricreazione, perché devo mangiare. Dopo aver mangiato la mia mela, per non farmi vedere vado in bagno e appunto su un taccuino il cibo con cui ho fatto merenda e quante calorie ha: questo accade dopo tutti i pasti. Dopo scuola torno in autobus, altrimenti arriverei troppo tardi a casa, poiché tre pomeriggi a settimana vado in palestra. Quando vado lí cerco di andare sempre nel primo pomeriggio, cosí da avere la palestra tutta per me. Mi piace guardarmi allo specchio mentre faccio esercizi, mi fa sentire forte; poi a volte inizio ad osservarmi attentamente, mi perdo in me stessa e inizio a pensare che dovrei migliorare sempre qualcosa di diverso.

Qualche tempo fa, nei pomeriggi liberi, io e Alessia abbiamo iniziato a frequentare un bar, il bar Atene. Lí c’era sempre un gruppo di ragazzi che ridevano e scherzavano, cosí un giorno incuriosite ci siamo aggiunte a loro. Ci hanno accolto molto volentieri. Erano in tre: Alex, un ragazzo estroverso dall’aria bonaria, Gianluca un narcisista fanatico di palestra, al quale magari potevo chiedere qualche dritta su qualche esercizio e Remo, un ragazzo molto timido, gentile e non proprio in forma.

Ultimamente ci vediamo spesso al bar e, contro ogni mia aspettativa, mi piace passare il tempo con loro, non mi sento per niente a disagio. Piú tempo passiamo assieme, piú mi sembra che Remo mi assomigli: ovviamente non dal punto di vista fisco, ma per i modi di fare, mi trovo bene con lui. Un pomeriggio dopo scuola, dopo una lunga chiacchierata e qualche partita a carte, a un certo punto ho sentito un profumo di focaccia entrare dall’unica finestra aperta. Mi è venuta subito fame, e mi venuta subito in mente quella buonissima focaccia che mangiavo da bambina in un paesino abbastanza distante da qui. Allora sono andata da Alessia e le ho chiesto se potevamo andarci: lei un po’ contrariata non ha risposto, ma dopo che ho ricevuto l’appoggio di Remo si è convinta. Siamo partiti subito tutti molto entusiasti. Durante il tragitto ho iniziato ad avere dei ripensamenti e ho cercato di convincermi che fosse un’eccezione, che potessi permettermelo, ma niente, era piú forte di me: non volevo piú mangiare nemmeno la focaccia. Ormai però non me la sentivo di dirlo agli altri che erano tutti eccitati per questa gita inaspettata.

Appena arrivati erano tutti affamanti, tranne me. Si sono fiondati tutti dentro a prendere la focaccia; l’ultima a entrare e a uscire sono stata io, ma con una Coca-Cola zero al posto di una bella e calda focaccia. Alessia appena mi ha vista si è infuriata e ha iniziato ad urlarmi addosso, ma per fortuna Remo è riuscita a calmarla e abbiamo intrapreso il viaggio di ritorno. Alessia non mi ha rivolto la parola.

Arrivata a casa, pensavo a Remo: forse mi stavo innamorando, però in quel momento mi dispiaceva di piú per Alessia, che aveva avuto ragione ad arrabbiarsi, perché mi ero comportata male. Dopo aver cenato, come sempre sono andata in bagno, mi sono lavata i denti, mi sono pesata, ho segnato tutto sul taccuino e sono andata a letto.

Faccio sempre fatica a dormire, inizio sempre a chiedermi se quel giorno abbia mangiato troppo e inizio a calcolare il totale delle calorie che ho assunto quel giorno.

Dopo svariate ore come sempre, finalmente, anche quella sera, mi sono addormentata.

Lorenzo

 

4. Oltre il buio

Correva l’anno 2004 a Savona, il mio ultimo anno di liceo.
Sono Margot, ma mi piace farmi chiamare Margherita, perché secondo me è un bellissimo fiore anche se non vale molto. Infatti, io mi sento di valere poco, ma di poter fiorire ovunque. La sera aiuto i miei genitori nel ristorante di famiglia fino a tardi, a parte il mercoledì che è il mio giorno libero.

Ho i capelli folti color miele, peso neanche quarantacinque chili, che per voi, come per le mie amiche, potrebbero essere davvero pochi, ma per me sono anche troppi.

Mi sento in colpa con me stessa, ad ogni pasto, ad ogni ora, ogni giorno.

Mi sento in colpa se supero le calorie massime giornaliere.

Mi sento in colpa se aggiungo un extra, come lo zucchero nel caffè o l’olio sulla verdura.

Mi sento in colpa se cambio cibo rispetto a quello che la mia mente aveva già programmato per quel giorno, se non faccio abbastanza passi, se non brucio abbastanza calorie. Sento una vocina dentro di me, che mi dice che anche un solo boccone in piú mi farà prendere un chilo, questa voce urla cosí forte che mi fa credere a quello che dice.

Da un anno a questa parte, scrivo tutte le calorie che ingerisco in una giornata su un taccuino dalla copertina nera. So le calorie a memoria di decine di cibi e ormai riesco a calcolarne il peso a occhio. Mi sento imprigionata in questa vita, fatta di regole troppo rigide che mi autoimpongo e pensieri distruttivi; da mesi addirittura non ho piú le mestruazioni.

Sembrava una sera come le altre di maggio, avevo le mie ballerine gialle preferite e mi trovavo in un locale con le mie due amiche, Silvia e Alessia. Alessia è la mia migliore amica, le voglio un bene infinito, ma siamo davvero l’opposto: io sono una ragazza curiosa sempre in movimento che adora vestirsi in modo sgargiante, scarpe colorate, maglie pastello, calze dalle fantasie bizzarre, mentre lei è simpatica, ma abbastanza pigra, si veste di blu, di nero e indossa sempre i cappellini con la visiera. Litighiamo spesso, soprattutto per i miei problemi con il cibo, a volte è davvero pesante e oppressiva.

A un certo punto della serata ci raggiunse al tavolo Alex, e poi dei suoi amici: avevo notato in lontananza che uno di loro era rimasto seduto al bancone, avrei giurato non volesse essere disturbato, ma alla fine si è unito a noi.
Mi ricordo che ci fu un giro di presentazioni, poi iniziammo a parlare del piú e del meno. La serata migliorò quando venni a sapere che Giancarlo era un istruttore del Coni, iniziai quindi a sommergerlo di domande a raffica, a chiedere consigli sull’alimentazione e sugli allenamenti. Tutto quello che riguarda il cibo è il mio pensiero costante, mi occupa la mente da quando mi alzo a quando mi addormento, a volte ci faccio pure gli incubi. In mezzo alle chiacchiere, il ragazzo un po’ in sovrappeso, Remo mi pare di ricordare, mi aveva sfidata a indovinare quanto pesasse il mio taccuino ed io non avevo azzeccato per soli diciotto grammi. Siamo rimasti lí nel locale fino alla chiusura, per poi uscire alle due di mattina e sentire nei polmoni quell’aria che sapeva d’estate.

Nei giorni seguenti era diventa un’abitudine, dopo aver studiato in biblioteca o di ritorno dall’istituto magistrale, passare al bar Atene, il bar dove i ragazzi trascorrevano i loro pomeriggi. Iniziavo ad avere una strana voglia di vedere Remo, quel ragazzo mi trasmetteva qualcosa, ma non riuscivo ancora a decifrare di cosa si trattasse.

Non so cosa mi passò per la testa, quando proposi ad Alessia e Remo di andare a Recco a mangiare una focaccia appena sfornata. In macchina, mi ero seduta davanti, al fianco di Remo, che mi aveva lasciato il compito di scegliere il cd da ascoltare. Ma arrivata davanti alla focacceria, ebbi un crollo: le paranoie si fecereo strada dentro di me e finii con l’ordinare la mia solita Coca-Cola Zero, sotto lo sguardo stranito dei due. La Coca-Cola Zero è l’unica bevanda che riesco a concedermi, e ovviamente Alessia mi urlò addosso, ma ormai c’ero abituata.

Il giorno dopo ci fu un’altra discussione sempre con lei, a causa del fatto che mi ero rifiutata di andare al parco acquatico il weekend seguente. Non volevo mettermi in costume davanti agli altri, mi sarei sentita a disagio, pensare che la gente mi possa vedere come mi vedo io allo specchio mi fa venire la pelle d’oca, è un pensiero raccapricciante. Remo mi difese e io mi sentii in colpa perché non ringraziai nemmeno, stetti in silenzio con lo sguardo perso nel vuoto.

Un paio di sere più tardi, passato l’orario di chiusura del ristorante, ero seduta come mio solito nella veranda a fumare una sigaretta, quando al mio fianco comparve Remo, non so perché ma non ne fui cosí sorpresa; quanto al fumo sono consapevole sia un brutto vizio ma mi rilassa e non riesco a farne a meno. Ci ritrovammo senza che nessuno dei due avesse proposto nulla, in riva al mare, a parlare, parlare e ancora parlare. Eravamo in qualche modo connessi e una parte di me sperava che questa connessione la percepisse pure lui.

Vorrei semplicemente trovare una persona che si prenda cura di me, senza farmi sentire diversa o malata.

Con la mia famiglia non è tutto rosa e fiori, i miei genitori sono separati, ma lavorano lo stesso insieme; di mio padre non voglio parlare, mentre mia mamma cerca solo di aiutarmi, lo so, ma riesce solo a farmi sentire piú malata di quello che sono. Alessia, d’accordo con mia madre, mi spronò a invitare tutti un mercoledì sera per una grigliata nella casa di compagna. Oltre alla spesa fatta dai ragazzi, mia madre cucinò due teglie di lasagne, due crostate e un sacco di altra roba. Durante la serata mi concessi uno spiedino di pollo, qualche bicchiere d’alcol, e una cannetta. Ore più tardi mi trovai accoccolata a Remo su un lettino da mare, sentivo il suo cuore battere piú velocemente del solito, e la voglia di un bacio aumentava in me, fino a quando questo momento magico fu interrotto dai conati di Vanessa provenienti dal bagno. Ovviamente mi alzai per andare ad aiutarla, dopodiché, dato che erano le tre passate, esortai Remo a venire a letto. Ci mise un sacco, non riuscivo a capire per quale motivo stesse temporeggiando, alla fine entrò nella stanza.

Fu quella sera che mi resi conto di quanto quel ragazzo si fosse fatto strada nella mia testa e nella mia vita: non riuscivo a spogliarmi davanti a qualcuno da tempo, ma quella notte riuscii a mettermi il pigiama, restando nuda il tempo per cercarlo, senza imbarazzo e senza aver paura di risultare grassa ai suoi occhi.

Riuscivamo a spronarci a vicenda senza volerlo, senza rendermene conto io stavo aiutando lui e lui aiutava me. C’era speranza, una luce dopo tutto questo buio per entrambi. Parlavamo del futuro, di viaggi, di cose che avremmo voluto fare insieme. Remo mi accompagnò pure a visitare le università e alla fine mi iscrissi a filosofia. La mia ossessione per il cibo era ancora una costante nella mia vita, ma mi succedeva di avere dei piccoli momenti di spensieratezza, in cui riuscivo ad assaggiare i piatti ordinati da Remo, come la sera dopo il cinema.

Di Remo adoro il sorriso e il fatto che non chieda mai il perché delle cose, mi lascia agire, mi lascia fare, mi lascia parlare senza farmi sentire minimamente giudicata.

I mesi passavano e io e Remo continuavamo, appena avevo un momento libero, a vederci, a uscire, a divertirci: era un bel modo per non pensare ai problemi. Non avevamo mai pensato a definirci, non eravamo né due semplici amici né fidanzati, eravamo in sintonia però e ci importava solo di questo. Nonostante mi sentissi cosí spensierata al suo fianco, accadevano anche i momenti di crollo, come quella volta che scoppiai a piangere al ristorante, e i camerieri pensavano addirittura che lui mi avesse fatto del male. Il nostro primo bacio fu la sera che lui tornò da Lloret de Mar, posto in cui mi aveva raggiunta dopo una mia chiamata da ubriaca. In quel bacio ritrovai una piccola parte di me, Remo era tutto ciò di cui avevo bisogno. Il suo profumo di Hugo Boss, si fece strada nelle mie narici.

Giorno per giorno, la fame aumentava, non riuscivo piú a rispettare il mio duro programma e in parte era colpa di Remo.

La nostra storia andava avanti, sempre per il verso giusto: riuscii addirittura a rivelargli che mio padre beveva, cosa che non mi aspettavo sarei mai riuscita a dire a qualcuno ad alta voce.

Un giorno il buio però si rimpossessò di me, decisi di scappare, di non dire niente a mia madre, ad Alessia e a Remo. Sapevo, però, in fin dei conti, che lui mi avrebbe trovata e forse una parte di me non aspettava altro. Infatti mi trovò, mi ero rifugiata nella casa in campagna del nonno, indossavo un vecchio maglione infeltrito e avevo un’aria triste e malinconica, sarei potuta esplodere da un momento all’altro. Lui, però, era calmo, accettava tutti i lati di me, mi permetteva di sfogarmi, di urlare quando ne avevo bisogno. Fu in quei giorni che facemmo per la prima volta l’amore. La mattina dopo mi svegliai con la colazione in tavola e trovai Remo con un mazzo di margherite in mano. Partimmo poi per una vacanza a Parigi durante l’autunno, e lì entrambi raggiungemmo la consapevolezza di essere guariti: buttai nel cestino il mio quadernino delle calorie, dopo aver gustato una crepes. E poi ci baciammo con trasporto.

Eravamo giunti insieme alla fine di quell’anno, un anno che aveva cambiato senza volerlo radicalmente le nostre due vite. Una notte arrivai sulla soglia del bagno, era giunto il momento, vidi Remo in piedi sulla bilancia, ferma sui settanta chili. Presi l’iniziativa e gli saltai in braccio, decisa e senza la paura di scoprire quanti chili avevo preso in questi mesi. Entrambi in silenzio facemmo la sottrazione mentalmente, pesavo circa cinquanta chili e andava bene cosí.

Ora c’era speranza, Remo mi aveva salvata come io avevo salvato lui.

Giorgia

 

5. La grigliata

Era la sera della grigliata, stavo lavorando come al solito al ristorante di famiglia, mentre aspettavo che i ragazzi venissero a prendermi. Come al solito nulla di quello che servivo ai tavoli mi faceva gola, anche se tutti dicevano che i piatti erano buonissimi, io non riuscivo a vedere cosa potesse piacere cosí tanto alle persone. Tutti i giorni era una lotta con il cibo: appena buttavo qualcosa nel mio stomaco mi sembrava di prendere un sacco di kg.

