Paolo MalagutiSul Grappa dopo la vittoria

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Un ragazzo che non ha ancora compiuto undici anni sale sul monte Grappa a recuperare rame, piombo, viveri in scatola, perché in pianura, a Sant’Eulalia, la fame fa paura. A fargli compagnia, durante l’ascesa, non trova piú i pascoli di quando era andato col padre, prima della guerra. Salire sul Grappa dopo la vittoria è uno spaesamento. Il verde è scomparso, ovunque domina il nero della terra scossa. I cunicoli e le trincee sono cicatrici di una montagna ferita. Come ferito è il padre, non piú il gigante che dominava i sentieri, ma un uomo stanco che cammina sotto un peso invisibile.

Forse è per questo che ha fatto di suo figlio un recuperante. Al padre interessa che il ragazzo veda. In cima al Grappa, i cadaveri sono coperti dalla neve assieme allo stagno delle gavette e al cuoio degli stivali. Di fronte a quei pallidi simulacri di uomini, il giovane non scorge eroi, ma solo vittime di una gigantesca macchina tritacarne. Adesso che ha conosciuto l’orrore, capisce suo padre che tace.

Con una voce intima e delicata, Paolo Malaguti riporta in vita cose e persone di un mondo scomparso ma ancora carico di significato. Un romanzo polifonico che lascia un senso di pace.

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Si parla tanto, e giustamente, di quei morti che la guerra mandò nei cimiteri, ma ci si dimentica di coloro che sono tornati a casa e che hanno vissuto, ma vuoti come cadaveri e silenziosi come fantasmi. Fortunatamente mi dominava una curiosità del domani tale da non permettermi di sostare di fronte alla distruzione. La guerra mi offrí, con il dissesto che portò con sé, un’opportunità di libertà che difficilmente tocca a un bocia di undici anni.

«Essere in grado di raccontare quello che non vedremo mai – e che non riusciamo a immaginare – è un dono prezioso, e Malaguti ce lo restituisce come una testimonianza luminosa» (Federica Bassignana, «Il Foglio»).