L’Amleto, l’opera più famosa di Shakespeare, ancor piú di altri classici, è «nostro contemporaneo» e nella figura del protagonista racchiude il paradigma dell’uomo moderno.
L’assassinio del padre e la sfrenata sensualità della madre inducono il giovane Amleto a sentirsi prigioniero in un mondo di inganni e corruzione, ma le molte angustie e indecisioni non gli impediscono di portare a termine la propria vendetta.
In questa opera immortale si contrappongono due strutture. Una drammatica, di azione, riferita all’argomento; un’altra essenzialmente lirica, di riflessione, condensata nei monologhi del principe di Danimarca. Una esterna, cioè la tragica vendetta; e l’altra interna, nella mente di Amleto, nei suoi pensieri e nei suoi dubbi.
Essere o non essere: questo è il problema. Se sia piú nobile soffrire nell’animo i colpi e le frecce della fortuna oltraggiosa o impugnare le armi contro un mare di guai e affrontandoli porre fine ad essi. Morire… dormire… nient’altro. E con un sonno porre fine agli strazi del cuore e alle mille naturali battaglie che eredita la carne. È una fine da desiderarsi devotamente. Morire, dormire; dormire, sognare forse. Sí, l’ostacolo è questo: perché quali sogni possano sopraggiungere nel sonno della morte, dopo che ci siamo sbarazzati degli affanni della vita mortale, è cosa che deve farci riflettere.
L’Amleto è stato oggetto di numerosissimi adattamenti teatrali e cinematografici. Una delle prime versioni italiane è stata quella del regista Luigi Squarzina (1954); ad interpretare Amleto, Vittorio Gassman.
Gassman a proposito dell’opera:
Uno degli ultimi adattamenti teatrali, trasmesso poi nelle sale di 25 diversi paesi, è quello realizzato nel 2015 dal National Theatre di Londra, in occasione del quattrocentesimo anniversario della morte di William Shakespeare: