Viola ArdoneIl treno dei bambini

Istituto tecnico Buonarroti, Frascati
Classe: IV U turistico
Docente: Beatrice Landucci

Impressioni, emozioni scaturite dall’incontro con Viola Ardone e il testimone Vittorio Minucci

Leggere questo libro è stata un’occasione per conoscere un pezzo di storia, fatti realmente accaduti che hanno permesso a molti bambini di vivere una vita migliore rispetto a quella che avrebbero potuto avere al Sud. Questo incontro mi ha fatto riflettere molto sulle condizioni di vita del dopoguerra e le differenze che sono presenti tutt’ora tra il Nord e il Sud Italia e alle difficoltà che hanno dovuto affrontare moltissime famiglie in quell’epoca. Viola Ardone è riuscita, nel suo libro, a raccontare questa realtà che molti non conoscevano o comunque, anche se documentata già da piú persone nel passato, non era riuscita ad arrivare a un pubblico vasto. Da questo incontro ho realizzato che fortuna abbiamo a vivere in un mondo nuovo e moderno, in cui c’è la possibilità di andare a scuola e di imparare nuove cose ogni giorno, creando un futuro migliore per tutti noi.

Abbiamo partecipato a un incontro con la scrittrice Viola Ardone autrice del libro Il treno dei bambini su cui abbiamo lavorato. All’inizio non gli avevo dato peso, perché non leggo molto e quindi mi è sembrato un libro come un altro, ma quando l’ho incontrata e ascoltata mi è sembrata subito una bravissima persona e si vedeva anche che facesse la professoressa, infatti con qualche battuta e raccomandazione ci ha messo subito a nostro agio.

Questo libro è stato uno dei libri piú belli che ho letto, mi è piaciuto dal primo momento, per la storia di cui parla. Noi oggi non ci accontentiamo di nulla e molto spesso ci lamentiamo delle cose che non ci vengono date, dei “no” che ci dicono i nostri genitori. Non pensiamo alle persone che purtroppo hanno sudato molto prima di ottenere qualcosa, sono cresciuti lontano dai propri affetti per migliorare la propria vita, hanno sofferto non avendo la presenza dei cari.

Questa è stata la prima volta in cui ho conosciuto personalmente lo scrittore di un libro che ho letto. Un’esperienza del genere è molto rara e interessante perché mi ha dato la possibilità di approfondire la storia anche nei piú piccoli particolari. Durante l’intervista, oltre alla scrittrice che rispondeva alle domande, c’era anche Vittorio, uno dei bambini che era su quel treno. La storia del loro incontro mi ha lasciato senza parole. Vittorio, leggendo il libro, ha riconosciuto la sua storia e ha comunicato ad Ardone di essere uno di quei bambini.

Grazie a questo incontro e a questo libro ho capito quanto sia importante aiutare e quanto un aiuto possa salvare la vita di una persona. Infine ritengo che studiare è sempre l’unico modo per vivere una vita migliore e piú agiata, sia nel passato che oggi, dove ancora molti bambini non hanno la possibilità che abbiamo Amerigo Speranza ed io.

Ascoltando la sua tecnica di scrittura, come è nato il libro, la storia e il successo, mi sono reso conto che quello che a me sembrava banale, riflettendoci su, era un gran bel libro.

Il momento che piú mi è piaciuto, è quello in cui Vittorio ha descritto l’occasione nel quale ha conosciuto l’autrice. Infatti lui era presente alla presentazione del libro e dopo averlo letto, gli ha lasciato un bigliettino con scritto «Io c’ero». Ecco, in quel momento mi sono venuti i brividi pensando a quello che aveva potuto passare Vittorio. Un’altra parte che mi ha particolarmente colpito e suscitato emozioni è quella in cui Vittorio ha descritto il ricongiungimento con la famiglia del Nord avvenuto in età adulta. Infatti è stato riconosciuto da quest’ultima grazie a una cicatrice che aveva riportato quando viveva con loro ed è stato per me molto emozionante sentire questo racconto. Questa mattinata è stata quindi interessante ed istruttiva, con l’autrice molto disponibile ed altrettanto Vittorio. Un’esperienza che ripeterei volentieri in futuro.

Viola Ardone mi ha sorpreso per la giovane età, mi ero fatto l’idea che fosse piú grande.

