Simona SparacoSono cose da grandi

Elena Tamborrino (Maglie)

Un figlio significa tanto, non è solo amore, ma anche un modo nuovo per inventarsi la vita, per scoprire in sé la propria parte piú attenta e piú consapevole. Cosí succede che si possa diventare piú sensibili alle questioni ambientali, che si possa provare a diventare meno intolleranti, che si impari a gestire il proprio tempo in modo diverso, piú proficuo pure se è limitato, anzi piú proficuo proprio perché limitato dalle esigenze di un bambino piccolo che richiede cure e attenzioni particolari. Succede che ci si metta da parte per fare spazio a chi, togliendoci qualche libertà, in realtà ce ne sta regalando una maggiore, perché migliore.

Quello che Simona Sparaco racconta in questo centinaio scarso di pagine è proprio il suo essere diventata una persona diversa da quando è madre e le impressioni, le speranze, le osservazioni su una quotidianità che si costruisce in un tempo fatto di stupori e nuove scoperte, sono tutte nella lunga lettera che scrive al piccolo Diego, che ha appena compiuto quattro anni, e che si trova nell’età dei perché e delle prime considerazioni sul mondo intorno.

Se fosse solo questo – emozioni, rivelazioni, attese – sarebbe il messaggio che tutte le mamme scriverebbero ai loro figli, mentre li osservano farsi spazio nel loro piccolo mondo di bambini; invece è anche l’aperta confessione delle paure che, davanti a un mondo dissestato che vorrebbe consegnare migliore a Diego, Simona sviscera e che non sono solo i timori di una vacanza che il bambino dovrebbe fare con suo padre al di là dell’Oceano o quella di non essere abbastanza all’altezza del ruolo, o ancora di non essere sempre paziente e disposta all’ascolto.

Le paure hanno un momento per nascere, Simona lo circoscrive e lo riconosce: può accadere il giorno che la terra ha tremato nel Centro Italia, devastando paesi, case, famiglie, campagne, monumenti, chiese, scuole, oppure un giorno qualunque in cui, in fila alla Posta, uno zainetto appoggiato contro una colonna sembra dimenticato e rappresenta una «crepa» che si fa strada nei pensieri, fino ad arrivare al terrore puro che quello, proprio quello, possa essere l’istante fatale dopo il quale non si è piú.

La lettera a Diego nasce per provare a fronteggiare la paura, per prepararsi alle domande difficili che arriveranno, per acquistare sicurezza nel difficile percorso che ogni madre compie con i propri figli, andando incontro agli imprevisti che la vita riserva, verso i quali conviene non avere soggezione.

La lettera a Diego nasce per imparare a trovare le risposte, quando non basterà piú dire «Sono cose da grandi», rimandando il momento delle verità a un indefinito futuro.

Elena Tamborrino insegna italiano e storia all’IISS A. Cezzi De Castro Moro di Maglie (Le).