Per l’Oxford Dictionary Brainrot è la parola del 2024. Spappolamento del cervello. La causa è un consumo eccessivo di materiale spazzatura, banale, di breve durata e poco stimolante. Ne siamo tutti vittime. Se la realtà contemporanea è cosí simile all’inferno di Bosh, è comprensibile da dove nasca la tentazione di azzerare la nostra capacità di pensare e, di conseguenza, di soffrire. È un’illusione, certo. Come quando da bambini la nonna ci dava acqua e zucchero dicendo che poi saremmo guariti.
Ma in mezzo al caos c’è una salvezza. Un antidoto autentico per proteggerci dal desiderio di annullarci. E sono le storie. Le storie ci rendono umani. Prendono il caos e gli danno un ordine.
I racconti sono uno squarcio. Un’apertura attraverso cui sbirciare in un altro mondo e intuirne un frammento. E se le storie sono l’antidoto alla disperazione, i racconti sono l’elisir piú immediato. In un racconto ogni parola conta, a dimostrazione che la brevità non è solo caratteristica di contenuti “spappolacervello”. È, se usata bene, un’immensa ricchezza. Ecco perciò quattro raccolte di racconti che per me sono luoghi in cui poter sempre tornare con la certezza di trovare un rifugio.
Beppe Fenoglio, Tutti i racconti
Il gorgo in cui un figlio salva il padre perché è l’unico che intuisce dalla reticenza nei suoi gesti, il dolore che nasconde. Tre pagine appena; folgoranti.
Ma il mio amore è Paco in cui una moglie salva il marito che guarda sull’orlo del pozzo pensando di lasciarsi cadere dentro e lo convince a tornare indietro chiedendogli: «Hai già preso il caffè?»
L’erba brilla al sole uno dei racconti di resistenza piú belli. Un piede ferito che lascia tracce di sangue, le rassicurazioni di un amico, una lettera d’addio scritta prima della fucilazione sul foglio di un quaderno sopra un davanzale granuloso e la matita che perfora la carta.
Edgar Allan Poe, I racconti
Il cuore rivelatore: un gioiello che fa precipitare nel vortice della nevrosi, al ritmo del suono di un cuore che continua a battere, nonostante sia nascosto sotto le assi del pavimento.
Il sistema del dott. Catrame e del prof. Piuma: in cui si pone la sempre valida domanda «chi è il vero pazzo?»
Il gatto nero: perché non c’è limite agli abissi di crudeltà di cui un uomo può essere capace. Ma, a volte, la giustizia arriva. Magari da un gatto nero con un occhio solo e una strana macchia sul petto.
J.D Salinger, Nove racconti
Un giorno ideale per i pesce banana: un dolore che non si riesce a dire, una pistola nascosta in una valigia, una bambina a cui raccontare una storia inventata, ma talmente reale che s’infiltra nella realtà in una visione (come fanno le storie migliori). C’è tutta l’umanità qui dentro.
Per Esmè con amore e squallore: un soldato incontra una bambina di tredici anni, Esmè che gli fa promettere di scrivere un racconto che raccolga in sé l’amore e lo squallore. Poi uno spazio vuoto – a volte ciò che non si dice può essere piú importante di ciò che si dice – e ritroviamo lo stesso soldato dopo la guerra, distrutto, disumanizzato. Ma che ritrova l’innocenza e la fiducia nel futuro in una lettera firmata da Esmè.
Alice Munro, Lasciarsi andare
I personaggi di Munro sono piú vivi che mai. Terribilmente umani e anche capaci di crudeltà. Con spietatezza, Alice Munro ti fa accorgere che assomigli a loro molto piú di quanto vorresti.
Miles City, Montana: una famiglia disfunzionale (ma non lo sono in fondo tutte le famiglie?), una bambina che cade in piscina, una casualità che salva per caso l’integrità familiare dall’abisso de «la piú banale delle tragedie», il rendersi conto della precarietà delle cose e il sollievo che coglie nell’accorgersi di essere – ancora una volta – sopravvissuti.
La stagione dei tacchini: l’umanità disperata e piena di vita di un gruppo di sventratori di tacchini raccontata dalla voce di una quattordicenne che, per il periodo natalizio, trova un impiego alla Casa del Tacchino.
