Nadia TerranovaAddio fantasmi

Liceo Nomentano, Roma
Classi: II M, III B, III M, IV B, IV I
Docenti: Silvia Vitucci e Claudia Indovina

Vitucci: Ida si vergogna, si sente in colpa del proprio vissuto; il suo dolore è difficile da raccontare, evidentemente per tanti motivi, ma soprattutto per motivi legati alla differenza profonda che c’è tra la morte di un padre e la scomparsa di un padre. Quello di Ida «è scivolato via». Il tema della vergogna mi sembra un aspetto fondamentale che riguarda il personaggio di Ida. In un’intervista bellissima raccolta da Anais Ginori sulle pagine de «la Repubblica» che ha visto dialogare Nadia Terranova con una scrittrice francese che io amo moltissimo, Annie Ernaux, Nadia ha proprio parlato della vergogna come requisito ineliminabile da cui scaturisce il bisogno di scrivere. Volevo chiedere a Nadia di raccontare anche a noi il nesso tra vergogna e scrittura, in che modo la vergogna alimenta la sua scrittura e talvolta la letteratura di genere.

Credo che sia molto bella la frase di Annie Ernaux in cui dice che nel passato ha voluto scrivere solo libri che le rendessero insostenibile lo sguardo degli altri; io penso che, se uno deve scrivere un libro, piú o meno deve metterci dentro proprio questo. Non importa che sia autobiografico o meno; non vorrei dare l’impressione che per scrivere bisogna scrivere di sé o di un fatto preciso, autobiografico. C’è ovviamente una parte di me in Ida, ma molti fatti accaduti a Ida non sono accaduti a me, la stessa vicenda paterna è molto diversa nella mia vita e nella sua però quello che io cerco di dare a questo personaggio è tutto quel senso di mancanza bruciante, quel senso di vergogna per la colpa che lei sente dentro di sé e non sa esattamente dove mettere. Lei e la madre sentono che sono in colpa, ma è una colpa che assomiglia a quella della tragedia greca, cioè una colpa che somiglia al fato: quest’uomo si è allontanato e non ha voluto vivere con loro, ma loro fino in fondo non sanno il perché, vivono questo allontanamento come destino. È strano ma negli abbandoni la persona che prova la vergogna e la colpa non è l’abbandonante ma l’abbandonato e di sé si pensa “non ho fatto abbastanza per trattenere quella persona”. Su questa situazione che mi sembra meno esplorata ho cercato di costruire il libro.

Vitucci: Per il tuo primo romanzo (ben piú autobiografico del secondo) hai scelto non casualmente la terza persona. Da cosa nasce la scelta della prima persona per Addio fantasmi?

Questo è un libro in cui avvengono tante cose, ma avvengono tutte nel cervello e nella voce di Ida, che sono un cervello febbrile, una voce ossessiva e quindi il ritmo degli avvenimenti non è dato da quello che succede fuori, ma dalla scansione dei giorni e delle notti, da dettagli apparentemente innocui quali oggetti che lei ritrova in casa: piccoli silenzi nei dialoghi con la madre, ricordi, sogni; quindi era un ritmo interiore e vorticoso per me. La prima persona non era utile, era indispensabile; questo libro non avrebbe potuto essere scritto in altro modo poiché questo libro è ambientato nella mente di Ida, nelle parole di Ida.

Vitucci: C’è un episodio di Addio fantasmi che mi ha colpito tanto. Ida, adolescente, dopo la scomparsa del padre va a scuola, in un giorno di pioggia torrenziale e arriva con le scarpe bagnate fradicie. E queste scarpe bagnate la fanno sentire esposta, fragile come se nessuno la proteggesse ed è chiaramente collegato al vissuto di Ida, c’è un elemento simbolico molto significativo. Non ho potuto non pensare a un episodio de Le piccole virtù di Natalia Ginzburg, Le scarpe rotte, in cui Ginzburg racconta che lei e la sua amica (Angela Zucconi) riescono a vivere serenamente anche con le scarpe rotte, mentre la famiglia da cui proviene è borghese e si scandalizza che lei possa vivere con queste scarpe. Volevo sapere quanto questo sia un omaggio a Natalia Ginzburg e quanto Ginzburg ti abbia condizionato.

Natalia Ginzburg ha segnato veramente la mia vita come lettrice. Ovviamente è una scrittrice che ho incontrato molti anni fa. La forte sensazione che io ricordo di me lettrice di Ginzburg è questa: era la prima volta in cui leggevo qualcosa che era completamente ambientato dentro le mura domestiche, peraltro nella vera vita dell’autrice e quindi ho capito che quella cosa si poteva fare. Sicuramente per quanto riguarda le scarpe di Ida dentro cui entra l’acqua il mio riferimento erano le scarpe rotte, anche se poi ho notato che lí dentro c’è entrata anche «l’acqua nelle scarpe» di Vittorini, che è in Conversazione in Sicilia. Conversazione in Sicilia è un libro magnifico, è un libro di un uomo che torna in Sicilia: anche lí c’è una casa, una madre, un abbandono del padre. Torna quell’anno, dice di essere in preda ad astratti furori, prende il treno da Milano senza un motivo, lascia la moglie, la bambina e va, torna a casa dove c’è questa madre molto aspra, molto dura un po’ come la madre di Ida o piú dura, e vivono dentro questa casa per qualche giorno. Lui la segue, lei va in giro a curare come una sorta di infermiera del paese e parlano piano piano e affiora nuovamente l’abbandono del padre; quindi è chiaramente un libro a cui io mi sono ispirata, anche se il mio personaggio è molto diverso: è una donna, scende in Sicilia per un motivo, non per astratti furori, perché c’è un tetto che cade, però il filo rosso di questo viaggio di ritorno è molto molto simile. Quindi Ginzburg e Vittorini sono sicuramente tra i miei numi tutelari, tra gli scrittori che io tengo da conto ogni volta che scrivo.

Alunno: Nel suo libro lei parla di questa impossibilità di parlare del dolore per Ida e la madre dovuto alla scomparsa del padre. Nello stesso articolo di Natalia Ginzburg presentato dalla professoressa (Senza fate e senza maghi), si parla del fatto che le paure vengono rimosse nella nuova collana Einaudi per bambini del 1972, perché si pensa che potrebbero traumatizzare i bambini. La mia domanda è: perché secondo lei è difficile comunicare una verità anche dura come può essere il dolore, perché è difficile parlarne?

Perché viviamo in un mondo pieno di rimozioni, in cui c’è paura di tutto, di tutto ciò che potrebbe turbare. Non si capisce che questo moltiplica i turbamenti e li rende tra l’altro ingestibili se non accettiamo di essere fatti di pulsioni ingovernabili; in questo la psicanalisi aiuta moltissimo perché è lo strumento di chi desidera acquisire delle consapevolezze: arrivare a conoscersi talmente a fondo da capire che i problemi e le difficoltà non si risolvono da sole ma che si può diventare talmente forti da viverci in mezzo. Credo sia veramente interessante, anche da un punto di vista letterario, leggere Freud perché L’interpretazione dei sogni è un libro bello come sono belli i libri sui miti dell’antica Grecia, perché è un libro che racconta i sogni come se fossero favole, come se fossero miti, quindi nella loro anarchia, nel loro significato simbolico che è sempre un po’ diverso da quello che noi viviamo.

C’è un libro pubblicato da Adelphi che è sull’interpretazione dei sogni nel mondo greco, nel mondo classico ed è interessante anche quello perché fa vedere molto chiaramente il legame tra i sogni e la mitologia; il mito è un luogo dove succedono le cose piú terribili: madri che ammazzano i figli, figli che giacciono con madri e tutto questo ci sembra possibile, non ci sembra volgare come ci riferiscono le foto dei giornali, perché tutto questo sta su quel piano del simbolico che è dove può stare e noi lí ci acquietiamo perché sentiamo che tutte le nostre pulsioni piú profonde vanno al loro posto.

Alunna: Dopo che ha finito di scrivere il libro si è immaginata una conclusione per il padre?

Io ho avuto subito chiaro che questo libro non era un giallo: quindi non mi interessava che il corpo del padre fosse ritrovato o che si sapesse davvero che fine avesse fatto, perché il nucleo di questo libro non è che fine ha fatto il corpo del padre, ma è come posso io Ida, figlia, adolescente diventata grande in mezzo a questa scomparsa, porre fine all’ossessione o comunque provare a trasformarla in un dolore che non mi tenga sequestrata, un dolore che cammini con me, passeggi con me, perché pure i nostri dolori ci costituiscono. Noi non dobbiamo aspirare a eliminarli perché sono parte di noi, se vanno via i dolori vanno via pure i momenti felici che li hanno sorretti, va via una parte di noi. E quindi non mi sono mai davvero risposta su che cosa davvero fosse accaduto, perché per me non è un libro su che cosa davvero è accaduto ma è un libro su cosa accade dentro questa donna. Prendo per buona la risposta di Ida che il padre fosse ritornato all’acqua, avesse voluto volontariamente abbandonare la vita e darsi al mare. Ebbene se questa è stata la spiegazione che si è data Ida, questa è la spiegazione che mi sono data anch’io.