Il mio turno era finito, ero andata di sopra a casa in camera mia per prepararmi; presi lo zainetto e misi al suo interno il mio pigiama preferito, quello rosa con tanti fiorellini colorati, una bottiglietta di acqua e il mio quadernino delle calorie. Non sapevo cosa mettermi, non riuscivo a sentirmi a mio agio con i vestiti aderenti, ma neanche con quelli larghi: in entrambi i casi mi vedevo grassa, però qualcosa dovevo pur mettermi, cosí misi un paio di jeans non troppo attillati e una canottiera viola; presi anche una felpa verde. Prima di scendere mi pesai e tirai fuori il quadernino per segnare il mio peso, poi lo rimisi nello zaino; mia madre mi diede due lasagne da portare alla grigliata, una al pomodoro e l’altra al pesto e fagiolini, una casseruola di patate e una di cipolle e zucchine ripiene, due crostate alla marmellata e un paio di casse di vino.

Alessia e Vanessa erano di sotto che mi aspettavano da qualche minuto, erano vestite molto bene. Mi avvicinai e le salutai; nel frattempo ci accostammo alla strada, i minuti passavano ma i ragazzi non arrivavano piú.
– Ma dove sono finiti?
– Dici che dovremmo chiamarli? – disse Alessia
E proprio in quel momento due macchine si stavano avvicinando a noi, quella rossa di Remo e quella grigia di Alex. Alessia e Vanessa salirono sulla macchina di Remo, io un po’ scocciata perché lui non mi aveva neanche salutata, salii con Alex e Giancarlo. Avrei pensato che Remo mi chiedesse almeno di salire nella sua macchina, invece nulla, ma a me non interessava. Durante il viaggio riuscii a vedere l’entroterra che costeggiava un torrente, passammo davanti a un convento e poi ci buttammo tra le colline, ma i miei occhi iniziarono a chiudersi, ero molto stanca dalla giornata di lavoro.

Mi risvegliai in un parcheggio all’ombra di un poderoso rovere che aveva ostruito il passaggio.
– Tutto bene? – Hai dormito praticamente tutto il viaggio – mi chiese Giancarlo
– Sí sí grazie, sto bene, ero molto stanca.
Uscii dalla macchina e mi accorsi che non potevamo andare oltre.
– Bel cancello, a prova di ladro -– mi indicò Remo mostrandomi le radici enormi che sbarravano il viottolo.
– Grazie per avermi invitato a salire in auto con te. Avete fatto bei discorsi? Le hai fatte divertire?

Ero molto arrabbiata con lui, non si era nemmeno degnato di un saluto alla partenza, cosí mi allontanai subito. Non mi ero neanche goduta il panorama delle due bellissime casette circondate dai boschi e colline. Quando Remo finí di scaricare la macchina da tutto quel cibo nauseante gli dissi – mentre gli indicavo la griglia abbandonata sotto il portico e la legna addossata alla cascine – «forza con il fuoco!»

Io e gli altri avevamo iniziato a preparare la tavola, mentre Alex stappò la prima bottiglia, ma a me non andava di bere alcolici, perché gonfiavano ancora di piú la pancia; poi però me ne feci versare un goccio e feci finta di berlo, mentre di nascosto lo versavo a terra. Da lontano vidi Remo che era riuscito ad accendere il fuoco, mi avvicinai a lui, non potevo rimanere arrabbiata tutta la sera. – Ti diverte giocare con il fuoco? Non scappa se lo lasci solo! – ma lui rimase lí assieme al cane del nonno a cuocere la carne; io tornai dagli altri. Giancarlo cercava in tutti i modi di attirare la mia attenzione facendo le sue solite esibizioni da circo; io non avevo intenzione di passare la serata con lui, volevo conoscere meglio Remo. Fin dalla prima volta che ci eravamo incontrati mi era piaciuto molto, era un ragazzo molto tranquillo e pacifico, pieno di gioia, anche se nei suoi occhi riuscivo a  vedere la tristezza, e quell’espressione volevo trasformarla in gioia.

Il buio si faceva sempre piú intenso, per questo ci sedemmo tutti attorno al braciere; io, per fare contento Remo, presi uno spiedino, ma fui attenta a prendere quello con il pollo e i peperoni: la salsiccia e il maiale li diedi a lui. Appena finii di inghiottirlo, presi il mio quadernino e segnai le calorie appena ingerite. Mentre Alex riempiva nuovamente i bicchieri, Remo sparecchiò.
– Ecco la nuova massaia!
Ma lui fece finta di non sentirmi, andò avanti a fare il suo lavoro, e andò a sedersi con gli altri. Nel frattempo io tirai fuori dell’erba che avevo portato e feci una cannetta, ma nessuno la voleva, allora me la fumai da sola dietro la casa. Quando finii, andai da Remo che si trovava disteso su un lettino da mare con in mano un bicchiere; io mi sdraiai sopra di lui. Lo guardai negli occhi e mi chiese:
– C’è qualcosa?
– Qualcosa c’è.
Il mio cuore batteva all’impazzata, una sensazione cosí non l’avevo mai provata, magari era stata l’erba, ma in generale non era mai successo. Forse mi stavo innamorando di lui, alla fine di lui mi piaceva tutto.
Una luce si accese sotto il portico, interrompendo quello che stava per succedere, era Alessia.
– Devo essermi addormentata sul divano – disse, nel mentre sentimmo dei rumori nel bagno.
– È Vanessa.
– Gli altri ?– chiese Remo ad Alessia.
– Sono tornati a casa loro – gli ripose indicandogli il vialetto.
Nel frattempo io entrai in casa, erano già le tre passate, cosí andai nella camera matrimoniale perché le due stanze singole erano già occupate da Alessia e Vanessa. Andai a cercare Remo, magari si era perso, ma lo trovai in cucina.
– Vieni a letto.
Ma secondo me non aveva capito, perché dopo mezz’ora non era ancora rientrato; andai da Alessia per vedere se sapesse dove trovarlo e ci mettemmo a cercarlo entrambe; io tornai in camera e mi sdraiai nel letto. Dopo qualche minuto lui entrò in stanza.
– Io vado – mi disse.
– Dove? Qui c’è posto, sto crollando dal sonno – non era possibile che se ne andasse, era l’occasione perfetta per stare noi due in pace; per fortuna chiuse la porta e restò con me.

Mi sfilai i Jeans, la maglietta, e il reggiseno; non provavo nessun imbarazzo, in generale non riuscivo nemmeno a farmi vedere in costume con nessuno, ma lui era diverso, sapevo che non giudicava le persone. Mi infilai il pigiama e mi buttai nel letto, lui spense la luce e senza farsi vedere si cambiò, ma con me non doveva affatto vergognarsi a me piaceva cosí com’era, ma in men che non si dica mi addormentai.

