Dopo il successo internazionale de Il treno dei bambini e di Oliva Denaro, Grande meraviglia completa un’ideale trilogia del Novecento. In questo magnifico romanzo di formazione, il legame di una ragazzina con l’uomo che decide di liberarla rivela il bisogno tutto umano di essere riconosciuti dall’altro, per sentire di esistere.
Elba ha il nome di un fiume del Nord: è stata sua madre a sceglierlo. Prima vivevano insieme, in un posto che lei chiama il mezzomondo e che in realtà è un manicomio. Poi la madre è scomparsa e a lei non è rimasto che crescere, compilando il suo Diario dei malanni di mente, e raccontando alle nuove arrivate in reparto dei medici Colavolpe e Lampadina, dell’infermiera Gillette e di Nana la cana. Del suo universo, insomma, il solo che conosce. Almeno finché un giovane psichiatra, Fausto Meraviglia, non si ficca in testa di tirarla fuori dal manicomio, anzi di eliminarli proprio, i manicomi; del resto, è quel che prevede la legge Basaglia, approvata pochi anni prima. Il dottor Meraviglia porta Elba ad abitare in casa sua, come una figlia: l’unica che ha scelto, e grazie alla quale lui, che mai è stato un buon padre, impara il peso e la forza della paternità.
Con la sua scrittura intensa, originale, piena di musica, Viola Ardone racconta che l’amore degli altri non dipende mai solo da noi. È questo il suo mistero, ma anche il suo prodigio.
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«Viola Ardone ha il raro talento di declinare in modalità fantastiche temi edificanti e battaglie civili con una scrittura ricca, spesso ammiccante, divertente e per questo anche piú incisiva, intessuta d’invenzioni lessicali e neologismi adattati ai vissuti dei suoi “io” narranti» (Titti Marrone, «il mattino»).
«Riannodiamo cosí i fili della storia. Che, al fondo, è un affresco potente della libertà e del prezzo che si paga, sempre, per conquistarla. Vale per le donne, ma anche per gli uomini. E la via per l’emancipazione che a loro sembra suggerire Ardone sta proprio nella paternità: saperla reinterpretare, nella presenza e nella dolcezza, assurge a via maschile per uscire dalle gabbie» (Manuela Perrone, «Il Sole 24 Ore»).
«Un libro davvero importante» (Walter Veltroni su «7 – Corriere della Sera»).
«Viola Ardone traccia un nuovo alfabeto emotivo perché la follia, per essere comunicata, ha bisogno di un vocabolario sincero e autentico» (Federica Bassignana, «Il Foglio»).
«Un viaggio attraverso gli anni e le storie di chi, da posizioni diverse, ha vissuto, piú che la chiusura dei manicomi, la deistituzionalizzazione della malattia mentale» (Vanessa Roghi, «il manifesto»).
«Viola Ardone, ancora una volta, parla di cose serissime con il tono leggero delle nuvole e del vento, prendendo per mano il lettore in modo che non abbia paura mai, neanche nei corridoio del manicomio, nella stanza “elettrica”, nei cortili disperati» (Cristina De Stefano, «Elle»).
Edgardo Gulotta intervista la scrittrice su «La7»:
Viola Ardone è stata ospite a Rai News e al programma di Rai Radio3 Fahrenheit.
Su RepTV l’autrice si racconta e ci dice di piú sul modo di intendere e insegnare la scrittura e di lavorare a contatto con le nuove generazioni.