Una riflessione inattesa su due parole che non godono di buona fama. Un’allegra celebrazione della nostra umanità.
Fin da bambini ci raccontano che se sbagli prendi un brutto voto; se sbagli non vieni promosso e non fai carriera, in certi casi addirittura perdi il lavoro; se sbagli perdi la stima degli altri e anche la tua. Sbagliare è violare le regole, sbagliare è fallire. Per l’ignoranza, se possibile, i contorni sono ancora piú netti: l’ignoranza relega alla marginalità. E quando si passa dalla definizione della condizione (ignoranza) all’espressione che indica il soggetto in quella condizione (ignorante), il lessico acquista il connotato dell’offesa.
In realtà, l’errore è una parte inevitabile dei processi di apprendimento e di crescita, e ammetterlo è un passaggio fondamentale per lo sviluppo di menti aperte e personalità equilibrate. Cosí come osservare con simpatia la nostra sconfinata, enciclopedica ignoranza è spesso la premessa per non smettere di stupirsi e di gioire per le meraviglie della scienza, dell’arte, della natura.
«Nel suo ultimo, prezioso libello, Gianrico Carofiglio cerca di spiegare agli umani che fallire è premessa inevitabile e indispensabile di ogni processo di apprendimento, e che riconoscere gli errori contribuisce a renderci persone migliori» (Massimo Giannini, «il venerdí»).
L’intervista di Francesco Mazzotta sul «Corriere del Mezzogiorno».
L’autore racconta il libro a Che tempo che fa
al programma di La7 In altre parole
e a Quante storie.