La mattina seguente quando mi risvegliai, Remo era già pronto seduto su una sedia accanto al letto, con i gomiti appoggiati sulle ginocchia.
– Perché mi vegli? Non sono mica malata.
– Ma io sí.
– La febbre è la migliore delle cure.
Alessia e Vanessa dormivano ancora e non si svegliarono per molte ore, cosí io e Remo pulimmo la casa, poi ci spostammo sul balcone per fare colazione, mentre io mangiavo una mela, lui mangiò una fetta di crostata. Mi sfidò a riconoscere le sfumature di verde della vallata sotto di noi.
– È una sfida?
– Perché no. Verde pino.
– Verde pino non esiste.
– Verdemarino.
– Grigioverde.
– Non credo sia il nome tecnico – mi disse.
– E allora verde marino?
– Infatti me lo hai bocciato…
– Allora verde mela! Ma tu bari. Te li inventi.
Eravamo al terzo caffè della mattina, arrivò il nonno a salutarmi assieme ad Artù, ma Remo non lo salutò.
– Non farci caso. È un orso.
– E io ho invaso il suo territorio.
– Dammi cinque minuti vado a salutarlo.
Corsi dal nonno per dirgli di essere piú educato con gli ospiti, bisognava salutare le persone e non guardarle cosí. Quando tornai da Remo ci avviammo verso il paese che ci tenevo tanto a mostrargli, nel bosco si sentiva l’odore dei funghi. Arrivati in paese andammo al bar centrale a prendere un caffè.
– Ti piacerebbe andare in Giappone?
– Non ho perso niente laggiú.
Gli tirai un pugno sulla spalla – Quando mi laureo andiamo negli States.
– Che cos’è una minaccia?
– Un sogno, tu non sogni?
– Vuoi fare il coast to coast?
– Voglio solo andare a zonzo, come dicevi tu l’altra volta. Sbronzarmi ogni sera e svegliarmi ogni mattina in un posto sconosciuto, senza alcuna incombenza se non fare il pieno all’auto e ripartire
– È un bel progetto.
– Ci vieni?
– Ci vengo.
– Ma tu non eri quello che non faceva piú progetti?
–  Infatti prendo i tuoi.
Non c’era neanche un portacenere cosí entrai a chiederne uno, e comprai due bottigliette di acqua per tornare alla casa, visto che ci aspettava una lunga salita.
– Non possiamo farci venire a prendere dalle tue amiche con la mi auto? – Mi chiese, io lo presi per mano perché ero sicura che ce la poteva fare, avevo molta fiducia in lui.
– La salita è solo una discesa guardata dalla parte sbagliata. Andiamo!

 

6. L’altra parte

Giorno 02/06/2004
Molto probabilmente i miei amici si sono accorti di quello mi sta succedendo. Le scuse «ho mangiato troppo prima» o «ora non ho fame» non erano piú credibili. Ma il mio pensiero ossessivo non smetteva di presentarsi, avevo un obiettivo in testa: dimagrire fino a quando non si vedessero le ossa.

Ho iniziato a calcolare ogni minima kcal, anche se fino a poco tempo fa non mi importava, sentivo la necessità di pesare ogni grammo. Nel mentre ho iniziato a seguire dei corsi online che promettevano di farti dimagrire, cosa che speravo vivamente. Inizialmente sono solo partita vietandomi i carboidrati e le cose grasse, poi sono arrivata a non voler mangiare piú nemmeno un frutto al giorno. Ovviamente questo ha portato ad un cambiamento drastico nella mia vita. La mia media scolastica ha iniziato a calare in modo radicale, non avevo energie per concentrarmi neanche un minimo. Quando ero costretta a mangiare qualcosa in piú del solito per non destare sospetti su quello che realmente stava accadendo, sceglievo tra fare due cose: o mi ammazzavo di esercizi, oppure mi mettevo due dita in gola per vomitare e impedire la digestione.

Giorno 03/06/2004
Indossavo un paio di occhiali dalla montatura verde bosco; anche se non lo voleva far vedere mi stava fissando mentre ascoltava Alessia. Mi ricorda un po’ un orsacchiotto fuori posto, un uomo all’apparenza rude e menefreghista considerando il suo aspetto, ma che in realtà si è mostrato piú volte tenero e docile. Ero pronta per accendermi la sigaretta quando mi è arrivata un’idea inizialmente geniale. «Sapete di cosa avrei voglia? Di andare a Recco a mangiare un trancio di focaccia al formaggio appena sfornata». Remo mi chiese: «Che cosa te lo impedisce?» e subito Alessia rispose: «Non abbiamo né un’auto né una patente». «Io ho entrambe. Andiamo», disse Remo.

Dopo la sua affermazione ero felicissima, come se desiderassi fin da piccola questo momento e solo ora fossi riuscita a farlo realizzare. Mi sono seduta davanti e Remo mi ha lasciato il compito si scegliere i cd, proprio come facevo da piccola con i miei genitori. Ero incuriosita dagli artisti che non conoscevo, allora gli ho chiesto: «Ma dove li hai pescati?» e lui come sempre mi ha risposto in modo originale: «In buone acque».

Tra poco la scuola sarebbe finita e da lí a poco avrei dovuto sostenere la maturità, ero in ansia e curiosa su come fosse andata la sua. Rimasi affascinata dal suo racconto. Arrivammo a Recco. Lo vedevo distratto allora gli chiesi: «A che pensi?» Lui mi rispose in modo strano o comunque non come al solito. «Al destino, alla storia, alle sincronicità» mi disse. «A tutta questa roba?» Dopo questa mia domanda si mise a spiegarmi la storia della strada che stavamo percorrendo. Parcheggiammo vicino al mare e facemmo una passeggiata. Scelsi la focacceria che piú mi ispirava, un semplice forno a conduzione familiare con un paio di tavoli e una panchina all’esterno. Seduta al tavolo iniziarono però ad attaccarmi le preoccupazioni, le paure e le angosce.

La verità è che ho paura di cosa possa comportare  ingerire del cibo.
Forse mi rendo conto che ho paura di molte cose, ma non lo faccio mai vedere, infatti fino ad ora nessuno se n’è mai accorto, nemmeno Alessia. Per esempio ho paura che mi dicano che sono pazza vista la mia magrezza e la mia leggerezza. E ho paura di ingrassare pur senza ingerire molte chilocalorie.

Remo e Alessia ordinarono la specialità locale, mentre io presi solo una Coca Cola Zero dal frigo. Forse un po’ di colpa l’avevo, ero stata io dare l’idea e poi ero stata la prima a tirarmi indietro. Neanche il tempo di finire il mio pensiero che Alessia mi placcò contro la parete, schiacciandomi con la sua prepotenza fisica, urlandomi in faccia: «Ci siamo fatti un’ora e mezza di macchina per venire fino a qua perché volevi mangiare la focaccia e ora non la mangi?» Sapevo che aveva ragione, ma non riuscivo proprio a mettermi in testa che non fosse successo niente se l’avessi mangiata. Allora per uscire da quella situazione che si era creata dissi: «Mi sono goduta il viaggio».

Tornata a casa avevo il pensiero fisso su quello che era successo: per la prima volta dopo tanto tempo mi sentivo in colpa per non aver mangiato e non per il contrario. Era Remo a farmi questo effetto? Come ci riusciva? Eravamo l’opposto, era impossibile, o forse no. Iniziai a farmi molte domande senza avere alcuna risposta probabilmente perché non volevo sentirle. Per fortuna ero di turno al ristorante dei miei quindi i miei pensieri e le mie mille domande se ne andarono.

Giorno 7/02/2004
Dopo l’episodio della focaccia riuscivo a mangiare qualcosina in piú, mi vedevo grassa ma non mi  importava cosí tanto. Stavo guarendo? Piano piano la mia vita sarebbe tornata alla normalità? Non sapevo darmi delle risposte, non volevo fare lo stesso errore che mi aveva portato a non mangiare piú niente. Mi ero data obbiettivi che erano irraggiungibili.

