Donatella Di PietrantonioL’età fragile

Liceo Gian Domenico Cassini, Sanremo
Classe: IV D
Docente: Francesca Rotta Gentile

Dopo il trauma subito a Milano, Amanda, caduta in uno stato di depressione, spossatezza e malumore, torna nel suo paesino natale vicino a Pescara dalla madre Lucia. Anche Lucia ha vissuto un avvenimento che le ha lasciato un trauma: la scomparsa in una notte di trent’anni prima di tre ragazze, due sorelle in vacanza al campeggio e la sua amica Doralice. Ha assistito al ritrovamento dei corpi delle sorelle e alla testimonianza al processo dell’amica sopravvissuta e si porta dietro ancora dopo tanti anni il senso di colpa per non aver invitato l’amica al mare con lei il giorno della disgrazia, poiché in questo modo non sarebbe avvenuto il disastro. L’evento ha segnato tanto la sua vita e la vita del suo paese, tuttavia una volta ottenuta un’offerta per la vendita di quel terreno con una cosí drammatica storia, decide di non venderlo rendendosi conto che è l’unica cosa che sembra rendere la figlia viva.

Commenti

«Mi resta il dubbio che di quella sera non mi abbia raccontato tutto. In fondo non era successo niente di grave, pensavo allora. Le avevano rubato solo la carta prepagata e il telefono. La ferita era superficiale, si sarebbe presto rimarginata. Non vedevo il danno piú duraturo, la fiducia nel mondo che le avevano strappato insieme alla borsa» (pag. 47).

Dopo che Amanda viene rapinata, ferita al viso e lasciata per ore al freddo sotto casa ad aspettare che la coinquilina le apra la porta, lei che ha superato brillantemente i test per l’Università, che ha i capelli di un rosso vivo come una fiamma, che ha la rivolta nella voce commentando il telegiornale, perde ogni motivazione a studiare e a fare qualsiasi cosa, non se la sente piú di fare niente che non sia trascorrere il tempo nella sua stanza a contemplare il nulla. Lucia non riesce a capire la sofferenza di Amanda e si rammarica spesso di non essere partita in suo soccorso con il primo treno disponibile per starle accanto. Nonostante una parte di lei abbia sperato che non passasse il test di ammissione per l’Università per tenersela stretta come da bambina, nel momento in cui la figlia lontana ha bisogno di lei, Lucia sottovaluta la gravità della situazione e la lascia sola. Amanda non soffre per la perdita degli oggetti materiali a lei sottratti con cattiveria; non soffre per la ferita che le lascia il sangue sulla guancia e sul collo. Amanda soffre perché quella strada tanto breve tra la metropolitana e il suo appartamento, che ha fatto decine di volte, le si è rivoltata contro; soffre perché nel momento in cui è scossa dall’accaduto, ferita e al freddo, la persona di cui si fida in quel momento, la sua coinquilina, non ha aperto la porta del suo rifugio per ore e, dopo averle aperto, non ha provato a consolarla, a compatirla o neanche a chiedere che cosa fosse successo, non le ha asciugato il sangue sulla guancia. «Non mi ha offerto nemmeno un bicchiere d’acqua», ha detto Amanda al telefono. In quelle ore al freddo, scossa dall’accaduto, Amanda ha continuato a suonare il citofono, prima insistentemente poi piú di rado. E con il ridursi della frequenza con cui ha suonato il citofono pian piano si è ridotta anche la sua fiducia nel mondo. Troppo spesso si tende a sottovalutare piú del dovuto l’impatto che alcuni eventi possono avere nella nostra vita e in quella degli altri. Si tende a dare peso all’aspetto materiale e fisico dell’accaduto dimenticandosi di quello che a volte può essere il piú influente sulla nostra vita e che può causare cicatrici non cosí facilmente rimarginabili quanto quelle che ci fanno uscire il sangue: l’aspetto mentale.

«Ho taciuto che non l’avevo invitata al mare. Con gli amici di Pescara mi sarei vergognata di come parlava, l’accento forte della montagna, le parole in dialetto che ogni tanto le scappavano. E quel suo agitarsi scomposto nell’acqua, di chi non sa nuotare ma finge» (pag. 65).

