Come l’uomo plasma la sua casa nel corso di una vita, cosí generazioni di uomini modificano le città nei secoli, rendendo visibile il rapporto tra il luogo e chi lo abita. Se persone diverse costruiscono rapporti diversi con sé stessi e i loro simili, lo faranno anche con lo spazio che occupano, ed è per questo che luoghi costruiti con i medesimi elementi – abitazioni, negozi, strade, portici, alberi, a volte un fiume – risultano cosí distanti tra loro.
Le città sono risposte a domande degli uomini, dice Calvino. Come loro, hanno anime diverse, se fondate su un insediamento millenario, nel fondo di una valle morbida, oppure ricostruite dopo essere state rase al suolo dalla violenza di una guerra; se la prima casa sul pendio di una montagna è stata tana solitaria di un uomo a cui si sono aggiunti i suoi simili, oppure capanna sul mare che ha ospitato da subito il progetto collettivo di un gruppo. Chi ha immaginato per primo quella città? Spesso la visione è già realtà ancora prima di farsi tale, perché in sé porta il seme di ciò che sarà. Con quale progetto è stata tracciata la prima strada? È stato il passaggio degli uomini a creare il sentiero o qualcuno ha disegnato linee sulla mappa, creando confini che faticano ad attecchire?
L’inizio di tutto, l’energia contenuta nella fondazione arriva al presente scivolando tra i muri, attraverso le generazioni, lungo gli anni e i secoli, con lo scambio che sempre accade tra gli elementi. Cosí parlare di una città diventa parlare delle storie che contiene: alcune di esse non avrebbero potuto capitare in nessun altro luogo, poiché sono legate a doppio filo al posto che le ha viste nascere e srotolare il loro potenziale espressivo lungo quelle strade.
La città dei vivi, Nicola Lagioia: perché il libro è la ricostruzione magistrale di un fatto di cronaca ma soprattutto un’indagine sull’anima oscura di Roma, la città che piú di altre evoca il passato e ciò che nel passato nascondiamo.
Trilogia di New York, Paul Auster: perché la New York alterata di Auster è l’ambientazione per tre storie di mistero e solitudine. Apparentemente sfondo di racconti polizieschi, la città è in realtà labirinto di specchi postmoderno, in cui gli uomini si perdono e faticano a ritrovarsi.
Trilogia della città di K., Agota Kristof: perché è un capolavoro di tecnica narrativa, di invenzione e perfetto meccanismo a orologeria. Qui la città è un non-luogo, che pesa cupa sulle spalle lungo il cammino, liberarsene è impossibile.