Massimo MantelliniBassa risoluzione

Liceo A. Casardi, Barletta
Classi: V C scienze umane
Docenti: Giovanni Antonio del Vescovo

«Internet, luogo della documentabilità, si trasforma nello spazio in cui ogni cosa sarà rapidamente dimenticata». Quando la bassa risoluzione riempirà completamente le nostre vite ci sarà una via d’uscita? O andiamo incontro a un irreversibile precipizio?

Per molti anni abbiamo immaginato Internet come il luogo della memoria, della conservazione, dentro uno spazio infinito, di tutti i documenti del mondo. Poi ci siamo resi conto che era tutto piú complicato di cosí e che la Rete non era poi troppo diversa dagli altri archivi. Conservare è difficile, le pagine web diventano irraggiungibili, gli archivi vengono cancellati per le ragioni piú varie, gli stessi formati elettronici invecchiano rapidamente e rischiano di non essere piú riconosciuti nel giro di pochi decenni. E tuttavia non accedere a questi grandi database è in larga parte una scelta sociale, una caratteristica nostra, connaturata a come siamo fatti, che deve essere avversata oggi esattamente come un tempo. Il risultato di un simile sforzo si chiama «cultura». Ma rispetto ai tempi pre-digitali le informazioni che abbiamo scelto di archiviare sono comunque moltissime, molte di piú di prima e sono a nostra disposizione. Dipenderà da noi e dalla nostra curiosità saperle sfruttare nel modo migliore.

Crede che la nostra bassa risoluzione sia un aspetto negativo della nostra generazione, in quanto ci limitiamo ad accontentarci, o crede che questa sia dannosa in sé?

Non lo credo. Credo ne sia un tratto distintivo, legato in parte alle tecnologie e in parte all’enorme mole di connessioni e informazioni di cui oggi disponiamo. E come maneggiamo simili dati, come ci poniamo di fronte a un flusso tanto consistente è semplicemente il modo in cui siamo oggi. È la nostra storia. Le informazioni non sono mai dannose in sé. Mentre come le utilizziamo, o come non le utilizziamo, potrebbe diventarlo.

Non crede che la bassa risoluzione possa essere un mezzo per chi non ha le possibilità economiche?

Oggi l’accesso alle informazioni, a Internet in genere, è ormai una commodity, vale a dire una sorta di servizio di base che non dipende quasi per nulla dai suoi costi. Un tempo si discuteva di «diritto all’accesso» esattamente come in passato si parlava di «diritto alla conoscenza»: oggi la barriera economica è infinitamente minore di un tempo, mentre esiste una barriera culturale molto solida, specie in Italia.

Lei pensa di vivere una vita ad alta o bassa risoluzione?

Io penso di vivere, come tutti, una vita a bassa risoluzione, con alcune puntate, spero sempre piú frequenti, verso la profondità delle cose.

Pensa che ci sarebbe un modo per coniugare l’estetica della bassa risoluzione con la alta qualità del passato?

Non so se esista una estetica della bassa risoluzione, forse esiste una ontologia della bassa risoluzione, nello stesso tempo credo che in passato non vi fossero contesti troppo differenti. Abbiamo splendidi esempi di talento, inventiva e alta risoluzione oggi come un tempo.

Quali autori l’hanno formata maggiormente? In che modo li ha conosciuti?

Dalla biblioteca di mio padre, quando ero un ragazzo. Dalla musica che ascoltavo con i miei amici a scuola, come tutti, magari da qualche esperienza teatrale. E poi dai libri che per caso o per fortuna ho incontrato e fatto miei. Mi piaceva la poesia americana del dopoguerra che trovai sui libri di mio padre, adoravo il teatro canzone di Giorgio Gaber, molti scrittori italiani e stranieri, da Daniele Del Giudice a Roberto Bolano, da Bruce Chatwin a Annie Ernaux che ho scoperto negli ultimi anni (perché non si finisce mai di essere formati).

Perché ridurre le aspettative se ogni giorno facciamo un passo avanti nell’innovazione e nel miglioramento di ciò che abbiamo a disposizione?

Perché noi non siamo la tecnologia che abbiamo a disposizione. Perché molte delle scelte tecnologiche delle comunità di persone sono misteriose e impermeabili alle previsioni dell’industria e dei futurologi. Perché come disse Steve Jobs una volta «noi siamo al bivio fra tecnologia e arti liberali» e il mix di queste due cose spesso fornisce risultati inattesi.

Nel suo libro Lei scrive: «accettare una versione degradata di qualcosa è una storia di millimetrico allontanamento da Dio». Perché utilizzare il termine millimetrico se il dramma della cultura è enorme?

Quel passo era ironico. In ogni caso non necessariamente scegliere versioni degradate di un tipo di informazione (nel caso citato era un film ma potrebbe trattarsi di qualsiasi cosa) è un dramma. Siamo noi il centro delle nostre decisioni culturali, semplicemente quelle scelte parleranno di noi. Ma non si tratterà comunque mai di un dramma almeno fino a quando avremo la possibilità di scegliere.