Donatella Di PietrantonioL’Arminuta

Liceo C. Cafiero, Barletta
Classe: IV G
Docente: Silvia Grima

L’Arminuta è un’espressione dialettale che in italiano può essere tradotta come la ritornata. La protagonista del romanzo non ha un nome esplicito, ma è continuamente apostrofata con questo epiteto che, per quanto spersonalizzante, la descrive a pieno: dopo aver vissuto per i primi tredici anni della sua vita in una casa confortevole con quelli che credeva essere i suoi veri genitori, la protagonista viene improvvisamente accompagnata in una nuova casa, sudicia e fatiscente, dove conosce i genitori biologici e cinque fratelli, a lei fino a quel momento ignoti. Tra questi si fanno notare subito il fratello maggiore Vincenzo e Adriana, la sorella minore, la piú bistrattata della famiglia, che per prima l’accoglie in casa e, da pseudo-adulta precoce qual è, la istruisce sulla vita e sulla verità. Come affronterà l’Arminuta l’inspiegabile abbandono, il distacco dagli amati genitori e l’inaspettato stravolgimento di una vita che sembrava perfetta?

La protagonista è una ragazza forte, ma dovrà fare i conti con la disarmante verità di un duplice abbandono. La prima volta a soli sei mesi di vita, la seconda ormai adolescente. La prima volta dalla madre biologica, la seconda dalla madre adottiva. «Restavo orfana di due madri viventi. Una mi aveva ceduta con il suo latte ancora sulla lingua, l’altra mi aveva restituita a tredici anni».

Il percorso di crescita accelerata della protagonista coincide con una dolorosa presa di coscienza nel tentativo di rispondere a un interrogativo che, di pagina in pagina, si fa sempre piú martellante: che «luogo» è una madre? La maternità e, in un certo senso, la demolizione della figura materna sono il cardine attorno al quale ruota tutto il romanzo. Due figure materne dominano la scena de L’Arminuta: la madre biologica e la madre adottiva. Due prototipi differenti di donne e di madri: l’una rude e sgraziata, analfabeta, casalinga e matriarca, l’altra scrupolosa e diligente, curata e istruita, eccessivamente prodiga di attenzioni, anche se a distanza. Due donne e due madri che s’impara a conoscere nel corso della vicenda e che perdono e acquistano la considerazione della protagonista a mano a mano che si assiste allo scioglimento dell’enigma. Non è casuale l’uso dei vocaboli, con i quali l’autrice, per bocca della protagonista, indica le due madri: quando, all’inizio, si ignora la reale motivazione della restituzione e si crede possa trattarsi di una grave malattia, la madre adottiva è per l’Arminuta «mia madre del mare», mentre la madre biologica è «la madre» o solo «colei che mi ha messo al mondo»; al contrario, quando Adriana finalmente svela la verità, la madre adottiva si trasforma in «Adalgisa» e in «colei che mi ha allevato», laddove la madre biologica assurge al rango di «mia madre». Altre due figure materne si intromettono nella vicenda come personaggi secondari: la madre di Patrizia e quella di Sandra. Ma l’unica vera madre della vicenda alla fine si rivelerà la piccola Adriana, la bambina che fa la pipí a letto quasi ogni notte, ma che di giorno sa sempre ciò che è meglio fare per prendersi cura degli altri.

L’Arminuta è un romanzo da leggere tutto d’un fiato, che intriga e colpisce per la delicatezza del tema trattato e per la crudezza di alcune scene cruciali. L’uso del dialetto e l’ambientazione in un contesto gretto e disagiato sono l’emblema del violento trapianto della protagonista dal mare al sobborgo e poi dal sobborgo di nuovo al mare. Il mare che è un elemento ricorrente nelle pagine del romanzo, il luogo di evasione privilegiato dall’Arminuta e dai suoi fratelli, una valvola di sfogo per lavare via, appena possibile, l’amarezza della quotidianità.

Claudia