Un pomeriggio sono uscita con Remo e Alessia: ora che avevamo scoperto che aveva la macchina ne stavamo un po’ approfittando. Visto che era una giornata un po’ particolare per me, proposi di andare a fare shopping. Sí, avevo notato che Remo indossava sempre le tute: non che io fossi in grado di vestirmi bene e sentirmi a mio agio. Speravo che questo piccolo gesto avrebbe potuto aiutarlo per la sua autostima e sicurezza. Non sapeva nascondere bene le cose: anche se non lo facevo notare, io osservavo tutto di lui. Grazie a questa amicizia che si era creata, entrambi stavamo imparando l’uno dall’altra.
Ammetto che questo shopping non gli era servito a molto visto che aveva comprato solo una t-shirt e un’altra tuta di colore blu – visto che quelle che aveva già erano o grigie oppure nere. Ci aveva fatto ridere: eravamo andati lí con l’intento di trovargli altri vestiti al di fuori della tuta, ma niente, non aveva mollato la sua zona confort. Arrivata a casa avevo iniziato a studiare un po’ in vista della maturità, avevo acceso il computer e avevo iniziato a cercare informazioni su Leopardi fino a quando per sbaglio avevo schiacciato una pubblicità. Si è aperta un’altra pagina. Avevo iniziato a piangere. Era un sito pro-Ana, cioè chat dove si incitavano ragazze e ragazzi a smettere completamente di mangiare adottando uno stile di vita malsano. Erano apparse scritte come «bisogna camminare almeno 30 mila passi al giorno» oppure «il cibo è il tuo nemico bisogna trovare dei metodi per distruggerlo». Era passato neanche un giorno dal mio leggero cambiamento riguardante l’ambito dell’alimentazione, dopo queste frasi sicuramente ci sarei ricaduta. Chiamai Alessia e le raccontai l’accaduto: decise di chiedere a Remo di passarmi a prendere cosí mi sarei distratta. In fondo lei mi conosceva benissimo, sapeva i miei punti deboli e lui era uno di quelli.

Giulia

 

7. Mi sveglio alle 7

20 marzo
Mi sveglio alle 7 anche se è sabato, resterei nel letto molto volentieri ma non lo faccio perché altrimenti mi sentirei in colpa.
Apro l’armadio e mi metto come al solito i pantaloni della tuta con una maglia molto semplice, decido di mettermi anche una felpa larga, perché fa abbastanza freddo in questi giorni. Scendo di casa e mi accorgo di essere sovrastata dall’ansia per paura di non riuscire ad arrivare all’obiettivo che mi sono prefissata da qualche mese, ovvero percorrere 10.5 km al giorno.

Ore 12.30
Inizio ad avere un certo languorino, allora decido di sedermi in un locale vegetariano in cui pranzo molto spesso; ordino la mia solita insalata con zucchine, pomodori, mozzarella, carote, verze con un cucchiaino di olio e una Coca Cola senza zucchero; scrivo sul mio taccuino culinario le 278 calorie del pranzo. Sono arrivata a 5 chilometri; sono preoccupata di non raggiungere i 10.5, allora mi alzo senza neppur aver finito di pranzare, vado a pagare e ricomincio a camminare per le strade senza sosta.

Ore 19
Sono esausta; entro in casa e vado dritta a farmi una doccia; sono soddisfatta perché ho raggiunto l’obbiettivo, anzi ho fatto ben 12 chilometri. Sotto la doccia penso se avrei potuto dare ancora qualcosa in piú, oppure se avrei potuto mangiare di meno a pranzo: non sono mai soddisfatta in qualsiasi cosa faccia.

Ore 20
Mi siedo a tavola per cenare e inizio a scrivere sul mio taccuino come sempre le calorie che assumo.

Ore 21
Mi tolgo i vestiti, mi guardo allo specchio per 5 minuti e inizio a notare qualche miglioramento fisico, ma so che posso fare ancora di piú.

22 marzo
Mi sveglio alle 6; devo alzarmi perché devo andare a scuola, già ieri sono rimasta a letto tutto il giorno a deprimermi. Apro l’armadio e mi metto i soliti pantaloni grigi e sempre la classica maglietta nera, decido di mettermi una felpa diversa dal solito, quella che mi ha regalato Alessia.

Drinnn!!! Suona l’ultima campanella, io sono seduta al mio banco pronta per fare lezione; stranamente Alessia è in ritardo. Qualche minuto dopo entra e subito nota che ho indossato  la felpa che mi ha regalato, è contentissima fino al punto di commuoversi, è fiera di me, e mi dice «Sono contentissima che ti sia messa la felpa».

Ore 13
Io e Alessia andiamo al solito locale e lei ordina il suo piatto preferito, le lasagne e una Coca Cola, io invece prendo il solito, un’insalata e una Coca Light; prendo il mio taccuino per scrivere le 278 calorie che assumo, Alessia odia vedermi fare questa cosa, allora decide di dirmelo con un certo tono e mi rendo conto che oramai la mia è una vera è propria dipendenza; chiamo la cameriera dicendole di voler un piatto di lasagne con un Coca classica. Finisco il piatto con fatica, Alessia è sbalordita e non mi è ancora salita l’ansia di percorrere i soliti 10,5 chilometri.

Ore 20
Mi siedo a tavola e inizio a mangiare; mia mamma mi guarda sbalordita, perché non ho ancora scritto nulla sul mio taccuino. Le dico che non ho più bisogno di quel libricino grazie anche all’aiuto di Alessia e mia mamma é contentissima; non l’ho mai vista sorridere cosí.

Ore 21
Mi sento rinata, non ho piú preoccupazioni; mi guardo allo specchio e sono fiera di me.

9 giugno
Ciao a tutti, sono un’altra persona, non ho piú avuto il bisogno di scrivere su questo diario, ho una tale flessibilità con la vita di tutti i giorni che non ho mai provato, ho molti amici e oggi è l’ultimo giorno di scuola; domani parto per il mare con dei miei amici e ci sarà anche Remo; mi piace molto e sono convinta che accadrà qualcosa di bello tra di noi, spero il prima possibile.

Aldo

 

8. Diario di Margherita

Sabato 4 gennaio 2003
Ho finito la verifica di biologia, spero sia andata bene.

Martedí 15 maggio 2004
Caro diario,
non so perché dopo cosí tanto tempo sto riprendendo a riscrivere qui i miei pensieri, però sentivo la necessità di farlo. Oggi, uscita da scuola, sono tornata diretta a casa anche se dovevo mangiare fuori con le amiche, non so ma mi sentivo poco bene.

Mercoledí 16 maggio 2004
Oggi mi sono svegliata, mi sono lavata la faccia e i denti e mi sono diretta verso la cucina. Per raggiungerla di solito passo davanti a uno specchio che ormai non guardo piú perché mi sento in imbarazzo con il mio corpo. Ho aperto il frigo e l’ho fissato per due minuti. Era pieno di cibo come al solito e forse se avessi scavato piú a fondo avrei trovato anche qualcosa di  scaduto da mesi. Non riuscivo a fare colazione, non avevo appetito. Mi sono preparata e sono uscita per andare a scuola. A pranzo ho preparato un’insalata mista e mi sono seduta sul divano a guardare la TV.

Giovedí 17 maggio 2004
Dopo la scuola sono uscita a fare la spesa. Ero in condizioni pessime: infatti, durante il tragitto pregavo di non incontrare nessun conoscente. Sono arrivata al supermercato alle 15:00, era molto affollato e non potevo fare con calma. Ho preso il carrello e ho girato tra gli scaffali di tutto il negozio per quattro volte; arrivata alla cassa avevo dentro al carrello solo un pacchetto di biscotti e del latte fresco. Anche la cassiera ha notato la mia anoressia e mi ha consigliato una visita da un dietologo.

