Marcello FoisPietro e Paolo

Liceo scientifico A. Roiti, Ferrara
Classi: III A, III M, III P, IV B, IV P

Cosa l’ha portata a scrivere il romanzo Pietro e Paolo?

Pietro e Paolo è un libro riassuntivo di cose scritte precedentemente, ci sono molti temi che mi sono cari sviluppati in opere precedenti, citazioni, libri importanti della mia vita. Un libro apparentemente piccolo che per me rappresenta una specie di chiusura di un ciclo, dentro al quale ho messo tutte le cose che mi piacciono: i romanzi di formazione, le storie di amicizia, la Prima Guerra Mondiale come condizione di rapporto con la storia, la mia terra, la Sardegna.

Perché ha scelto una struttura cosí particolare con un continuo alternarsi di piani temporali?

Perché il montaggio è quasi piú importante della storia stessa. Le storie sono state quasi tutte raccontate, quindi il punto era raccontare una storia di amicizia, ma in un modo che non sia il solito.

I capitoli sono al contrario, si parte da 16 per arrivare a 0. Sembra quasi un conto alla rovescia per arrivare alla resa dei conti. Era questo il suo intento?

Sí, era esattamente questo. Fra le varie cose che volevo mettere in questo libro è la passione per il romanzo a chiave, il cosiddetto romanzo giallo, di mistero, di inquietudine. E questo era un sistema per generare attesa.

Pietro, ricco spiritualmente ma di condizione disagiata, da a Paolo lezioni sulla vita e sulla morte; Paolo invece, benestante, nonostante insegni a Pietro a leggere e scrivere è piú arido psicologicamente. Ha costruito appositamente tale antitesi e per quale motivo il personaggio piú colto risulta il piú negativo?

Non so se era esattamente questo il mio intento. Il mio parere è che la dicotomia tra Pietro e Paolo non è tra chi sia il migliore e chi sia il peggiore, ma tra chi sa delle cose e chi sa delle altre, chi ha un’informazione dettata dall’esperienza e chi ha un’informazione dettata dall’istruzione. Paolo non è povero psicologicamente parlando, ha una psicologia diversa e un ruolo diverso nella società in cui è nato. Nessuno dei due è veramente libero di essere quello che è realmente. Anzi, questo è un romanzo in cui si racconta proprio questo: che la libertà che hai nell’infanzia si perde quando la società ti richiede di eseguire il tuo compito. Nel caso di Paolo è quello di dirigere un’azienda di famiglia, nel caso di Pietro è migliorare la condizione da cui proviene.

Le descrizioni presenti nel suo romanzo ci sono piaciute molto, soprattutto per la presenza di metafore e analogie. In particolare, ci hanno colpito le coppie oppositive radura/libertà e fossa/prigionia. Da qui l’analogia tra la trincea e la tana delle volpi morte. Proprio durante l’avventura dei due amici, notiamo Paolo particolarmente scosso per la sorte che è toccata ai volpacchiotti abbandonati dalla madre. Paolo viene segnato dal concetto di abbandono piú che dalla morte. Anche lei trova l’abbandono piú spaventoso della morte?

Sí, decisamente. Questo dimostra che Paolo non è cosí arido come sembra: ha un suo mondo interiore molto particolare e molto sviluppato. Paolo ha in sé una sorta di sindrome dell’abbandono, e quando non capisce effettivamente cosa è successo mentre sono in guerra e si sente abbandonato da Pietro va in crisi. Per quanto mi riguarda sí, temo che l’abbandono sia piú spaventoso della morte: come dice Epicuro «se c’è la morte non ci sono io, se ci sono io non c’è la morte». Penso sia inutile avere paura di una cosa a cui è impossibile sfuggire e di cui comunque non abbiamo coscienza.

Parlando dei protagonisti, nati entrambi nello stesso anno 1899, come «il principe e il povero», lei cita altresí il rapporto tra vita e letteratura. C’è un riferimento a qualche opera letteraria in particolare? Può spiegarci a cosa si allude in questo passaggio?

Si allude a quello che io ritengo essere la forza vitale della letteratura: penso che dentro ai libri ci siano dei dispositivi per salvarci la vita, ci sono esperienze, anche terribili, che non è necessario che viviamo, ma che possiamo conoscere attraverso la narrazione altrui. Le citazioni sono tantissime: Il principe e il povero, appunto, che è un romanzo per ragazzi che si usava molto quando io ero giovane. Ma questo tema del ricco e il povero è presente anche nell’Odissea, quando Telemaco si accompagna col porcaro di Ulisse per avere notizie del padre; nei romanzi di Faulkner: il bambino bianco e il bambino nero giocano in cortile finché non scoprono che la piantagione dove il bambino deve andare a lavorare è del nero. Questo per dire che nella letteratura ci sono molte verità, non serve solo a passare il tempo; ci aiuta a risolvere molti problemi. Specialmente se fatta alla vostra età e con passione.

La coppia di amici che vivono insieme l’esperienza della guerra ci ha richiamato alla memoria le vicende di Achille e Patroclo. Ci siamo chiesti inoltre se ci sia un riferimento agli apostoli Pietro e Paolo.

Sí, certo che c’è. È un riferimento che ha a che fare proprio con la trama del romanzo, perché Pietro e Paolo sono due supereroi della cristianità: Pietro ha il potere di sparire innanzi ai suoi nemici e Paolo deve diventare cieco per vedere San Paolo, vedere oltre la cecità. È evidente quindi il rapporto strettisssimo con i miei personaggi. E sí, anche con le altre coppie, Achille e Patroclo o Eurialo e Niso. Pietro e Paolo è anche il titolo di un libro in cui io cerco di ragionare sulla possibilità di farne un classico contemporaneo. Quindi è un po’ un omaggio ai grandi classici.

Ci ha incuriosito il personaggio di Lucia, figura evanescente ma al contempo catalizzatrice, di cui neppure il nome sembra casuale. Può spiegarci meglio il suo ruolo e la sua funzione all’interno della storia?

Lucia è una goccia di quell’elemento chimico che fa funzionare tutto il composto. Il nome chiaramente non è casuale: è una martire, ma ha anche a che fare con I promessi sposi; è l’omaggio che ho voluto fare al mio personaggio preferito.

Quella presentata nel romanzo non è la Sardegna piú conosciuta, ma una regione autentica e misteriosa descritta attraverso profumi, odori, paesaggi, antiche tradizioni. Tutto ciò è frutto di una ricerca documentaria di tipo geografico storico folklorico o dipende dal suo personale vissuto?

Dipende dal mio personale vissuto. Io sono nato lí, sono cresciuto lí, ci ritorno continuamente. Ho con quel territorio un rapporto costante. So di me, della mia famiglia, del mio territorio; sono diventato narratore perché qualcuno, prima, ha narrato a me. Mi documento sempre molto prima di scrivere, soprattutto se si tratta di romanzi che non sono ambientati nei nostri giorni. Ma queste descrizioni sensoriali sono tutte farina del mio sacco, hanno a che fare con le mie vere sensazioni.