Lucia piú volte rimpiange di non aver invitato la sua amica al mare quel fatidico giorno. Vede un legame evidente tra l’accaduto e le sue scelte: se avesse accettato l’invito di Doralice ad andare con lei, vista la sua conoscenza della montagna, magari le ragazze non si sarebbero perse nel bosco oppure sarebbe stata uccisa anche lei come loro; se invece avesse invitato Doralice al mare, l’amica sarebbe stata al sicuro con lei e le due giovani sorelle non si sarebbero mosse dalla loro tenda. Il fatidico motivo per cui non ha invitato l’amica al mare è legato a un sentimento molto piú comune di quanto si possa pensare: la vergogna dell’altro. Può essere che ci sia capitato o che sia capitato a qualcuno che conosciamo, di avere una persona tanto vicina a cui si è molto legati e che si accetta per ciò che è, che però teme di mostrarsi ad altri per paura del loro giudizio, per timore che non la accettino per la sua diversità o per qualche sua caratteristica in particolare, per paura che possa mettere chi la conosce in una condizione di imbarazzo. Credo sia un sentimento riscontrabile spesso in età giovanile, ma anche in altre fasce d’età. Come ciò potrebbe essere accaduto in un paesino sperduto sulle montagne trent’anni fa, probabilmente la stessa cosa accade ancor di piú in quest’epoca contemporanea in cui l’apparenza ha un ruolo principale nel giudizio che viene dato agli altri, nell’era della velocità in cui si guarda la superficialità delle cose e delle persone senza avere la pazienza di scavare più in profondità, in cui tutti, quelli che non sanno come quelli che sanno, si sentono liberi di giudicare e imprigionati dal giudizio degli altri.

«“La natura è bella per i ricchi, non se devi lavorare come uno schiavo”. Non ci avevo mai pensato, quella frase mi ha scossa. Nel tempo ho capito che non valeva solo per il servo pastore» (pag. 150).

È bello immergersi nella natura, ammirare panorami mozzafiato dalle cime delle piú alte e irraggiungibili montagne, pascolare nei prati all’aria aperta come uomini primordiali. Si può assaporare quel sentimento di libertà e mancanza di preoccupazione, sensazione di meraviglia nei confronti della natura incontaminata, idea di un legame profondo con tutto ciò che c’è intorno. Ma esiste un limite sottile, che non sempre chi vive in questa condizione si rende conto di superare: il confine tra la libertà dell’essere immersi nell’ambiente naturale e il diventarne schiavo. Ciarango, Osvaldo, il padre di Lucia, gli altri pastori: nessuno di loro ha scelto di vivere nella valle. Sono rimasti nell’unico luogo possibile, quello in cui sono nati, non hanno visto altro né immaginato altro. Sono schiavi di una necessità e della natura che li avvolge. Da una parte del confine c’è la bellezza della natura con i suoi panorami mozzafiato da ammirare e le piante che crescono rigogliose nei campi fertili, dall’altra però quella terra che dà a tutti loro nutrimento è la stessa che li affama. Loro sono schiavi della natura, è per rispettare il servizio nei suoi confronti che coltivano la terra e pascolano le greggi per tutta la vita. Esiste anche un ulteriore confine: quello tra rendere servizio alla natura come uno schiavo o quello di diventare tu stesso parte della natura. È quel confine oltrepassato per esempio da Ciarango, che avendo vissuto gran parte della sua vita immerso nell’ambiente naturale e tra i suoi animali, finisce lui stesso per diventare come le sue bestie, si dimentica della sua famiglia, della moglie e dei figli, della sua vita a contatto con altri esseri della sua stessa specie, pensa solo a nutrirsi, a coltivare, a pascolare, neanche si lava o cambia i vestiti con quelli puliti e finisce per avere lo stesso odore dei suoi animali: smette di fare quelle cose che sono alla base della dignità e della personalità di un essere umano. Se nel suo caso la lontananza dalla civiltà lo porta a vivere come i suoi animali piú innocui, questo non è invece il caso di Vasile, il giovane straniero bisognoso che lui assume. Anche lui probabilmente vivendo solo tra gli animali e stando costantemente a contatto con la natura inizia a sviluppare il suo istinto selvaggio e animalesco, che si manifesta con la violenza sessuale nei confronti di Virginia, l’uccisione di Tania e il tentato omicidio di Doralice. Vivere a contatto con la natura è qualcosa che può portare dei benefici, ma bisogna rispettare quel limite che ha reso l’uomo civile e non cadere nella parte piú animalesca del genere umano, piú presente in noi di quanto mai potremmo immaginare.

Elisa