Non avere paura. O, forse, in verità averne da impazzire, ma andare avanti nonostante tutto. Questo è ciò che accomuna i prossimi libri che ho scelto: due romanzi e un saggio.
Niccolò Ammaniti, Io non ho paura
L’incoscienza e il coraggio che abbiamo da ragazzi e che, se riusciamo a coltivarli anche da adulti, ci rendono davvero grandi.
Siamo ad Acqua Traverse. Un paesino di campagna di pochissime case. È estate, il caldo è torrido. Sembra che le avventure, da bambini, possano avvenire solo d’estate. In quel limbo rovente di possibilità in cui, lontano dai grandi, si vivono imprese incredibili e si inizia a crescere davvero. Tutto il mondo di Michele Amitrano e dei suoi amici è campi di grano, colline su cui fare gare di velocità, biciclette sgangherate e storie spaventose da inventare. Ma il vero spavento sta in quello che nascondono i grandi: un bambino dentro una buca. Un bambino rapito, Filippo, di cui Michele inizia a prendersi cura in segreto. E che, con innocenza e coraggio, proverà a salvare.
Goliarda Sapienza, L’arte della gioia
La capacità di abitare senza vergogna il nostro corpo e costruire per noi stessi e noi stesse la vita che piú ci somiglia.
Al centro di questo romanzo c’è il corpo di Modesta. È nucleo, radice, catalizzatore di cambiamento. È rivoluzione. Avrei voluto leggere questo libro a diciotto anni, nel pieno della lotta con il mio corpo e con gli sguardi degli altri che sentivo addosso, i loro giudizi.
Goliarda Sapienza non ha paura di descrivere anche l’orrore della violenza, persino la piú indicibile, immonda. Modesta muore e rinasce di continuo ne L’arte della gioia. È una fenice. Non viene mai rinchiusa nel ruolo di vittima. È anche capace di crudeltà, di ingannare e nascondersi dietro maschere sempre nuove passando attraverso quelle che sembrano innumerevoli vite: dalla casa bruciata di un dimenticato paese siciliano, al convento. Fino alla villa dove la chiameranno Principessa. Diventa amante di uomini e donne. Madre, dei figli propri e di quelli altrui. Si appassiona di libri e usa le parole come arma di resistenza.
Michela Murgia e Chiara Tagliaferri, nella puntata del podcast Morgana dedicato a Goliarda Sapienza dicono di Modesta: «Tutto ciò che intralcia il desiderio dell’eroina deve soccombere all’insegna della sua indipendenza. Modesta è corpo e azione. Uccide, ama, lotta, tradisce, si oppone a tutto ciò che non le restituisce l’immagine di sé che la rispecchia».
Modesta è tutto ciò che vuole. Diventa militante antifascista, socialista rivoluzionaria. Finisce in prigione come dissidente politica. Decide da sé come amministrare la famiglia, il patrimonio, l’amore. Il corpo di Modesta è la sua resistenza. Senza mai vergogna. A dispetto di quello che cercano di dire gli altri. Perché il nostro corpo ci appartiene e nessuno può dirci come usarlo, plasmarlo, viverlo.
Benedetta Tobagi, La Resistenza delle donne
L’eredità che ci ha lasciato chi ha combattuto e resistito per la libertà.
La storia della resistenza seppellita, dimenticata, ignorata. Quella delle donne che hanno preso parte alla lotta partigiana. Un saggio che raccoglie fotografie da cui partono e s’intrecciano storie, testimonianze, tragedie e speranze. Una lotta per la libertà affrontate dalle cosiddette «donne comuni» che, dice Benedetta Tobagi, «prendono la retorica della femminilità morbida e rassicurante esaltata dalla propaganda fascista e gliela ritorcono contro».
In un mondo che sembra farsi ogni giorno piú disumano e crudele, non bisogna avere paura delle storie. Nemmeno delle piú crudeli e spietate. Le storie che scuotono infondono l’aspirazione alla libertà, fanno nascere il desiderio di impegnarsi a sviluppare un pensiero critico, indipendente, svincolato da regimi e auctoritas. Se qualcuno teme che un pensiero simile possa svilupparsi nei giovani, forse la sua vera paura è che quegli stessi giovani, prima o poi, saranno in grado di sbugiardarlo, dire ad alta voce: «L’imperatore è nudo» e ridere della sua stupidità.
Buone letture!