Lunedí 28 maggio 2004
Oggi mentre ero seduta al solito bar con Alessia e Silvia, alzo lo sguardo e vedo tre ragazzi avvicinarsi al nostro tavolo: ero imbarazzata, ma ho cercato di nasconderlo a tutti. Uno di loro non faceva altro che guardarmi e anch’io facevo lo stesso; piú volte i nostri sguardi si incrociarono. Arrivato il secondo ordine ho tirato fuori dalla borsa una taccuino nero e sotto la data di oggi ho trascritto le calorie riportate sull’etichetta dietro alla birra. Forse la dovrei smettere di segnarmi le calorie di qualsiasi cosa io mangi. Il pomeriggio di oggi è stato molto bello e mi ha fatto piacere conoscere nuove persone.

Martedí 29 maggio 2004
Non riesco piú a togliermi il sorriso di Remo dalla testa. Credo di essermi innamorata…

Venerdí 1 giugno 2004
Mi sono svegliata alle 6:00 del mattino perché dovevo ripassare per l’esame di matematica. Non mi sentivo pronta quel giorno e avevo intenzione di mancare alla lezione. È da una settimana che non riesco a concentrarmi per via dei pensieri che ho in testa. L’ora prima dell’esame ero agitatissima, ma sono riuscita a ripassare assieme a Silvia. La verifica è andata bene, penso di essere sufficiente, ma nonostante il voto positivo mi sentivo triste senza alcun motivo. Forse dovrei iniziare ad andare da uno psicologo.

Domenica 3 giugno 2004
Ho scoperto che Remo sta scrivendo un libro. Vorrei tanto aiutarlo, ma ho passato tutto il fine settimana a casa e mi sono annoiata molto.

Lunedí 13 settembre 2004
Dopo la scuola avevo voglia di una bella focaccia calda e dopo svariati tentativi sono riuscita a convincere gli altri a prenderla.
Siamo partiti in auto per andare a comprarla in un piccolo paese un po’ lontano da casa: sono le migliori che abbia mai assaggiato. Durante il tragitto mi è passato l’appetito, ma mi sentivo in colpa a dirlo ai miei amici. Ho pensato: «Che sarà una focaccia, riuscirò di certo a mangiala». Arrivati al panificio sono entrata per ultima e mentre tutti gli altri stavano già mangiando io avevo lo stomaco chiuso. Sono uscita dalla porta del panificio con in mano una Coca Cola e appena gli altri mi hanno vista si sono arrabbiati con me. Durante il viaggio di ritorno non ho detto una parola.

Venerdí 24 settembre 2004
Oggi sono venuti a prendermi Alex e Giancarlo, amici di Remo, e siamo saliti in campagna. Avevamo in programma di fare una grigliata e divertirci per il week end. Il tragitto era tutto in salita e pieno di curve strette e mi venne un forte mal di testa. Io mi ero portata dietro due teglie di lasagne al forno, una classica al pomodoro e l’altra al pesto e fagiolini, una casseruola di patate e una di cipolle e zucchine ripiene, due crostate alla marmellata e da bere due casse di vino. Appena arrivati abbiamo acceso la griglia e preparato la tavola. Io ero un po’ nervosa. Finito di mangiare dopo qualche cannetta e un po’ di vino ci siamo seduti sull’erba a parlare. Io ero accanto a Remo e in quel momento avevo voglia di baciarlo. Mi pento ancora di non averlo fatto.

Piú tardi, quel giorno, quando ho guardato l’ora erano le tre di notte e sono andata a dormire. Poco dopo in camera è entrato Remo e non trovando un letto libero ha fatto cenno di andarsene. Io gli ho detto che poteva dormire assieme a me; lui non sembrava molto a suo agio.

Sabato 25 settembre 2004
Mi sono svegliata e Remo era già vestito che mi aspettava seduto su una sedia. Le ragazze stavano ancora dormendo e noi abbiamo deciso di pulire casa. Ci siamo spostati poi in balcone e lí mi sono dichiarata…
To be continued…

Mansour

 

9. Sveglia alle 6.30

Sveglia 6.30, nessuna voglia di alzarsi dal letto, ma i sensi di colpa mi schiaccerebbero se non lo facessi.
Infilo i miei leggings da corsa e in cinque minuti sono già in strada. Penso ad Alessia, che ora sta dormendo noncurante del fatto che anche oggi non farà piú di duemila passi, ma come fa? Io intanto mi impongo di arrivare al ponte, mi manca il fiato, ma ci arrivo. «Però potevo arrivare alla casa gialla» penso, ma ormai sono a casa. Prendo una galletta di mais e ci spalmo un filo di marmellata light. L’etichetta dice che contiene sette calorie a cucchiaio, quindi circa tre calorie di marmellata e ventiquattro per la galletta. Segno tutto sul taccuino.

Indosso velocemente un maglione rosso e dei jeans sul verdino e scendo di corsa perché c’è Alessia che mi sta aspettando. «Oggi sono venuta in macchina, cosí per una volta arriviamo in orario» dice sorridendo, ma rifiuto l’offerta e mi avvio a piedi. Entrando nei corridoi di scuola vedo alcune ragazze che mi guardano e si sussurrano qualcosa, ma non gli do peso. Nell’ultimo anno ho perso parecchi chili, ed altrettanti amici, stufi di tutti gli sbalzi d’umore e problemi che mi ritrovo. Oggi, essendo mercoledí, ho la serata libera, cosí durante la pausa pranzo io e Alessia ci accordiamo per farci un giro in qualche paesino di mare.

Dopo una mezz’oretta io e Alessia ci troviamo nel Bar Atene, un piccolo locale molto particolare, nel quale si distingue un gruppo di ragazzi sui venticinque anni. Sento uno di loro parlare di «quanto fosse estremamente faticosa la sua nuova scheda di palestra». Cosí, interessata, decido di avvicinarmi. Ci accolgono con piacere al loro tavolo. Alex, Remo e Gianluca. Tre facce davvero simpatiche, ma che spingono a chiedersi cosa ci facciano seduti allo stesso tavolo: Alex piú scherzoso e aperto, Gianluca un palestrato che ama mettersi in mostra e Remo, piú grassottello e timido. Gianluca mi dà qualche dritta su quali esercizi sia meglio fare, mentre io sorseggio la mia Coca Cola zero, e di tanto in tanto cerco di coinvolgere anche Remo, che sta per lo piú ad ascoltare. Sembra un tipo sveglio, e quando gli lancio qualche provocazione risponde esattamente come risponderei io. Mi sento stranamente in sintonia con un uomo conosciuto dieci minuti fa, con cui non ho scambiato piú di tre frasi! Piano piano, sposto la mia attenzione su Remo e non piú su Gianluca, che sembra un po’ infastidito.

Dopo ore a parlare sento come un vuoto, ho voglia di mangiare, ho bisogno di mangiare. Vorrei andare dietro il bancone e prendere tutte e cinque le brioches che stanno in vetrina, probabilmente da una settimana. Non è una novità, a volte succede: la famosa fame nervosa, incontrollabile. Ne avevo parlato anche con la mia nutrizionista, che mi aveva spiegato che questi attacchi avvengono a forza di privarsi del cibo durante i pasti, incitandomi a mangiare di piú. Ma come posso dimagrire aumentando le porzioni? Non ho ancora raggiunto il mio obbiettivo, perciò è del tutto impensabile. Aveva detto anche che uno sgarro ogni tanto non fa male, e ora nella mia testa questa frase si ripete in circolo. «Ho voglia di quella focaccia che mangiavamo da piccole Alessia, ci andiamo?» in un attimo lo dico, e cerco di interpretare la sua reazione. Sembra felice, e perplessa. D’altronde la focacceria in questione dista circa cento chilometri, ma un po’ per Remo che la sollecita, un po’ lei ancora stupita, siamo già in viaggio.

Sono tutti particolarmente felici, dev’essere la musica ad alto volume, che ha risvegliato un po’ tutti, ed in quell’attimo sono io a non esserlo piú. «Uno sgarro ogni tanto non fa male, uno sgarro ogni tanto non fa male, uno sgarro ogni tanto non fa male» ma cosa sto dicendo? Perché l’ho fatto? Vorrei scendere immediatamente dalla macchina, far tornare tutti indietro, ma come glielo dico ora che è stato tutto inutile?

Mi sento mancare l’aria, ho paura di mangiare, ed ho paura a rifiutarmi di farlo.

Arrivati tutti entrano al panificio e prendono la loro focaccia ripiena straripante di olio, ma ora è il mio turno. «Una Coca Cola zero grazie», e quando esco senza una focaccia in mano Alessia dà di matto, ed è plausibile. Non so che dire, ma per fortuna, ancora una volta, è Remo a calmare la situazione, cosí, alleviata la tensione, ci rimettiamo in viaggio verso casa. Arrivati a Savona, è ormai tarda sera. Oggi però sono stata molto bene, e non succedeva da tanto.

Penso che vedrò di nuovo quel Remo, ma per il momento penso a fare gli esercizi consigliati da Gianluca, e poi mi metto a letto.

Maria

 

10. La colpa è del mio specchio

«Non conoscevamo la malattia, ma eravamo la cura».

Il giorno inizia e per me è un incubo, alzarmi dal letto ormai mi è faticoso. Sento un forte male alle ossa in ogni singolo movimento. Il mio nome è Margherita e ho 19 anni e ebbene sí, peso 45 kg.

Le mie giornate sono assai occupate tra liceo e lavoro, mi divido tra questi due impegni, ma inizio a notare che l’energia non mi basta piú. Vivo in un continuo limbo a causa dell’alimentazione: la mia mente mi ordina di segnare ogni singola caloria ingerita, ma è difficile giàcché a mala pena ingerisco qualsiasi alimento.

In una solita serata di lavoro incontro un ragazzo con i suoi amici, alto e molto robusto, lo vedo e subito stabilisco che è una persona timida e insicura. Ci presentiamo: «Piacere, Remo», «Piacere Margherita». Tra continui incontri per dialogare finiamo per trovare un sentimento comune.

La mia vita può sembrare comune o facile da giudicare per le persone che non mi conoscono, poiché nascondo la mia piú grande paura, il mio piú grande incubo, atteggiandomi come una donna forte che non fa notare i suoi punti deboli. Quindi questo porta a far vedere un’estensione di me stessa molto fluida, tranquilla, delicata, e soprattutto spontanea. Faccio credere che non ci sia nessun problema, mentre il mondo mi crolla addosso. Tendo a punirmi senza motivo: alzarmi e guardami allo specchio è solo un tremare per i miei occhi, non riesco ad accettare ciò che vedo o forse non vedo nemmeno la realtà dei fatti.

I commenti delle persone esterne arrivano a me attraverso parole di preoccupazione e impressione; io comunque non limito la mia vita, continuo le mie attività e le uscite con le mie amicizie. Sono contenta di avere amici e di distrarmi con loro, abbiamo organizzato una grigliata tutti insieme, e sicuramente Remo ci sarà. Quando siamo lí iniziamo tutti a renderci utili, ma in silenzio noto l’allontanamento di Remo, che si fa da parte. Riesco a capirlo in realtà, perché io e lui in fondo sappiamo di avere qualcosa in comune, l’unica cosa che non sapevamo era che fosse una «malattia».

Rimaniamo quella notte a dormire tutti insieme dopo la grigliata, quindi ci resta solo da spogliarci e dormire. Io come accennato prima nascondo l’odio per il mio corpo con la spontaneità. Quindi prendo l’iniziativa e mi cambio davanti a Remo come se non avessi nessun problema, anche se dentro sto morendo dalla vergogna. Questo mio atto spero abbia ispirato Remo a sentirsi piú a suo agio, perché ormai i nostri amici anche se non ci accennano niente, sono certa che si sono resi conto dei disturbi che abbiamo entrambi.

È complicato. È difficile, passare le mie giornate a bere solo acqua e Coca-Cola, ma è l’unica cosa che la mia mente e il mio stomaco riescono a digerire. Mi guardo allo specchio e i miei occhi vedono una ragazza in eccesso di peso, con guance che in qualche altra ragazza troverei molto belle, con delle cosce inaccettabili, quando in realtà sono l’opposto e me ne rendo conto, ma ormai penso sia troppo tardi per sistemare uno sbaglio che porterò per tutta la vita. Perdo un’infinità di tempo a fare esercizi sulla mia spina dorsale che sente ogni tratto del pavimento, per togliere l’eccesso e riuscire a guardarmi senza disprezzo; ma piú mi impegno piú danni faccio al mio corpo. Eppure, secondo la mia mente, è giusto continuare cosí.

Molte volte gli inviti da parte dei miei amici sono per andare a mangiare insieme e condividere un buon momento: io non mi privo di tutto ciò, ma privo una parte del divertimento rifiutando ogni singola cosa che riguarda il cibo. Pochi giorni fa sono andata con una mia grande amica a prendere una focaccia in spiaggia; ci siamo fatte ben due ore di macchina, uno dei viaggi piú divertenti tra cantare con la musica al massimo, parlare del piú e del meno. Arrivate, lei è corsa subito a prendere la focaccia, invece al contrario, di istinto la mia bocca ha detto un «per me no, grazie». L’espressione della mia amica mi ha colpita fino in fondo, ho notato che era piena di rabbia per il fatto che io non prendessi niente a parte una Coca-Cola zero. Ovviamente lei in quel momento mi ha riversato addosso il suo motivo di disgusto, io però le ho fatto notare le belle due ore di viaggio e risate condivise. So che lei non l’ha fatto con l’intenzione di ferirmi.

Riuscire a dissimulare ogni sentimento e dolore che provo, è ormai il pane per ogni mio giorno. A volte mi domando se magari è ora di chiedere aiuto o sostegno, ma ci ripenso all’istante autosabotandomi e giustificando le mie decisioni: «È certamente normale che una ragazza della mia età si tenga in forma», «È certamente normale che a volte non si voglia mangiare», e cosí via, dimenticando quindi il vero motivo della mia situazione.

Dentro di me sto soffrendo, perché a volte il mondo è crudele, ormai sono anni e mesi che mi do la colpa di ogni singolo grammo preso o perso, e pur sapendo che è un danno, non ho piú controllo sulle mie decisioni alimentari. Da come mi guardano e da come si riferiscono a me capisco ogni singola cosa, ma non posso continuare a incolparmi sennò finirò per non riuscire piú a raccontare la mia storia.

Da cosa devo guarire? Dai chili di troppo? Di meno? Da me stessa?

