Lucia Olini, Verona
Ha forse frontiere o colori o sesso l’amore? Questo è l’interrogativo (retorico) che accompagna il lettore quando chiude l’ultima pagina del romanzo Sei come sei, nel quale Melania Mazzucco si inoltra nel territorio delicato della genitorialità omosessuale.
«La letteratura – ci insegna Claudio Magris – non ha doveri di coerenza ideologica, non ha messaggi da proporre né sistemi filosofici e morali da enunciare; può e deve rappresentare la contraddittoria esperienza del tutto e del nulla della vita, del suo valore e della sua assurdità» (Alfabeti, Milano, Garzanti, 2010, p. 98). La Mazzucco mostra, come sempre, di saper leggere il presente con finezza e, pur affrontando un tema scottante, al centro di controversie e di strumentalizzazioni, lo fa senza curvature polemiche: non si preoccupa di prendere posizione, né di dimostrare nulla; si limita a raccontare una storia.
Principalmente una storia d’amore, piena di sofferenze e ostacoli, ma anche di intensità e determinazione.
La protagonista, figlia desiderata e amatissima di due padri, ha la (s)ventura di restare orfana del padre anagrafico, che è anche il suo padre biologico; l’altro genitore, con il quale Eva ha un rapporto strettissimo, perché è quello che piú da vicino la segue, la accudisce, la nutre, le fa fare i compiti, non è piú nessuno per lei, secondo la legge, e dunque non può tenerla con sé. La separazione e il trasferimento della bambina presso la famiglia degli zii generano in lei, com’è prevedibile, malessere e ribellione contro il mondo. Eva, ormai preadolescente, sperimenta anche, nella nuova scuola, lo scherno volgare dei compagni, che prendono di mira la sua singolare situazione familiare, incapaci di considerare le differenze al di fuori dei pregiudizi. È proprio la sua reazione violenta al dispetto di un compagno ad avviare la vicenda, narrata attraverso una sapiente alternanza di piani temporali: la storia di Eva, dei suoi padri Giose e Christian, della loro vita e del loro amore, emerge un tassello alla volta, mentre si sviluppa anche la improbabile fuga della ragazza, alla ricerca del padre superstite, dal quale la legge l’ha separata.
Perché questo libro a scuola? La Mazzucco è scrittrice versatile, capace di esplorare la vita con grande curiosità. I suoi romanzi ci portano sulle tracce di personaggi diversissimi, tutti connotati con attenzione e affetto nelle pieghe della loro personalità, nei pensieri, nei sentimenti, nei dolori, nelle relazioni. L’approccio tematico è didatticamente efficace, e un buon ingresso nel mondo della scrittrice romana può essere proprio questo romanzo. Sei come sei ci apre uno spaccato sulla realtà: è un romanzo ma potrebbe essere l’elaborazione di un fatto di cronaca. L’interesse del romanzo nasce innanzitutto dalla sua tangenza con il presente: nel rappresentare una famiglia “diversa” la scrittrice allontana dagli stereotipi, impedisce l’approssimazione, rivela che ogni momento e ogni gesto della nostra esistenza ha ragioni profonde e spesso complicate da capire. Se valesse anche solo come antidoto contro la superficialità, già questo basterebbe a raccomandarne la lettura a scuola. Ma il libro è una grande meditazione sull’amore. In primo piano c’è quello, profondo, che lega i due padri di Eva, pur lontanissimi per estrazione sociale e per cultura, tanto che Giose capisce che Christian è «il suo opposto, come la metà di se stesso» (p. 162). Al centro del romanzo c’è poi l’educazione sentimentale di Eva stessa, costretta a sopravvivere a una separazione improvvisa e traumatica, e a difendersi da chi nasconde dietro la dedizione e la generosità l’intento probabile di “correggere” la sua adolescenza ispida e di farle dimenticare un’infanzia scabrosa, ancorché felicissima nei suoi ricordi. Il viaggio di Eva con Giose che la riporta a Milano, da dove lei era fuggita per cercarlo, è l’occasione per ricostruire il rapporto con il padre, al quale Eva non ha mai perdonato l’abbandono, per lei incomprensibile: «Io non pensavo che tu eri uno che rinuncia, lo rimprovera Eva, con amarezza. Invece hai rinunciato al cane, e hai rinunciato a me. Non te ne importava davvero, di noi» (p. 86); ancor piú Eva si accanisce contro il padre, quando, fermato dai carabinieri che lo interrogano sull’identità della ragazzina e sulla sua relazione con lei, Giose si dichiara un “amico di famiglia”: «Perché non gli hai detto la verità? […] Tu non sei un amico di famiglia! […] Sei un vigliacco, vigliacco, vigliacco! Grida Eva. Ti sta bene cosí, sei questo per me? Dovevi dirgli che sei mio padre» (p. 138). Nel ritessere la trama di un affetto dolorosamente interrotto, la giovane ritrova le sicurezze perdute; il viaggio attraverso l’Italia, segnato anche dal “passaggio” simbolico della prima mestruazione, diviene un itinerario di formazione, che porta Eva fuori dall’infanzia, e le permette di accettare il proprio bisogno di affetto e di famiglia. Il singolare rapporto, elettivo e non biologico, tra padre e figlia, mostra la forza dei sentimenti attraverso la debolezza dovuta alla mancanza di tutela giuridica e all’esclusione dalle relazioni convenzionalmente accettate. Eva rimprovera il padre di non aver mai tentato di riprendersela, dopo che il tribunale li ha separati: «Io speravo che tu venivi a rubarmi»; «Si ruba qualcosa che non ci appartiene, Eva, dice Giose. Io non voglio rubarti, tu sei mia figlia» (p. 138).
