Le nuove tecnologie hanno creato una rivoluzione anche nella musica. Come evitare che soffochino la creatività dei compositori e riducano gli ascoltatori all’analfabetismo?
L’avvento di Internet ha rappresentato una vera e propria rivoluzione nel mondo della musica. L’opportunità strabiliante di usare linguaggi musicali provenienti da ogni tempo e luogo ha rimescolato il concetto stesso di composizione, aprendo un ampio ventaglio di fusioni stilistiche e contaminazioni. Ciò presuppone grande responsabilità da parte del compositore, nonché il rischio di incorrere nell’esplorazione superficiale di un catalogo cosí pericolosamente vasto, smarrendo un requisito fondamentale: il senso critico.
La soglia di attenzione e la capacità di concentrazione diminuiscono progressivamente di fronte alla logica di Spotify, un incessante crossover tra generi, che intacca l’archetipo di «storia musicale». I componimenti che richiedono un tempo d’ascolto lungo e ponderato mal si conciliano con questo metodo spasmodico. È ancora possibile qualche forma di resistenza alla continua accelerazione della fruizione musicale, arrestando cosí la nostra trasformazione in veri e propri analfabeti sonori?
Leggi un estratto.
«Questo libro si pone parecchie domande, cercando di far chiarezza su troppi luoghi comuni che da decenni infestano il mondo della musica classica, in particolare quella cosiddetta “contemporanea”: musica elitaria e difficile, si dice su giornali e programmi televisivi, finanziata con i soldi di tutti ma destinata a pochi, una forma d’arte che richiederebbe chissà quale specializzazione per poter essere apprezzata e cosí via. Naturalmente si tratta di solenni sciocchezze» (Carlo Boccadoro su «la Stampa»).
«Il garbo narrativo e l’ironia con cui costruisce la sua difesa della cosiddetta musica colta, trascina il lettore in un’argomentazione piacevolissima e convincente» (Diego De Silva su «Il Mattino»).
«Boccadoro stigmatizza gli assiomi semplicità/piacevolezza contro complessità/sgradevolezza. Il primo non incrina certezze e intrattiene in nome della semplificazione; il secondo ci mette davanti alle progressioni armoniche di un tempo significativo di vivere in cui ritrovare noi stessi» (Angelo Di Liberto, «la Repubblica»).
«Un appassionato J’accuse» («Left»).
«Una riflessione sul rapporto tra la musica e il presente» (Annarita Briganti, «la Repubblica»).
Carlo Boccadoro parla del suo saggio al TG5: