È il febbraio del 1945 e la guerra sta finendo. Un battaglione di partigiani garibaldini sale alle Malghe di Porzûs, sulle prime colline del Friuli. Lí c’è lo Stato Maggiore del Gruppo Brigate Est dell’Osoppo, altra formazione partigiana, ma di orientamento non comunista, guidata da Francesco De Gregori detto Bolla. I garibaldini disarmano il comandante De Gregori e lo giustiziano. Insieme a lui uccidono anche il delegato politico Gastone Valente, un giovane partigiano che tenta la fuga e una ragazza indicata da Radio Londra come spia al soldo dei nazisti. Si chiama Elda Turchetti. Poi fanno prigionieri altri quattordici osovani, tutti uccisi nei giorni seguenti.
L’evento è ricordato come «l’eccidio di Porzûs», ed è stato per decenni uno dei piú controversi, oscuri e problematici della storia della Resistenza italiana. Ma se molto si sa su quegli uomini, la storia ha quasi cancellato le tracce della vita di Elda Turchetti. A puntare una luce su di lei, e sui fatti che la videro protagonista, è Elisa Menon, con questo romanzo d’esordio che si inserisce in un modo tutto suo nel filone della letteratura sulla Resistenza partigiana. Ma Elisa Menon racconta anche la storia di Gino detto Lula, uno dei giovani garibaldini saliti alle malghe per la resa dei conti finale, l’uomo che molti anni dopo diventerà suo nonno. Elda e Gino due facce della stessa medaglia, entrambi indifesi e allo stesso tempo colpevoli, entrambi ingranaggi di un meccanismo che non concede appelli.
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Il romanzo ha ricevuto una menzione speciale al Premio Italo Calvino: «Focalizzato su uno dei momenti piú tragici degli anni partigiani, Guance bianche e rosse ricostruisce il profilo di una giovane donna cancellata dalla memoria. Una narrazione dal ritmo serrato che penetra nella grande storia attingendo con pietas alla storia personale».
L’autrice racconta il romanzo:
«Questo libro è la testimonianza di ciò che dovrebbe fare la letteratura quando incontra la storia, provare a riempire gli spazi bianchi indagando lo spirito umano» (Matteo Moca, «tuttolibri – La Stampa»).
«Il romanzo si distingue per la cura della prosa, la maturità di uno sguardo che se ne infischia dell’eroismo, ma che trasmette l’esigenza di raccontare la durezza della vita durante la guerra, l’ingiustizia che si abbatte su chi non può decidere nulla perché il suo destino è quello di obbedire alla fame o a un ordine ingiusto» (Laura Marzi, «il manifesto»).
«Un romanzo che si stacca per qualità mettendo in campo allo stesso tempo un importante avvenimento storico, una gigantesca questione etica, una lingua sapiente, e dei personaggi dominati dall’ambivalenza» (Andrea Pomella su doppiozero.com).
