Maestro nell’intrecciare le vivaci e allucinate descrizioni dei bassifondi londinesi agli oscuri indizi di drammatici segreti e turpi misfatti, Dickens ci ha regalato un romanzo travolgente che continua ad affascinare i lettori di ogni età.
Le avventure del piccolo Oliver, cresciuto in un ospizio, maltrattato in un’impresa di pompe funebri, reclutato a Londra da una banda di ladri, non sono solo una superba galleria di celebri figure dickensiane che non dimenticheremo mai (Fagin, il capo della banda di giovani delinquenti, l’assassino Sikes, la prostituta Nancy, il misterioso e malvagio Monks), ma anche un magnifico racconto sull’innocenza oppressa e uno splendido ritratto di un mondo e di un’epoca.
Benché io non sia disposto a sostenere che l’esser nato in un ospizio di mendicità sia, considerata in sé e per sé, la piú fortunata e invidiabile circostanza che possa mai capitare a un essere umano, debbo pure ammettere che, nel caso particolare, fosse pure la miglior ventura che poteva toccare a Oliver Twist. Il fatto sta che fu un poco difficile indurre Oliver ad assumersi il compito della respirazione – funzione fastidiosa, ma che il costume ha reso necessaria al facile sviluppo della nostra esistenza – e per qualche tempo egli se ne stette lí, inegualmente librato fra questo mondo e l’altro, con una decisa oscillazione verso l’altro, a boccheggiare su un materassino di lana. Ora se, durante quel breve periodo, Oliver fosse stato circondato da nonne ansiose, da zie sollecite, da infermiere esperte e da dottori di profonda dottrina, sarebbe stato inevitabilmente e indiscutibilmente ammazzato in quattro e quattr’otto. Ma siccome non v’era lí accanto a lui che una misera vecchietta, alquanto annebbiata da un’insolita razione di birra, e il chirurgo municipale, incapace di scaldarsi troppo nel suo mestiere, la partita rimase a decidersi fra Oliver e la Natura. E il risultato fu che, dopo un po’ di armeggio, Oliver respirò, sternutí, e passò a proclamare ai ricoverati dell’ospizio che un nuovo onere era imposto al Comune.
«Dickens attaccò le istituzioni inglesi con una ferocia senza precedenti all’epoca. Eppure, riuscí a farlo senza farsi odiare, e, soprattutto, a farsi apprezzare e lodare dalle stesse persone che aveva criticato, in modo da divenire egli stesso una istituzione nazionale» (George Orwell).
«Non amare Dickens è un peccato mortale: chi non lo ama, non ama nemmeno il romanzo» (Pietro Citati).
Numerosissimi sono stati gli adattamenti teatrali e cinematografici. L’ultimo, del 2005, è stato realizzato da Roman Polański: