Chimamanda Ngozi AdichieL’ibisco viola

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Kambili ha quindici anni. Vive a Enugu, in Nigeria, con i genitori e il fratello Jaja. Suo padre Eugene, proprietario dell’unico giornale indipendente in un Paese sull’orlo della guerra civile, è agli occhi della comunità un modello di generosità e coraggio politico: conduce una battaglia incessante per la legalità, i diritti civili, la democrazia. Ma nel chiuso delle mura domestiche, il suo fanatismo cattolico lo trasforma in un padre padrone che non disdegna la violenza.

Cosí Kambili e Jaja crescono in un clima di dolorose contraddizioni fino a che, dopo un colpo di Stato, non vanno a vivere dalla zia Ifeoma. E nella nuova casa, tra musica e allegria, i due ragazzi scoprono una vita fatta di indipendenza, amore e libertà: una rivelazione che cambierà il loro futuro.

L’ibisco viola, opera d’esordio di Chimamanda Ngozi Adichie, racconta le trasformazioni civili e politiche del postcolonialismo, ma è anche un romanzo sulla linea sottile che divide l’adolescenza dall’età adulta, l’amore dall’odio.

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Con L’ibisco viola l’autrice ha vinto il Commonwealth Writers’ Prize per la categoria First Best Book.

«La storia delicata e toccante di un bambino che ha conosciuto troppo presto l’intolleranza religiosa e il lato piú oscuro del suo Paese, la Nigeria» (J. M. Coetzee).

«Mi piacciono le storie che attingono alla vita reale, al vissuto e poi si aggiunge qualcosa di immaginario. Amo le storie con una bella trama, ma senza eccessi di azione, l’importante è che succeda qualcosa, soprattutto dentro il personaggio. Amo l’introspezione, la profondità, le storie che entrano nell’anima»: ha raccontato la scrittrice nell’intervista di Luca Mastrantonio pubblicata su «Sette – Corriere della Sera».

«Chimamanda Ngozi Adichie è riuscita nel compito non facile di conferire a L’ibisco viola un respiro antropologico di notevole interesse ma che tuttavia non ne rende faticosa la lettura, che al contrario concorre a scavare profondità nella pagina e a sfaccettare lo spessore dei suoi personaggi, la loro umanità cosí diversa e insieme cosí simile, cosí unica eppure cosí universale» (poetarumsilva.com).

In uno degli interventi a TED, l’autrice racconta come «grazie a scrittori come Chinua Achebe e Camara Laye, la mia percezione della letteratura è cambiata. Ho capito che pure persone come me, ragazze con la pelle color cioccolato, i cui capelli ribelli non potevano formare code di cavallo, potevano esistere in letteratura. Ho iniziato a scrivere di cose che riconoscevo […] Dunque ciò che fece per me la scoperta degli scrittori africani fu questo: mi salvò dall’avere un’unica storia».