Il tema trattato nel libro riguarda le condizioni di povertà in cui si trovarono, alla fine della seconda guerra mondiale, la maggior parte delle famiglie italiane; per dare migliori condizioni di vita ai propri figli, le mamme, spesso rimaste sole, li mandavano presso famiglie piú benestanti, che potevano anche farli studiare.

Se da un lato ciò può rappresentare un atto d’amore, dall’altro può apparire, invece, un atto di egoismo, soprattutto visto dalla parte del figlio. E io per ora, essendo solo figlio, non accetterei di essere lasciato.

Un allontanamento del genere procura in entrambi una grande sofferenza. Tra la mamma e il bambino, infatti, si innalza un muro, ci si allontana, non solo fisicamente ma anche psicologicamente. Come i due protagonisti non si riesce piú a dimostrare il proprio amore.

Ci si accontentava delle piccole cose come ad esempio il pane che noi oggi pensiamo essere una cosa banale, quando in realtà non lo è. Anche tutte le piccole cose che noi oggi pensiamo essere banali e di cui facciamo uso tutti i giorni, in quell’epoca non lo erano.

Questo racconto mi ha fatto capire anche la sensazione di freddezza manifestata da una madre a un figlio molto piccolo e appunto ci fa capire che a volte dobbiamo rinunciare a tutto, persino all’amore di una madre, per scoprire il nostro destino.

Il racconto e l’incontro con Viola Ardone e il signor Vittorio mi hanno lasciato molte emozioni, soprattutto quando il signor Vittorio ci ha raccontato della madre, delle sorelle e del lavoro che era costretto a fare per mantenere la propria famiglia.

Questo incontro mi ha anche sconvolto perché c’era un signore di nome Vittorio che era uno di quei bambini del libro, quindi ho scoperto che era una storia vera e in piú avevo una testimonianza davanti ai miei occhi. I suoi racconti mi hanno fatto emozionare proprio, è riuscito a trasmettermi le sue emozioni. Infatti, quando raccontava situazioni di dolore, tristezza o difficoltà, le percepivo anche io; quando raccontava situazioni di sollievo, felicità o amore, lo sentivo. Questo incontro mi ha insegnato a dare importanza ai libri, alla cultura e allo studio.

Vittorio mi ha insegnato che la vita non è per niente facile, che è importante dare una mano agli altri e soprattutto amare ciò che si ha, anche le cose piú piccole, piú scontate, che a quei tempi non lo erano.

Consiglierei di leggere questo libro a tutti i giovani miei coetanei perché sempre piú spesso non ci rendiamo conto del reale valore delle cose, viviamo in una società “marcata” e molto appariscente. A volte pretendiamo tanto dai genitori e anche subito, senza capire che le cose si ottengono con lavoro e facendo duri sacrifici. Insomma… siamo viziati.

Mi è quasi impossibile immaginare che un bambino così piccolo abbia dovuto attraversare tutto questo, quando noi a sette anni giocavamo con le bambole. Mentre Vittorio raccontava, si è emozionato, facendo intuire che i ricordi di quel periodo della sua vita sono ancora molto vividi. Molte cose narrate corrispondono a ciò che lui ha vissuto e infatti, proprio lui, ci ha spiegato com’era la vita a quell’epoca e la differenza tra il Nord e il Sud. Ci ha detto che molte persone erano analfabete, che hanno imparato a leggere dopo anni, e c’era chi aveva fatto solo pochi anni di scuola e poi era andato subito a lavorare per portare da mangiare a casa. Ci ha evidenziato l’importanza dello studio e della cultura, ha detto che siamo molto fortunati a poter studiare e dobbiamo sfruttare questa occasione al meglio. Appena conclusa l’intervista ero piena di pensieri e di emozioni contrastanti e so che questa esperienza non mi abbandonerà piú.

Quelle due ore sono state un turbinio di emozioni, ma la prima cosa che ho provato è stata la sensazione di fortuna: mi sono sentita fortunata ad essere lí ad ascoltare la testimonianza di una parte della nostra storia che quell’uomo ha vissuto in prima persona; fortunata a non essere nata in quel periodo; fortunata di non aver fatto parte di quei bambini spaventati, qualcuno forse curioso, per quello che sarebbe successo una volta arrivati al Nord; fortunata di essere una ragazza di 17 anni in salute che, spero, non proverà mai le sensazioni, le emozioni e le paure che hanno provato quei bambini. Altre emozioni sono state sicuramente tristezza perché mi dispiaceva per quei bambini e per le loro famiglie. Rabbia perché non è giusto che per colpa di un evento tragico e insensato come la guerra, milioni di persone debbano pagare con morte e dolore; ma anche ammirazione verso Vittorio, perché lo trovo un uomo coraggioso che, nonostante i ricordi del suo passato lo turbino ancora, ha avuto la prodezza di raccontarci la sua storia.

Un momento che mi ha toccata particolarmente è stato quando Vittorio si è commosso. Lí mi sono commossa anche io e non credo sia possibile capire e comprendere come lui si senta, perché si può solo immaginare ciò che ha provato e che tutt’oggi prova. L’autrice mi è sembrata felice di essere lí con noi, contenta che fossimo coinvolti dai suoi racconti facendole anche delle domande, perché credo non ci sia soddisfazione piú grande per una scrittrice sapere che il pubblico apprezza il proprio libro. L’incontro è stato molto interessante e secondo me l’autrice è stata in grado di attirare l’attenzione di tutti i ragazzi presenti.

Durante l’incontro non si è parlato solo del libro, ma l’autrice ha aperto dei temi molto forti parlando di solidarietà e di quanto sia importante aiutare i piú deboli ed i piú poveri, non solo in passato ma anche oggi.

Molto importante e toccante è stato anche l’intervento di Vittorio, un testimone che con semplicità e umiltà è riuscito a raccontarci la sua esperienza da prima di salire nel treno fino a oggi. Vittorio infatti sin da giovane ha sempre aiutato le persone a lui vicine, durante la guerra si prodigò per sua madre sordomuta, cercando sempre di proteggerla assieme ai suoi fratelli, mentre oggi si occupa di aiutare alcuni luoghi dell’Africa dove la fame regna sovrana.

Penso che la presenza di Vittorio ci abbia ancora di piú aiutato a far entrare nell’aula la figura di Amerigo, curioso, vivace e capace di farci conoscere il mondo dagli occhi ingenui di un semplice bambino nato nei bassi di Napoli.

Questo libro è adatto ad ogni tipo di lettore e risulta da subito scorrevole e coinvolgente, suscitando molta curiosità alla fine di ogni capitolo tanto da poterlo finire entro tre giorni o addirittura entro una sera. L’incontro con l’autrice è stato molto interessante e lei molto disponibile, in quanto è rimasta fino alla fine ad ascoltarci e a chiarire tutti i nostri dubbi e le nostre curiosità.

Da questo incontro, che si è rivelato emozionante e avvincente, ho compreso le differenze culturali ed economiche che c’erano un tempo, ma che persistono in alcuni stati anche oggi.

Io mi ritengo una persona davvero fortunata, anche per il semplice fatto di avere la possibilità di poter andare a scuola e nella mia regione, perché in altri tempi, ma anche oggi in alcuni paesi, andare a scuola è un lusso che non tutti si possono permettere, restando cosí analfabeti per il resto della vita, esattamente come la mamma di Vittorio.

L’incontro è stato molto bello perché, grazie a Vittorio, abbiamo avuto l’opportunità di ascoltare la storia di un bambino che è salito su quel treno, diversa un po’ dalla storia scritta sul libro. Da questo incontro ho capito quanto era difficile in quel periodo andare a scuola e imparare cose nuove, cosa che al giorno d’oggi è scontato. La sofferenza nel distacco dalla propria famiglia già da bambini, senza aver modo di potersi vedere o sentire, ma solo scrivendosi lettere, era tanta. Ho percepito la grande differenza che c’era allora, tra l’Italia del Nord, quella piú evoluta e l’Italia del Sud, piú arretrata; per fortuna oggi siamo riusciti ad avere un’uguaglianza in tutta la nazione. L’incontro è stato bello perché capita poche volte nella vita di incontrare la scrittrice del libro che abbiamo letto.

Arrivati in aula magna mi sono accorto che l’autrice era molto giovane, al contrario delle tematiche che venivano affrontate nel libro. All’inizio della conferenza ci è stato presentato anche il signor Vittorio, che abbiamo scoperto essere uno dei testimoni che aveva letto il libro e si era riconosciuto nei panni di Amerigo. Ero molto emozionato mentre sentivo Vittorio e l’autrice parlare, visto che il libro mi aveva molto colpito ed ero curioso di sapere se ciò che vi era descritto corrispondesse alle testimonianze. Sono rimasto felicemente sorpreso quando ho notato le somiglianze tra i due punti di vista. Inoltre le parole di Vittorio mi hanno fatto sentire partecipe, come se anche io avessi preso parte a quell’incredibile viaggio.

