Irene Martino, Gioia del Colle (BA)
L’ultimo saggio di Chiara Valerio, La matematica è politica – una sorta di pamphlet polemico – pone sul tappeto questioni di primaria importanza, attraverso l’efficacia della leggerezza e la godibilità di una scrittura che riesce a essere molto accattivante e coinvolgente, pur nella forma argomentativa. Leggerezza e provocazione. Leggerezza e profondità. Leggerezza e ironia. Queste, a mio parere, le cifre costitutive di un testo che analizza modi di essere e posture mentali che dilagano nel nostro tempo e nei cui confronti il libro della Valerio ci richiama a riflessioni molto audaci, quanto necessarie.
In prima istanza, il concetto di verità. Cosa si intende per verità assoluta? E se la verità assoluta costituisse un ostacolo alla ricerca e alla sua disposizione d’animo, come la mettiamo con il sistema di verità indiscutibili cui siamo stati abituati sin dall’infanzia? E la matematica, da sempre concepita come la piú granitica delle scienze dalla maggior parte di noi, come si colloca in questo nuovo ordine di idee? Ecco che scopriamo che l’errore non è un difetto morale, ma uno dei modi per proseguire la ricerca, raddrizzare il procedimento logico o addirittura cambiarlo, e che la matematica si fonda proprio sull’errore. Capiamo ancora che il concetto di verità assoluta è deresponsabilizzante, perché non essendo contestabile, colloca il nostro agire in una cellula di sicurezza e di protezione e quasi di infallibilità, poiché nessuno si sente responsabile di una verità stabilita da altri.
All’opposto sta il concetto di relativismo che si fonda sulla molteplicità dei punti di vista. Sul nostro punto di vista che impone una scelta di campo nel momento in cui lo sosteniamo e lo difendiamo dagli altri. Un’assunzione di responsabilità di fronte a noi stessi e al mondo. Una scelta emotiva, importante, ma che non può e non deve escludere la coesistenza di altri punti di vista con i quali entrare in contatto. Questo il mondo, questa la realtà a cui diamo appunto il nome di relativismo. Ma il relativismo è complessità, perché è complesso il mondo in cui viviamo. E la matematica, come processo e sistema del pensiero, può aiutarci a saper mettere uno accanto all’altro, ancora uno di fronte all’altro, i differenti punti di vista.
Matematica è studio. Perché ogni cosa della matematica si apprende con lo studio che è fatica, complessità, molteplicità, lentezza, categorie ormai fuori dal mondo perché fuori moda. Matematica è fatica. Nella fatica del quotidiano costruiamo la nostra cultura che è verticale e che consiste in una scelta individuale: una cosa ben diversa dall’istruzione che è invece orizzontale. «Le lavagne vanno cancellate anche quando sopra ci hai scritto grandi verità, perché gli altri possano scriverci le loro». Perché mai allora si sta divulgando sempre piú l’habitus mentale che ciò che si studia debba essere facile?
Seconda riflessione: matematica e democrazia. Quale disciplina, meglio della matematica, con i concetti di calcolo, contesto, approssimazione e soprattutto di verità partecipate ci educa alla democrazia? Una disciplina che non ammette principi di autorità e, come la democrazia, presuppone concetti di rappresentazione, grammatica e regole condivise. Qui non sono ammessi i tiranni. Nella politica è vero il contrario.
In ultima istanza, una riflessione – forse la piú potente tra tutte – è che la democrazia è un processo lento. Va manutenuta e difesa ogni giorno. Sottoposta a continua verifica, rinnovata ed esercitata, esattamente come una teoria scientifica. E tutto ciò passa attraverso l’esercizio del diritto e il rispetto del dovere. E aumentando i diritti, aumentano i doveri, in maniera inversamente proporzionale. Ecco che la matematica c’entra sempre. La democrazia ha bisogno di cittadini, non di leader. Cittadini che esercitino ogni giorno la ginnastica posturale del cervello. Cittadini che sappiano opporre resistenza al presente e alla dittatura dell’intrattenimento che impera indisturbata nel nostro tempo. Che sappiano stare anche da soli. Perché, come afferma la Valerio, chi sa stare solo, senza temere la noia, è politicamente complesso. E la lettura aiuta a saper stare da soli: rimane, forse, tra tutte «l’unica difesa dalla dittatura dell’intrattenimento». Non possiamo non essere d’accordo. Grazie, Chiara.
Irene Martino insegna italiano al liceo scientifico R. Canudo di Gioia del Colle (BA).