Eva è un’adolescente come tante, a disagio nel suo corpo, infastidita dai segnali della pubertà, reattiva e un po’ ribelle, indurita dalle vicissitudini che ha dovuto affrontare in una vita ancora cosí breve: «È dovuta diventare cosí, tosta e coriacea, perché il suo mondo è friabile» (p. 23). Ma una cosa la differenzia dagli altri, oltre alla sua famiglia: vuole fare la scrittrice. Scrive romanzi, nei quali non proietta se stessa, ma inventa mondi lontani e favolosi. La scrittura è un rifugio, il luogo di un’esistenza che Eva immagina al riparo dai mutamenti imprevedibili della vita, come confessa lei stessa già nel capitolo iniziale, scritto in prima persona: «Sono dei privilegiati, quelli che esistono solo nei libri. Il loro tempo ha inizio ma non ha fine, è fermo ma scorre. Nascono, ma non muoiono, raggiungono un’età, ma non la superano. Se hanno vent’anni quando il libro finisce, possono vivere per sempre giovani, come i vampiri e gli dèi. A volte vivono nel presente – accanto a noi. Abitano i nostri stessi giorni. Le loro date segnano anche la nostra vita. Ciononostante il tempo scorre a velocità diverse per noi, che siamo qui e ora, e loro – che esistono solo nel mondo di carta della letteratura» (pp. 6-7). Scrivere, per Eva, significa studiare le persone (cfr. p. 141); e questo è un tratto coerente con la sua attitudine riflessiva e introversa. La figura di quest’adolescente un po’ scontrosa, che non cerca la benevolenza dei compagni (né del lettore), ma che rivela il proprio indifeso bisogno di amore, risulta familiare ed empatica: specchio di tante esperienze di crescita faticose e complicate; non allontana, ma piuttosto induce alla riflessione, sulle relazioni e su sé stessi.
E non è esattamente questo che intendiamo fare proponendo ogni giorno la letteratura nelle nostre classi? Non è forse la lettura lo strumento privilegiato per imparare a pensare, a evitare i giudizi sommari e superficiali, a guardare le cose da punti di vista non scontati?
Questo libro suscitò polemiche quando uscí e costò molto alla scrittrice, che venne accusata addirittura di corrompere i giovani. Sono convinta che, al contrario, Mazzucco abbia intuito che questo tema doveva essere oggetto di indagine letteraria, perché troppo urgente e doloroso, per quanto arduo da affrontare.
Non credo che esistano libri in assoluto “pericolosi”, ma soprattutto ritengo che la scuola sia il luogo dell’esercizio critico, dove il sapere si costruisce collaborativamente attraverso il confronto e la riflessione, e dove la mediazione dell’insegnante può rendere la lettura un’occasione per interrogare e interrogarsi.
Non molto prima di lasciarci, cosí scriveva Antonio Tabucchi:
«La letteratura è sostanzialmente questo: una visione del mondo differente da quella imposta dal pensiero dominante, o per meglio dire dal pensiero al potere, qualsiasi esso sia. È il dubbio che ciò che l’istituzione vigente vuole che sia cosí, non sia esattamente cosí. Il dubbio, come la letteratura, non è monoteista, è politeista. Peraltro le conseguenze dei pensieri monoteisti, che non nutrono alcun dubbio, sono sotto gli occhi di tutti». (A. TABUCCHI, Elogio della letteratura, in Id., Di tutto resta un poco, Milano, Feltrinelli, 2013, pp. 11-12).
Lucia Olini insegna Lettere al liceo Messedaglia di Verona.