Vittorio ci ha raccontato che nonostante i molti anni trascorsi è riuscito a restare in contatto e a ritrovare la famiglia che lo aveva ospitato al Nord, descrivendo nei minimi dettagli le ambientazioni della casa e della famiglia. Al termine dell’incontro abbiamo avuto l’onore di stringere la mano a Vittorio e farci autografare il libro dall’autrice. È stata un’esperienza di approfondimento molto costruttiva che ci ha fatto entrare a pieno nel libro e nei racconti di Vittorio e sicuramente ci ha lasciato una traccia importante.

Ad ogni parola che Vittorio diceva mi venivano i brividi, non riuscivo e non riesco tutt’ora ad immaginare come lui si poteva sentire, come lui ha avuto la forza di andare avanti nonostante tutti gli ostacoli che ogni giorno la vita gli poneva davanti. Secondo me a noi ragazzi, avendo vissuto fortunatamente in tempi completamente diversi dal suo, è praticamente impossibile immaginare cosa potesse provare e anche se proviamo a immaginarlo non sarà mai abbastanza.

Vittorio ci ha raccontato che quando diventò piú grande fece dei viaggi per aiutare i paesi piú poveri, proprio come fecero con lui. Ha raccontato di quando si trovava in Africa insieme a sua moglie, di quando lasciò i vestiti, le scarpe e tutto ciò che aveva in valigia ai bambini del posto, per renderli felici. Ci ha detto anche di quando insegnò a un’intera città come fare il pane per sfamarsi: lui era un fornaio e conosceva i modi piú semplici e veloci per fare il pane e ora quel villaggio in Madagascar si sfama grazie ai suoi insegnamenti.

Questo incontro mi ha fatto riflettere molto e se io fossi stato quel ragazzo che è salito sul treno mi sarei sentito molto piú spaventato di quello che era Amerigo, dato che non sono molto intraprendente, e mi sarei spaventato pensando al futuro.

Ad attirare la nostra attenzione è stato un anziano signore, la cui presenza per noi era totalmente oscura poiché non ci era stato riferito. Questo “young old man” non era altro che uno dei bambini presenti su quel treno. Ci ha raccontato della sua infanzia non molto facile, della sordità della madre, della sua malinconica ma necessaria partenza verso il Nord. Ci ha spiegato che spesso le famiglie affidatarie avevano già piú di qualche bocca da sfamare, ma questo non le fermò. Molti bambini che hanno ricevuto questo affetto e compassione sono poi diventati uomini promotori di bontà, come ad esempio Vittorio, che senza badare all’età fa viaggi a scopo di beneficenza, è attivo donatore e presidente di un gruppo di donatori di sangue. Quindi in conclusione: “siate buoni perché chi semina bontà riceverà bontà”, come ha ricevuto la famiglia affidataria del nostro anziano che dopo oltre trenta anni ha ricevuto una sua visita.

Vittorio, questo signore che era sul treno, dopo essere diventato adulto, dopo essersi sposato, andò a cercare questa famiglia che lo ospitò al Nord, a Modena. Ci ha raccontato che ci impiegò molto per trovare il nuovo indirizzo e, quando lo trovò, andò in questa casa e il capo famiglia lo riconobbe subito: gli disse che ormai era un uomo, che non si era dimenticato di loro e dopo 40 anni era tornato a trovarli. Questa cosa mi toccò molto, perché non è da tutti fare quello che ha fatto Vittorio. Questo Vittorio è veramente un “signore”: oltre a questo bellissimo gesto durante la sua vita ne ha fatti e ne fa altri molto belli. Per esempio è andato in Africa ad insegnare a fare il pane con dei forni che ha comprato apposta per loro. Imparando a fare il pane, sono riusciti a sfamare moltissimi bambini.

