Girolamo GrammaticoI sopravviventi

Silvia Vitucci, Roma

Un memoir che fa riflettere sull’empatia e sul mondo in cui viviamo attraverso il prisma dell’aiuto ai senza dimora.

«Forse l’empatia è riuscire a vedere l’altro restando sé stessi, chissà».

Come si scopre grazie alla preziosa nota dell’autore, l’io narrante – o il protagonista, scegliete voi – de I sopravviventi ha molto in comune con l’autore da giovane: entrambi infatti hanno lavorato a lungo, a partire dai primi anni Duemila, con persone senza dimora. Girolamo Grammatico, a distanza di anni, ha trasformato, grazie al filtro della scrittura, quelle esperienze in un intreccio di storie, in un memoir in cui la trama è rappresentata dalle vicende delle persone che l’autore ha realmente incontrato e l’ordito dalle continue riflessioni nate da quelle dolorose situazioni.

Non è un caso se il libro che il protagonista porta piú spesso con sé è proprio Il libro dell’inquietudine di Pessoa: il senso di sradicamento costante che si porta dietro gli fa sentire particolarmente vicino, tra gli alter ego di Pessoa, Bernando Soares e, forse, gli permette di essere ancora piú empatico con il dolore di chi ha perso tutto, casa, relazioni, lavoro e soprattutto gli strumenti che ci rendono capaci di abitare il mondo.

Un mondo diventato sempre piú ostile, performativo ed egoista, anche da quando i dissuasori dell’architettura ostile e l’ossessione del decoro hanno reso i sopravviventi ancora piú invisibili.

La scelta di usare il termine sopravviventi per indicare chi è senza dimora sottolinea la percezione dell’autore che essi stiano sopravvivendo solo apparentemente alla miseria e alla disperazione senza riuscire a sentirsi vivi.

Ci piacerebbe dire che si tratta di un romanzo di formazione, un viaggio dell’eroe, ma non incontriamo nessuna significativa evoluzione del protagonista, nessun mentore degno di questo nome.

La trama e l’ordito dei Sopravviventi disegnano piuttosto un fallimento: dell’istituzione in cui l’autore ha lavorato e di un progetto di accoglienza tipico del nostro paese, che agisce come una Tachipirina volta ad alleviare il sintomo del malessere ma non a sradicarne le cause.

 

Silvia Vitucci insegna Lettere al liceo Nomentano di Roma.