Elena Tamborrino, Maglie (LE)
«Siamo tutti migranti attraverso il tempo»: questa è la condizione che non solo vivono i protagonisti di questo romanzo di Mohsin Hamid, ma che ci riguarda tutti, nel passaggio della nostra vita, quando siamo stranieri per qualcuno ed estranei anche al luogo in cui siamo sempre stati.
Exit west racconta dell’incontro casuale tra due giovani, Saeed e Nadia, in una città «traboccante di rifugiati ma ancora perlopiú in pace, o almeno non del tutto in guerra», non identificabile con precisione, ma collocata sicuramente in territori interessati da decenni da conflitti civili, religiosi e sociali che sembrano non dover mai avere fine.
I tempi sono quelli che viviamo e i temi attraverso i quali lo scrittore pakistano fa passare le vicende di Saeed e Nadia sono di grande attualità e di stimolo per profonde riflessioni sulla condizione dei nuovi migranti. Perché migranti sono i due giovani, lui goffo e timido, lei disinvolta e sicura di sé, due personalità opposte che si completano, soprattutto nel momento in cui, appena iniziato il loro sodalizio sentimentale, con la città che quasi implode e nella necessità di trovare una via di salvezza, passano attraverso una porta. Solo a rischio di farsi imbrogliare avendo pagato il passaggio a chi non può dare alcuna garanzia di successo dell’impresa, quella porta rappresenta il passaggio verso un posto «al di là», dove sarà necessario lottare e lavorare duramente, cercando di restare uniti, con la consapevolezza della precarietà dell’esistenza e del continuo confronto tra la vita e la morte.
Lo scenario in cui Hamid colloca la narrazione ha del distopico, sembra il futuro che non c’è ma che potrebbe esserci, o un passato che abbiamo appena superato, o un presente di cui non siamo ancora in grado di misurare la portata.
Il viaggio di Saeed e Nadia non si esaurisce in un primo passaggio che porta a un possibile rifugio dal pericolo di morte che giorno dopo giorno li minaccia, ma continua alla ricerca di un luogo e di una condizione ideale che è forse solo nei loro desideri e che non coincide con le stesse aspettative: per questo il loro rapporto è destinato a cambiare, si evolveranno i sentimenti di complicità e passione, il senso di responsabilità e protezione reciproca, i gesti e le consuetudini condivise. Nei cambiamenti e nelle paure verso il cambiamento possibile, la comunicazione tra persone che si sono attratte reciprocamente ma che non sempre hanno condiviso lo stesso linguaggio – fino a rendere difficile la comprensione reciproca di atteggiamenti parole, comportamenti – gioca un ruolo fondamentale.
Exit west parte in sordina e in poche pagine attira il lettore in una spirale di avvenimenti che quasi ingoia l’immaginazione, la provoca e la disorienta: il tutto attraverso una narrazione semplice, fluida grazie a una sintassi paratattica, che segue i fatti e i pensieri, con incursioni nella vita «di prima» in rapporto a quella di «adesso». Un esempio è rappresentato dal racconto del rapporto di Saeed con la preghiera: pagine intense che, con semplicità estrema, accompagnano il lettore a interrogarsi anche sul proprio rapporto con la spiritualità e che meglio definiscono il personaggio, questo giovane uomo che ora prega di piú, diverse volte al giorno, e per il quale la preghiera è «soprattutto un gesto d’amore per ciò che aveva perso e avrebbe perso e non poteva amare piú in nessun altro modo».
Quella di Saeed e Nadia è una storia che costringe a pensare, che obbliga a considerazioni sulla precarietà dei rapporti e dell’esistenza umana, in particolare di quella in fuga dalla guerra e dalla paura. E forse servirebbe in maggior misura proprio a chi «vive sicuro nella propria tiepida casa», come avrebbe detto Primo Levi, e che ogni tanto avrebbe bisogno di uno scossone alla coscienza.
Elena Tamborrino insegna Italiano e storia all’IISS A. Cezzi De Castro Moro di Maglie (LE).