Uno dei discorsi che mi ha colpito di piú è quello fatto da Vittorio, quando si riferiva ai valori della vita e di conseguenza, come sono cambiati nelle generazioni. In questo discorso, ci spiegava che oggi molte persone, ma soprattutto i ragazzi, non danno il giusto peso alle cose che li circondano. Valori importanti, come l’istruzione, vengono date per scontante e altre vengono sottovalutate. Un esempio che ci è stato fatto è quello di saper leggere e scrivere: prima non tutti avevano la possibilità di imparare e chi poteva farlo doveva ritenersi fortunato. Da quell’incontro, ho imparato a guardare tutto ciò che mi circonda con occhi diversi, cercando di dare alle cose il giusto valore.

Come Amerigo, anche Vittorio non ha mai dimenticato quel viaggio. Vittorio è uno dei “bambini del treno” che nel dopoguerra, a causa delle difficili condizioni in cui si trovava la sua famiglia, è salito su quel treno che gli avrebbe poi cambiato la vita e che, leggendo il libro di Viola Ardone, ha ripercorso quegli anni.

Grazie a quell’esperienza, Vittorio ha compreso l’importanza della solidarietà ed è per questo che oggi svolge molte attività che hanno proprio questo obiettivo.

Vittorio mi è sembrato un uomo dal cuore grande: è stato molto emozionante vedere che, nonostante il passare degli anni, ancora si commovesse nel raccontare la sua storia. Ho capito l’importanza di quell’esperienza e, più in generale, dell’aiutare i piú bisognosi. Le attività solidali, secondo me, sono attività che arricchiscono contemporaneamente chi le riceve ma anche chi le svolge, poiché la sensazione di aver reso felice una persona, è una delle piú gratificanti.

Mi piacerebbe in futuro svolgere attività di questo genere, come ad esempio donare il sangue oppure adottare un bambino a distanza, un desiderio, quest’ultimo, nato anche grazie all’esempio diretto di mia sorella che ha deciso di sostenere a distanza Masir, un bambino del Nepal. Ricevere, quasi ogni mese, le sue lettere e gli aggiornamenti sulla situazione nel suo paese, rappresenta una motivazione in piú a mantenere vive queste attività solidali.

Durante l’incontro era presente una vera e propria fonte storica: Vittorio Minucci, uno dei tanti bambini saliti sui treni speciali diretti verso le famiglie del Nord. Mi hanno colpito particolarmente le difficoltà che ha dovuto affrontare da bambino. Ci ha descritto un episodio in particolare: durante i bombardamenti, la madre non sentendo il rumore delle bombe, veniva presa per mano dalla figlia maggiore per mettersi al riparo. Il racconto di Vittorio del fatto che tagliavano le punte delle scarpe quando diventavano piccole per continuare a usarle, ci ha fatto capire le difficoltà del periodo in cui è vissuto. Le sue quasi lacrime durante il racconto mi hanno emozionato, pur avendo io un carattere forte.

Una cosa che ci ha molto colpito di Viola Ardone è che è stata una donna molto semplice e questa caratteristica l’ha trasmessa anche nel suo romanzo.

Durante il racconto di Vittorio, molte lacrime hanno bagnato il pavimento per la sua storia autentica e vera che è stata molto triste perché non avendo il padre e avendo una madre sordomuta, loro dovevano fare riferimento alla sorella maggiore. Ma la sua storia è stata anche molto allegra perché, una volta arrivato al Nord, ha conosciuto la sua nuova famiglia. Lo hanno accolto a braccia aperte nella loro casa ma soprattutto, anche quando lui è ripartito per la sua terra, non si sono mai scordati di lui. Quando questo signore ha fatto venticinque anni di matrimonio con sua moglie aveva soltanto un desiderio: tornare al settentrione per ritrovare quella famiglia che lo aveva fatto mangiare per settimane. Una volta arrivati al Nord, ha trovato la famiglia, ma la cosa spettacolare è che soltanto per una cicatrice che il bambino si era fatto in passato, lo hanno riconosciuto, anche dopo settanta anni.

In particolare le emozioni sono state scaturite in me dal discorso di Vittorio. Infatti al momento della sua testimonianza avevo i brividi, gli occhi quasi lucidi e mi ha fatto pensare a quanto noi, ragazzi di oggi, siamo fortunati. Fortunati per esempio perché abbiamo l’istruzione scolastica e non viviamo in quei tempi di guerra e di grande tasso di analfabetismo. Vittorio, senza il padre, che era venuto a mancare, ha dovuto governare la famiglia andando a fare il pane in un forno già da piccolo e ha, purtroppo, dovuto abbandonare la scuola alla terza elementare per partire a soli sette anni verso il nord Italia.