Katerin

 

11. Primo incontro

Io, Alessia e Silvia stavamo facendo una passeggiata lungo il mare, quando all’improvviso ci venne incontro un ragazzo con alle sue spalle un gruppetto di amici. Subito dopo ci raggiunsero altri due amici, e con un urlo si sentí il nome Remo. Ci sedemmo a tavola, e ci raggiunse anche lui. Era un po’ imbarazzato e a tavola cercava di farsi piccolo, e soprattutto cercava di tenere nascosta la pancia sotto il tavolo di legno. Ci fu un giro veloce di presentazioni. – E lui è Remo, – disse Alex.
Giancarlo era un istruttore del Coni. Per me sapere non era solo un modo di dire. Non smettevo mai di fargli domande. Continuavo a chiedere consigli sull’allenamento e soprattutto sull’alimentazione. Questo mi interessava perché volevo essere in forma, non sopportavo l’idea di avere qualche grammo in piú. Non c’era nulla di piú importante di ciò, potevo andare avanti all’infinito con questo argomento, ma all’improvviso mi passò in mente un pensiero e mi rivolsi a Remo e gli domandai se fosse veramente uno scrittore.
– Hai bisogno del suggeritore? – lo incalzai.
– No – farfugliò.
– No, non hai bisogno del suggeritore, o no, non sei uno scrittore?
– Non sono uno scrittore.
Andai avanti con questa conversazione finché non arrivò il secondo giro di birre.
Tirai fuori dalla borsa un taccuino di cui la copertina era nera, le cui pagine sono fitte di numeri annotati, e segnai una cifra sotto la colonna che riportava la data di quel giorno.
– È il calcolo quotidiano delle calorie, – spiegò Alessia sottovoce alle persone sul tavolo. – Sa le calorie a memoria di decine di cibi e riesce a occhio a calcolare il peso.
Modestamente, mi allenavo al ristorante.
Andammo avanti a bere e chiacchierare fino alla due di notte, finché non suonò la campanella di chiusura. Uscimmo tutti insieme e Giancarlo si diresse verso un’asta, l’afferrò con le mani slanciandosi in alto: rimase sospeso in aria nella posizione della bandiera. Applaudimmo per la sua esibizione e ci salutammo con la solennità degli ubriachi, scambiandoci la promessa di rivederci.

Io

Frequento l’ultimo anno del liceo.
Alessia vestiva di blu o di nero e indossava dei cappelli con visiera piatta, mentre io accanto a lei, apparivo come se avessi messo la prima cosa che mi fosse capitata. Avevo delle scarpe colorate, maglia pastello e calze dalle fantasie bizzarre. Non avevo alcun timore per gli abbinamenti azzardati, sceglievo ciò che mi piaceva, anziché ciò che mi stava bene. La mia passione civile era un teatro dove mettere in scena le mie anime. Ero generosa, nonostante una certa aggressività, alla fine mi interessava piú il pensiero degli altri che esprimere il mio. Non parlavo per sentire come suonavano intelligenti le mie idee, parlavo per far uscire le persone allo scoperto. Mi rendevo conto che quando parlavo di problemi sociali e ingiustizie non mi sentivo molto a mio agio. Il dibattito mi piaceva molto e non mi offendevo per le offese, capivo la situazione in cui mi trovavo. Credevo nei prodigi e credevo anche di poter cambiare il mondo iniziando da me stessa, di poter guidare senza mai aver preso lezioni, ma queste erano tutti pensieri miei che mi sfioravano la mente.

Grigliata e di piú

Io, le miei amiche e i ragazzi decidemmo di andare a fare una grigliata e come se ci fossimo messi d’accordo eravamo fuori dal ristorante di casa mia ad aspettarli. Non vedendoli arrivare iniziammo a dirigerci sulla strada dove li aspettammo: erano in ritardo di parecchio tempo. Arrivati, sulla macchina di Remo salirono Alessia e Vanessa mentre io rimasi con Alex e Giancarlo. La strada per l’entroterra costeggiava un torrente, successivamente ci furono una serie di curve a gomito e infine la strada ricominciava a salire tra i boschi di lecci e castagni. Dopo una manciata di chilometri la strada si biforcava e andammo a sinistra salendo tra i pascoli. Arrivati parcheggiammo all’ombra di un poderoso rovere che aveva ostruito il passaggio. Oltre non si poteva proseguire. Remo scaricò le auto. Io avevo portato due teglie di lasagne al forno, una casseruola di patate e una di cipolle e zucchine ripiene, due crostate e un paio casse di vino mentre i nostri amici universitari avevano comprato salsicce, costine e spiedini. Mentre Remo badava al fuoco, Gianca tentava ogni modo di attirare la mia attenzione, dalle esibizioni passava ai salti mortali e rondate, camminava sulle mani e ogni tanto si aggrappava a un palo, ma ciò che stava facendo non mi importava e mi sembrava di essere stata abbastanza chiara sul fatto che lui non fosse il mio tipo ideale.

Iniziai ad avere un po’ di fame e andai a prendermi uno spiedino mentre i bocconi di salsiccia e maiale li lasciai a Remo. Non mi dimenticai delle calorie assunte, infatti le scrissi sul taccuino. Piú tardi vidi Remo versarsi un amaro e si sedette vicino agli altri, mentre io tirai fuori dell’erba e mi preparai una cannetta. La sera tutti andarono a dormire e io mi accoccolai su Remo. Tutto sembrava andare per il verso giusto quando una luce sotto il portico si accese: erano Alessia e Vanessa; mi alzai e rientrai in casa con loro, seguita poi da Remo che aveva intenzione di tornare a casa, quindi sulla soglia della cucina gli dissi: – Vieni a letto.

Dopo qualche minuto entrò in camera, intanto io mi ero già sdraiata di traverso sul letto con i piedi nudi.
– Io vado – mi annunciò.
– Dove? – risposi nervosamente. – Qui c’è posto, sto crollando dal sonno.
Entrò in camera e chiuse la porta. Io invece mi spogliai davanti a lui senza imbarazzo. Mi tolsi i jeans, la felpa e la canotta e restai nuda, giusto il tempo per trovare il pigiama e indossarlo e mi infilai sotto le coperte.

La mattina dopo mi svegliai e lui era già seduto su una sedia accanto al letto, completamente vestito e mi fece un cenno di saluto. Mentre le mie amiche dormivano, io mi svegliai e insieme a Remo finimmo di spazzare e rassettare la casa in silenzio, subito dopo ci spostammo sul balcone della cucina per fare colazione. Lui mangiò una fetta di crostata mentre io mangiai una mela. Finita la colazione scendemmo verso il paese per un sentiero che tagliava nel bosco. Andammo in un bar centrale che fungeva da tabacchi e alimentari e prendemmo il caffè.
– Quando mi laureo andiamo negli States – dissi per trovare un argomento.
– Che cos’è, una minaccia?
– Un sogno, tu non sogni?
– Voglio andare a zonzo, come dicevi tu l’altra volta. Sbronzarsi ogni sera e svegliarmi ogni mattina in un posto sconosciuto, senza alcuna incombenza se non fare il pieno all’auto e ripartire.
– È un bel progetto.
– Ci vieni?
– Ci vengo.
– Ma tu non eri quello che non faceva piú progetti?
– Infatti, prendo i tuoi.
Uscimmo dal bar e partiamo per la salita. Era piacevole stare in sua compagnia e lui mi piaceva.
– Non possiamo farci venire a prendere dalle tue amiche con la mia auto? – mi domandò preso dal panico, e subito notai che era ormai esausto. Mi infilai gli occhiali e lo presi per mano.
– La salita è solo una discesa guardata dalla parte sbagliata. Andiamo.

Ja Min Hu