Liceo Leonardo da Vinci, Terracina (LT)
Classe: III B
Docente: Sandra di Vito
Il saggio Le lacrime degli eroi è stato scritto da Matteo Nucci ed è diviso in tre parti (Nostalgia, Ira e Morte), precedute da una prima sezione intitolata L’età perduta e concluse da una sezione intitolata L’età del rimpianto. L’autore ci propone un vero e proprio viaggio all’interno dei poemi omerici, Iliade e Odissea, concentrandosi sul filo rosso delle lacrime.
Già nelle prime pagine troviamo una scena molto significativa riguardante il pianto: ci troviamo nel Ceramico, ad Atene, città afflitta da molti mesi dalla peste, considerata ormai (dal punto di vista di Pericle) «una semplice dispensatrice di morte». Qui, Pericle, «eroe» della democrazia e dell’età classica, procede lentamente, circondato dalla folla verso la «prova decisiva». La peste, infatti, gli ha portato via il figlio piú giovane, il piú amato, Paralo, e Pericle, di fronte a quell’immenso dolore, piange, lasciando emergere tutta la sua fragilità. Con queste pagine di apertura, capiamo i due significati principali del titolo L’età perduta: l’età di cui si parla è quella che Paralo perde morendo, prima di vivere tutti gli anni che avrebbe ancora potuto vivere. Ma l’età perduta non è solo quella di Paralo, è soprattutto l’età delle «lacrime degli eroi». Nell’età omerica, infatti, gli eroi piangono senza vergogna, il pianto è segno della loro autenticità e umanità, per niente in contraddizione con la loro idea di coraggio ed eroismo. Nell’età classica, e quindi di Pericle, si perde questo ideale: qui il pianto è segno di debolezza, tanto che Pericle viene deriso da molti. Con la scoperta della sua fragilità Pericle perde il suo «dominio morale»; piangendo perde il consenso di coloro che, sempre offuscati dal giudizio del tempo, rinnegano le lacrime.
Tutto il contenuto del libro ruota quindi attorno alle lacrime. L’autore, tramite molti esempi tratti dai poemi omerici, ci spiega quella che potremmo definire «la tesi omerica» a proposito delle lacrime, e condivisa dall’autore stesso, e cioè che gli eroi sono eroi nonostante piangano. Gli eroi piangono e non se ne vergognano. E c’è di piú: solo chi è capace di piangere è davvero un uomo, un eroe; l’atto supremo del coraggio è il pianto. Il pianto, le «lacrime calde» (opposte alle «lacrime gelide», cioè inautentiche, false), ci fanno sentire vivi, e dopo un grande dolore, dopo esserci «saziati di pianto», ci riportano alla vita. La società in cui viviamo oggi non condivide questo pensiero, si identifica piuttosto con quello dell’età classica di Platone che nella sua Repubblica bandisce le lacrime: «i futuri governanti della città non devono abbandonarsi alla loro fragilità, non possono diventare troppo emotivi», perché un uomo politico non avrebbe quel dominio morale indispensabile per governare, come la fine di Pericle ha dimostrato. Dunque, un vero eroe non piange, perché il pianto dimostra mancanza di coraggio e temperanza, che sono le principali virtú del futuro governante.
Le lacrime degli eroi ci parlano della sostanza vitale delle lacrime, ma anche di eroi. Ma la domanda sorge spontanea: chi è eroe? Per Matteo Nucci, eroe non è colui che vince, ma colui che ci prova comunque fino alla fine, è colui che realizza, cosí facendo, la propria umanità, fatta di ragione e di emozioni. Quanti degli eroi omerici possono dire di aver vinto? Nessuno, eppure sono eroi. Tutti hanno perso molto, ma nessuno ha vinto davvero; l’esempio piú eclatante è dato dal pelide Achille. Per questo il libro è dedicato a Zdenek Zeman, allenatore della Roma non vincente, ma comunque eroico, il quale amava ripetere che il risultato è casuale, la prestazione no. Io che piango spesso condivido pienamente il pensiero di Nucci e Omero. Chi piange prova emozioni, e le emozioni non possono essere condannate. Chi ha il coraggio di piangere ha il coraggio di soffrire, e se soffri, se provi qualcosa, significa che sei vivo. Le lacrime ti fanno ricordare di essere vivo.
Syria