Viola ArdoneIl treno dei bambini

Liceo classico Stellini, Udine
Classe: II A
Docente: Mariaelena Porzio

La storia raccontata ne Il treno dei bambini parla del trasferimento di molti bambini dal sud verso il nord nel dopoguerra. Perché ti sei appassionata all’argomento?

Questa storia mi è stata raccontata da un amico di famiglia. Non diede molta importanza all’episodio, ma notai che lo ricordava con tenerezza, ne parlava come di una cosa bella della sua infanzia. Da Napoli partirono moltissimi bambini, eppure non faceva piú parte della memoria collettiva. L’iniziativa ne aveva coinvolti ben 70000 su tutto il territorio italiano. Pensai subito che fosse una storia bellissima, epica, in cui c’era già tutto quel che serviva: il trasferimento e quindi il distacco, il ritorno, il concetto di solidarietà, insomma mi sono innamorata dell’idea. Non c’era molto materiale d’archivio, ho trovato qualche scritto autobiografico e incontrato alcune fonti primarie, cioè testimoni che avevano vissuto l’esperienza e che me l’hanno raccontata. Ascoltare le loro storie è stato bellissimo, ma quella che ho narrato nel libro non corrisponde a nessuna di quelle: ho preferito creare una trama che fosse esclusivamente mia.

Come si affronta il tema dell’adozione dal punto di vista di un bambino e come ci si immedesima?

Ho subito pensato che la voce narrante dovesse essere quella di un bambino. Solo i bambini sono capaci di raccontare una storia senza una sovrastruttura ideologica, non si fanno troppe domande su quello che sta accadendo: vanno, scoprono e registrano. In quel trasferimento c’era dolore per il distacco, ma c’era anche una grande energia e un desiderio di scoperta. I bambini hanno una grande capacità di adattamento: per loro casa è il luogo in cui ricevono affetto, cura, nutrimento. Certo, l’adozione può maturare anche traumi, piú o meno grandi, ma in alcuni frangenti diventa spontanea. Il bambino ha delle necessità primarie che devono essere soddisfatte: è indifeso e da solo non può procurarsi cibo, né vestiti. È normale che cerchi di affiliarsi. Ho pensato che, data la situazione critica di partenza, per questi bambini era relativamente semplice entrare in un nuovo nucleo familiare e che il problema piú grande fosse il ritorno, che li obbligava a un contro-adattamento dopo aver provato un certo benessere. Cosí ho deciso che l’elemento traumatico della storia sarebbe stato questo.

Hai scritto questo libro pensando a un pubblico in particolare?

No, in genere quando scrivo lo faccio per me, è come se stessi raccontando la storia a me stessa. Scrivo per un mio piacere, seguo un’idea, sono mossa dalle motivazioni della storia o dal linguaggio sul quale sto lavorando e credo che cosí facendo, ci siano piú possibilità che il libro piaccia non solo a una certa categoria di lettori, ma a tante persone.

Il personaggio di Maddalena è presente nei tuoi ultimi due libri. Cosa rappresenta? E potrebbe tornare anche in un terzo romanzo?

Maddalena è una persona impegnata e lo dimostra facendo tutto quello che può fare nel quotidiano. Se c’è da supportare un’iniziativa dei bambini lo fa, se c’è da collaborare con un giudice lo fa, se c’è da aiutare una ragazzina in difficoltà lo fa. Non è una super eroina del bene, semplicemente se qualcuno le chiede aiuto, non si tira indietro e questo innesca una catena di solidarietà che dà frutti piú grandi dello sforzo. Mi piace Maddalena e l’ho voluta richiamare anche in Oliva Denaro. Non so se tornerà in un prossimo libro, ma mi piace l’idea di un personaggio “ponte” che unirebbe questi libri in una specie di trilogia immaginaria del dopoguerra.

Cosa pensi del ruolo della donna oggi, rispetto a quello del periodo descritto?

Molti sono stati i cambiamenti, soprattutto dal punto di vista giuridico. Oggi ci sono leggi e associazioni che tutelano e sostengono la donna nel momento in cui decide di denunciare una violenza fisica o psicologica, ma ci sono ancora due problemi. Il primo è la mentalità. Nei fatti il corpo della donna è ancora oggetto di discussione, di giudizio, di commento inappropriato. Esiste la piaga del femminicidio, un fenomeno geograficamente trasversale nella sua mostruosità, e sottotraccia, rimane ancora una certa ideologia paternalista e maschilista che ogni tanto spunta fuori. Per combattere certe convinzioni è giusto creare occasioni di dibattito, ma la questione delle donne non deve rimanere solo una questione tra donne. Vorrei che ci fossero piú uomini che scrivono storie di donne, storie in cui loro stessi si mettono in discussione rispetto al problema, vorrei che il dibattito e il momento di crescita e di autocoscienza fossero affrontati anche da loro, vorrei che gli uomini prendessero in mano le redini di una battaglia che è sempre stata portata avanti solo dalle donne, ma che sarebbe bello fosse una battaglia condivisa. Il secondo problema è la situazione nel mondo del lavoro. Oggi le donne possono intraprendere qualsiasi tipo di carriera, ma in alcuni lavori sono ancora ostacolate perché meno disponibili. Secondo il pensiero prevalente della società, una donna è deputata anche all’accudimento dei figli e degli anziani. Sono quindi necessarie piú politiche di sostegno all’occupazione femminile. Nel meridione la percentuale di donne lavoratrici è molto piú bassa rispetto al nord e al centro Italia e da questo punto di vista dobbiamo fare ancora molti passi in avanti.

 

Questa intervista è stata pubblicata nel volume A ruota libera, a cura di Elena Rocco e Mariaelena Porzio.