Benedetta TobagiUna stella incoronata di buio

Roberto Monicchia, Vicenza

Ogni volta che una qualche occasione ci riporta alla memoria il terrore seminato dalla cosiddetta strategia della tensione, è difficile non lasciarsi sopraffare dalla rabbia: pesa come un macigno il senso di una stagione di trasformazione e protagonismo di massa fermata attraverso una violenza brutale, promossa e permessa (ogni sentenza, anche di assoluzione, lo conferma con copiosi riscontri documentari) da apparati di potere – interno e internazionale – che nulla hanno pagato in termini giudiziari o politici per quella infame stagione.

Se possibile ciò è ancor piú vero per la strage che si consumò a Brescia, in Piazza della Loggia, il 28 maggio del 1974, e che Benedetta Tobagi racconta con acribia da ricercatrice e intensità da scrittrice in  Una stella incoronata di buio. Storia di una strage impunita. Gli otto morti e gli oltre cento feriti causati da un bomba deposta in un cestino su una colonna dei portici che circondano la piazza, sono certamente un anello della catena di attentati fascisti che insanguinarono l’Italia da Piazza Fontana alla stazione di Bologna. Simili per modalità operative, origine degli esecutori (Ordine nero, costola di Ordine nuovo), protezioni e depistaggi da parte degli apparati, coperture e omissioni dei vertici politici. Simile è anche l’esito giudiziario. Il 14 aprile 2012, della corte d’appello, aveva confermato l’assoluzione di tutti gli imputati. Lo scorso 21  febbraio, quindi dopo la pubblicazione del libro, la Cassazione ha disposto un nuovo processo per Carlo Maria Maggi e Maurizio Tramonte, confermando l’assoluzione del solo Delfo Zorzi. Importanti sono tuttavia anche le peculiarità di Piazza della Loggia, a cominciare dall’evidenza spudorata delle coperture godute dai responsabili: le segnalazioni furono ignorate, il servizio di polizia che nelle manifestazioni si disponeva sotto i portici quel giorno era all’esterno, il questore ordinò di lavare la piazza subito dopo la strage, eliminando i frammenti della bomba. A livello internazionale, la fine di Nixon segna l’abbandono della politica di sostegno alla reazione: i regimi militari di Grecia, Portogallo e Spagna cadranno in rapida successione e dopo l’Italicus anche la strategia della tensione si attenua o muta di segno. Subito dopo Brescia si colloca la prima azione omicida delle Br. Soprattutto, la bomba fascista colpisce direttamente il movimento operaio e progressista: a pochi giorni dalla vittoria sul divorzio, si colpisce una manifestazione antifascista in una delle città operaie più importanti d’Italia.

A Brescia fu colpita direttamente e consapevolmente la straordinaria generazione dell’impegno politico. Tra gli otto morti della strage ci sono un partigiano, cinque insegnanti, due operai, un immigrato del sud, tre donne: ricordarli significa ripercorrere un’epoca. Su questa strada Tobagi è accompagnata dalla figura davvero gigantesca di Manlio Milani: operaio comunista, testimone della strage, marito di una delle vittime, Livia Bottardi (che spira tra le sue braccia) e amico di altre tre – Giulietta Banzi, Alberto Trebeschi Clementina Calzari – ha costruito e animato l’associazione “Casa della memoria” di Brescia, non a caso l’unica associazione legata alle stragi che non rechi la parola “vittime” nel proprio nome. Con lui l’autrice, oltre ripercorre le tappe del processo, ricostruisce, attraverso le storie dei protagonisti interrotte dalla bomba, un’intera epoca di passioni, lotte, presa di coscienza. Vediamo cosí l’incontro  tra operai e giovani insegnanti in una sezione del Pci di Brescia, i dibattiti culturali “eterodossi”, le azioni per i diritti civili, l’apertura di un consultorio. Su tutto il senso profondo del valore del protagonismo sociale e politico, la volontà di cambiare il mondo  con l’azione collettiva. Il contrappunto a questa “cantata” per una generazione militante, il suo “lato oscuro” è rappresentato dai militanti dell’estrema destra neofascista, pervasi dall’idea di rappresentare un’alternativa “eroica” all’omologante azione del sistema, ma incapaci di risolvere la contraddizione che li inchioda al ruolo di puntellatori sanguinari del sistema stesso.

Certo non è facile per Benedetta Tobagi affrontare il tema della strage di Piazza della Loggia: una specie di sfida anche con la propria vicenda personale. Proprio il 28 maggio, sei anni dopo la bomba bresciana, il padre Walter fu assassinato dalle Br. Non è questione di coincidenza di data; il fatto è che il difficile rapporto tra memoria e racconto storico, tra sentimenti personali e coscienza pubblica, tra necessaria rimozione e dovere civile, ha qui una risonanza personale particolare. Eppure la giornalista e scrittrice riesce a non abbandonarsi  né  alla retorica delle vittime, né alla tautologia dell’insensata violenza; mantiene sempre il distacco e la passione dell’osservatore partecipante, che prova a dare senso anche quando è investita dallo scacco dell’ineluttabile e dell’irreparabile. Ci riesce prima di tutto ridando voce e spessore alla passione civile delle vittime e dei loro amici sopravvissuti, senza cedere – proprio lei – alla retorica degli anni di piombo, che annulla nell’indistinzione o riduce alle memorie private la forza dirompente di una stagione che ha ancora molte cose da dire.

I funerali delle vittime di Piazza della Loggia ne danno una dimostrazione quasi incredibile; tutto l’immenso corteo fischiò il presidente della repubblica Leone e il capo del governo Rumor, compresi gli operai del servizio d’ordine. Allo stesso tempo quel servizio d’ordine fu sufficiente a mantenere la manifestazione nei binari della compostezza: quel giorno in piazza non c’era un solo carabiniere o poliziotto. Una poesia scritta per i funerali diceva: «non si chiamino vittime/ma caduti consapevoli». Quella piazza, quella generazione, non solo poneva con forza la questione di un rinnovamento profondo delle istituzioni democratiche e dello stato, ma si candidava a guidarla in prima persona; la sua mancata realizzazione è sfociata in una degenerazione senza fine, di cui l’impunità per le stragi fasciste è un’allegoria eloquente e dolorosa.

 

Roberto Monicchia insegna all’ITIS Alessandro Rossi di Vicenza.